Se anche la giustizia se ne va in cassa integrazione

scritto da il 19 Agosto 2020

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Il primo luglio scorso il governo ha deciso di dare un concreto impulso alla fase 3 del post covid, con la quasi normalizzazione nel funzionamento di ristoranti, bar, pizzerie, prima sottoposti a rigidissimi paletti.

A fronte di ciò, tuttavia, la cittadinanza non ha potuto ignorare (per usare un eufemismo) il fatto che, contemporaneamente, non si sia provveduto a regolare lo svolgimento dell’attività nei Tribunali e, in generale, dell’intero sistema giustizia, rimasto praticamente al palo.

Nonostante i 4 mesi di sostanziale lockdown dei Tribunali, il ministro Bonafede ha pensato bene di confermare, come per un anno normale, la sospensione dell’attività giudiziaria (udienze) sino al 2 settembre.

Alla fine di quest’anno la magistratura avrà lavorato circa 6 mesi; e non per questo il sistema giustizia avrà “assorbito” meno risorse, mantenendo inalterati i suoi costi, i suoi stipendi, i suoi emolumenti, pur in situazione di paralisi. Ciò si inserisce in un contesto già di per sé vischioso, con processi infiniti e sanzioni per ritardata giustizia.

Da magistrato onorario presso il Tribunale di Latina, mi è capitato sovente di prendere in carica ed emettere sentenze per centinaia di cause civili, lasciate in vita anche per 15 anni (in qualche caso anche di più).

Uno Stato con la “s” maiuscola, una classe politica e dirigente che si rispetti dovrebbe fissare come priorità quella di garantire ai cittadini la certezza del diritto e processi che si definiscano in tempi ragionevoli.

Ormai è noto a tutti che lo Stato Italiano (e quindi i cittadini) spende milioni di euro, su condanna dell’Europa, per denegata e ritardata giustizia.

È inaccettabile, perché questa falla del sistema grava direttamente sui cittadini (di cui le casse erariali sono una mera estensione), chiamati a pagare per delle colpe non loro.

La produttività del sistema giustizia è un tema che va assolutamente affrontato, superando dei dogmi e mettendo in discussione posizioni sinora ritenute intoccabili. La deriva è confermata dai recenti scandali dell’ANM e delle nomine dei togati.

Non è da escludere, a parere di chi scrive, anche di intervenire su una forma di retribuzione che si basi sulla produttività e sul lavoro effettivamente svolto dai magistrati.

Addirittura negli Stati Uniti, i magistrati vengono democraticamente eletti e alla scadenza del loro mandato non vengono confermati se non hanno “prodotto” giustizia; ciò sarebbe inattuabile nel nostro contesto, è un’utopia, ma almeno cerchiamo di adottare un sistema incentivante che possa portare i Tribunali e gli organi di giustizia in generale a definire, in tempi accettabili, le cause.

Lo stesso scrivente ha più volte avanzato proposte capaci di incidere direttamente sulla durata dei processi, garantendo dei termini ben precisi entro cui trattare le cause. In estrema semplificazione, propongo “provocatoriamente” tre articoli:

art. 1- i processi penali vanno definiti in primo grado entro tre anni dalla notitia criminis;

art. 2- i processi civili vanno definiti entro due anni dalla citazione;

art. 3- i giudici che non ottemperano ai suddetti articoli sono sottoposti a procedimenti di controllo volti all’accertamento di eventuali responsabilità.

Del resto, anche la magistratura è regolata dal testo unico del 1957, si tratta di dipendenti pubblici e, come tali, non è escluso che siano assoggettati a scadenze o anche a sanzioni per il lavoro non svolto a dovere. Va ripensato un po’ tutto, anche gli aspetti legati alle ferie che, peraltro, si cumulano con l’ulteriore periodo di sospensione feriale dell’attività giudiziaria già previsto dal sistema. Se il meccanismo attuale non consente di smaltire il lavoro in tempi accettabili, ogni ingranaggio della macchina va messo in discussione.

Anche la Giustizia, dunque, è chiamata a rimboccarsi le maniche come tutti ed a sfruttare al meglio le proprie forze, magari andando a recuperare quelle risorse di magistrati che, pur vincitori di concorso, svolgono tutt’altre funzioni (si richiami ancora lo scandalo dell’ANM…).

In questo contesto fuori dal normale dettato dalla pandemia, poteva essere opportuno abolire la sospensione dell’attività nel consueto periodo feriale e mandare un segnale positivo a cittadini, rimboccarsi le maniche ed impegnarsi a smaltire l’arretrato dei processi civili e penali, per la lentezza dei quali siamo fanalino di coda in Europa.