Cassa integrazione e blocco licenziamenti da thriller psicologico

scritto da il 02 Settembre 2020

Si tratta di un gioco orwelliano o, per così dire, di un bug di sistema? Forse, un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Un lavoratore finisce in cassa integrazione; il che, di questi tempi, non ci stupisce affatto. Pertanto, saltiamo a piè pari il pàthos di circostanza e puntiamo dritti ai fatti. Il malcapitato, da salariato medio, percepiva 1.500 euro al mese. Adesso, informandosi qua e là, sa di dovere ricevere l’80% della retribuzione. Gli tocca solo stringere i denti per un paio di mesi; forse, meno, visti gli aggiustamenti degli ultimi mesi. Dunque, fatti due conti, come si suol dire, può aspettarsi serenamente 1.200 euro. A un certo punto, però, controllando il proprio saldo disponibile, si accorge che il pagamento è stato di poco superiore ai 900 euro e si sente pure dire che il calcolo è corretto. Sì, in effetti, lo è perché esistono i cosiddetti massimali, bisogna tenere conto delle detrazioni IRPEF e con 900 euro mensili non si rientra nella no tax area: neppure in periodo di covid. È vero: in generale, riprendendo con leggerezza un solido brocardo, ignorantia legit non excusat. Nulla da eccepire: in una democrazia, ciascun cittadino ha il dovere di documentarsi. Nel documentarsi, tuttavia, vien fatto di chiedersi perché il lettore comune, poco avvezzo in genere all’interpretazione della letteratura fiscal-salariale, debba imbattersi continuamente in sofismi e astruserie.

Nel caso in specie, si tratta di un costrutto sottinteso “Questo è così (…) però (…)”, [“Ha diritto all’80% (…), però (…)], in cui l’avversativa “però” rende parziale o addirittura annulla il significato dell’affermazione iniziale. Si badi bene: nessuno intende revocare in dubbio l’impianto ‘ragionieristico’ in questione, che potrebbe essere il migliore degli impianti possibili. Il fatto è che, in termini di comunicazione istituzionale, qualcosa appare disfunzionale. L’Italia sembra avere dimenticato la magistrale lezione di Sabino Cassese. Nel Codice di Stile delle Comunicazioni Scritte ad Uso delle Pubbliche Amministrazioni, si legge “che il linguaggio è utilizzato più nell’ottica della legittimità formale degli atti che in quella, sostanziale, della comprensibilità del messaggio.” (Quaderni del Dipartimento della Funzione Pubblica, 1993, Codice di Stile delle Comunicazioni Scritte ad Uso delle Pubbliche Amministrazioni, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1994). Fin dall’introduzione, Sabino Cassese, ex Ministro della Funzione Pubblica, mette in evidenza che l’incapacità di comunicare, propria della Pubblica Amministrazione e che si realizza mediante l’uso di formule linguistiche inaccessibili e, talora, anche impertinenti, ermetiche e fumose, allontana il cittadino, l’utente, il vero fruitore del messaggio. La lontananza che ne deriva genera immediatamente il paradosso: se il fruitore è, già da principio, privato della propria funzione di destinatario del messaggio, il messaggio non esiste. Si configura, di conseguenza, una sorta di esoterismo settario della parola e del suo uso. In pratica, non c’è alcuna relazione. Tra le altre cose, rientrando nel tema della CIG, quel lavoratore che volesse saperne qualcosa dovrebbe cominciare a leggere il D.LGS n. 148 del 14 settembre 2015 per giungere ai DL dell’anno in corso, ma senza trascurare le circolari dell’INPS e quelle dell’ABI. Insomma, non proprio alla portata di tutti.

cassa_integrazione_blocco_licenziamenti_thriller_psicologico

Dall’avversativa si passa poi all’anomalia o, se si preferisce il termine, al paradosso. Infatti, per ‘curare e rilanciare’ l’Italia il Governo ha pensato bene di fare anticipare il trattamento d’integrazione dalle banche; la qual cosa, di primo acchito, sembra alquanto ‘suggestiva’ (…che aggettivo bizzarro!). Suggestiva e – aggiungiamo – inquietante! Se infatti l’INPS ritarda o respinge la domanda, datore di lavoro e, addirittura, lavoratore rispondono in solido in qualità di garanti. Insomma, una sorta di thriller psicologico fondato sulla back-story degli ammortizzatori sociali, privo d’una qualsivoglia giustificazione morale valida e degno degli orrorifici misteri di Stephen King. Ne L’ombra dello scorpione, il nucleo narrativo è costituito proprio da un devastante virus influenzale che causa la morte di quasi tutta la popolazione e i sopravvissuti vengono tiranneggiati da un’entità occulta pronta a castigare con la crocifissione i disobbedienti.

A tutto ciò dobbiamo aggiungere, nostro malgrado, che il tasso di mortalità delle imprese, a causa del coronavirus, nel primo trimestre del 2020 è cresciuto addirittura del 42,8% rispetto allo scorso anno. In sostanza, 9.000 aziende in più hanno chiuso i battenti. Secondo l’Ufficio Studi della Confcommercio, entro il mese di ottobre, 270.000 imprese rischiano la chiusura definitiva. Tali dati devono essere integrati con una logica dell’aiuto pubblico che è stata interamente concepita e strutturata sul debito. Le imprese, che adesso boccheggiano, non sono state aiutate; diversamente, sono state vincolate, condizionate. Su questi due sostantivi, debito e aiuto, è necessario soffermarsi in modo critico, dal momento che, con una tecnica babelico-mefistofelica sono stati scambiati continuamente. Si è detto e si continua a dire che i ‘prestiti garantiti’ sono degli aiuti. Non è così. Escludendo senza mezzi termini il riesame dell’incongrua e infelice uscita del Presidente del Consiglio circa la “liquidità immediata”, di cui abbiamo parlato in un precedente contributo, abbiamo il dovere di ricordare ai nostri ‘legislatori’ che il debito è un obbligo giuridico secondo il quale il debitore assume comunque lo status di soggetto passivo ed è tenuto a garantire una certa prestazione a vantaggio del creditore. Al contrario, l’aiuto non genera obblighi. Se ci affidiamo al Treccani online al semplice scopo di ampliare la nostra conoscenza dell’area semantica, leggiamo quanto segue:

a. Opera, materiale o morale, con cui s’interviene a levare un’altra persona (o anche un gruppo di persone, una famiglia, una popolazione, una nazione) da una difficoltà, da uno stato di disagio economico, da una situazione penosa o pericolosa (o, in senso più lieve e trattandosi di persona singola, ad alleviarle la fatica, lo sforzo) (…) b. Con valore più concr., il mezzo materiale con cui si aiuta o sostiene o assiste; in partic., la somma di denaro o le altre cose necessarie, con cui si soccorre altri nel bisogno (…)

Rebus sic stantibus, s’impone come beffardo il titolo del DL 18/2020, Cura Italia, giacché creare una dipendenza al paziente non significa affatto curarlo. E potremmo fare appunti simili pure sull’uso d’un altro titolo: Rilancio (Decreto rilancio, 77/2020). Ci rendiamo perfettamente conto che il canale bancario rappresenta il vettore primario della trasmissione monetaria, ma siamo anche costretti a far notare che, molto probabilmente, è stata usata una misura ordinaria per far fronte a un evento straordinario.

Nella sostanza, dove sono le misure strutturali idonee a stimolare l’economia? In concreto, prima, si sentiva parlare di reddito di cittadinanza (…questo sì: è un aiuto, quale che sia il giudizio!) e quota 100, adesso, invece, di debito travestito da aiuto e cassa integrazione con possibile sorpresa a tempo. Niente a che vedere tuttavia con gli stimoli al sistema economico. In fatto di sorprese, l’esecutivo non ci ha fatto mancare niente. Il recente blocco dei licenziamenti sta infatti accompagnando l’impresa italiana verso il declino definitivo, se si associa questo provvedimento con gli altri di cui abbiamo discusso. È vero che, nel periodo peggiore della recessione, s’è registrata una perdita di posti di lavoro nell’ordine di 600.000 unità, ma è altrettanto vero che il calo delle assunzioni, come fa notare l’INPS, è stato pari al 43% e l’utilizzo della cassa integrazione è stato spropositato: +881% rispetto all’anno recedente. E addio flessibilità!

Su cosa dovrebbe basarsi l’attuale modello di crescita dell’impresa italiana, considerata la combinazione dei fattori fin qui discussi?

Come si è potuto notare, non abbiamo privilegiato una sola categoria; al contrario, abbiamo trattato alla pari datore di lavoro e lavoratore, dimostrando che la loro condizione oggi è molto preoccupante. Non può definirsi in altro modo: paralisi del mercato del lavoro, per cui il Governo dovrebbe mostrare per lo meno un certo senso di colpa. Chiedere di più al momento, sembra impossibile.

 

Twitter @FscoMer

Sito francescomercadante.it