Mauro Germani (Soplaya): la forza della logistica tech per la ristorazione

scritto da il 03 Settembre 2020

Sesto episodio della rubrica “Call Me Startup – Storie di giovani imprenditori ai tempi del Covid-19”.

Oggi il nostro ospite è Mauro Germani, CEO e Co-Founder di Soplaya. Con lui abbiamo la possibilità di discutere dell’impatto del Covid-19 su un settore particolarmente al centro dell’attenzione in questi mesi, ossia la ristorazione. Soplaya infatti nasce nel 2018 per rendere la catena di fornitura dei ristoranti più trasparente ed efficiente, mettendo in contatto diretto fornitori e chef. Logistica proprietaria, analisi dati per la gestione del food cost e rapporto diretto con i fornitori ne fanno una delle startup di riferimento per la digitalizzazione dell’agroalimentare.

L’agroalimentare italiano è un settore di primissima importanza per il Paese: nel complesso la filiera fattura 538 miliardi di euro, pari al PIL di Danimarca e Norvegia e quattro volte il settore automotive.

Il Covid-19 e il relativo lockdown hanno impattato sensibilmente le ultime fasi della catena del valore alimentare, basti pensare che, con le misure che hanno portato al lockdown (si veda in particolare il DPCM del 10 aprile 2020), solo 100 mila su 1,2 milioni di lavoratori nel settore della ristorazione sono rimasti attivi, mentre i restanti 1,1 milioni sono stati sospesi. A consuntivo, Bain&Co. ipotizza per il post-Covid un mancato recupero di 250-300 mila posti di lavoro e una perdita di 30 miliardi di euro. Ricordiamo che il settore della ristorazione rappresenta il 4% del PIL e il 5% dei posti di lavoro a livello nazionale.

Eppure, nonostante il momento storico sfavorevole, a luglio 2020 Soplaya è riuscita a chiudere il suo primo round di finanziamento (3,5 milioni di euro), coinvolgendo investitori di primissimo piano come P101, Italia 500 di Azimut e CDP Venture Capital, il nuovo veicolo dello Stato per incentivare l’ecosistema imprenditoriale italiano.

(In calce all’articolo il video dell’intervista completa)

 

Cosa hai fatto prima di Soplaya e cosa ti ha spinto a fondarla?

Prima di Soplaya ho lavorato assieme a uno dei miei soci alla costruzione di un sistema di digitalizzazione del ristorante. È un sistema che consentiva, tramite un punto cassa digitale, di gestire un po’ tutto ciò di cui un ristorante ha bisogno, dagli ordini dei clienti tramite un’app, alle comande con la cucina, fino ai fornitori.

È proprio lì che abbiamo imparato come funziona l’approvvigionamento nei ristoranti. In particolare, abbiamo scoperto le loro mancanze e necessità, soprattutto in questo momento storico in cui è fondamentale che avvenga qualcosa anche in quell’ambito in termini di digitalizzazione.

E così arriviamo a Soplaya. Quali sono le peculiarità di questa startup e cosa la distingue dal progetto precedente?

Soplaya collega produttori e ristoratori in maniera semplice ed efficace tramite i suoi due cuori: da una parte l’infrastruttura tecnologica che consente di automatizzare tutti i processi della filiera, dall’ordine del ristorante fino alla consegna, e dall’altra la logistica che, tramite una rete di hub, assicura l’approvvigionamento al ristorante.

In questo modo produciamo due benefici. Da un lato aiutiamo, diciamo così, a “democratizzare” il sistema alimentare, ossia diamo la possibilità a tutti i produttori – indipendentemente da quanto siano grandi o strutturati – di accedere al mercato della ristorazione con semplicità. D’altro canto, lato ristoratori semplifichiamo e automatizziamo l’approvvigionamento dando la possibilità di ordinare con un click e di ricevere i prodotti in 12/24 ore, senza ordine minimo e fornendo ingredienti che tante volte sono molto complicati da ricevere, perché magari non sono quelli standard che il grossista o il fornitore classico consegna al ristorante. Tutte cose che magari nell’epoca di Amazon sembrano banali, ma che nel mondo della ristorazione non sono per nulla scontate.

Quindi non siete solamente un’app ma avete tutta la logistica di proprietà?

Esatto, la logistica è di nostra proprietà e ci sono due motivi alla base. Da un lato c’è la necessità di avere degli snodi logistici distribuiti e molto vicini al cliente per poter garantire efficienza e velocità di consegna. Gli hub sono parte del cuore di Soplaya e continueranno ad esserlo in futuro. Dall’altro c’è la parte della cosiddetta consegna dell’ultimo miglio, quindi a partire dal nostro hub fino al ristorante.

Tutto naturalmente si basa in maniera molto forte sulla tecnologia. In particolare, grazie al nostro marketplace – integrando quello che vede sia il ristorante che fa l’ordine sia il produttore che lo riceve, nonché tutta la parte logistica nel mezzo – riusciamo a garantire un livello di servizio molto elevato.

Attualmente copriamo il Friuli-Venezia Giulia e il Veneto. Nei prossimi due anni vogliamo consolidare il Nord e Centro Italia, per poi muoverci sia verso Sud sia verso altri Paesi, anche basandoci sul nostro sistema duplicabile e profittevole che siamo in grado di replicare in varie zone.

La logistica alimentare penso abbia come punto di riferimento costante Ocado (startup inglese dall’altissimo livello di automazione dei magazzini, ndr): anche voi andate in quella direzione?

Esattamente, la direzione è quella, anche se ci sono due aspetti in generale. Primo, ci sono alcune cose che si possono automatizzare già oggi e altre che non si possono automatizzare. Inoltre c’è sempre da ricordare che complessivamente c’è sì una necessità di automatizzare, tuttavia se la scalabilità di un modello automatizzato è indiscutibile, la parte di profittabilità è tutta da dimostrare.

Nella ristorazione (inteso ovviamente come vendite B2B) c’è una serie di vantaggi che aiutano l’automazione, anche della logistica, uno su tutti il fatto che un cliente business è molto più ripetitivo rispetto al consumatore privato e quindi – a parità di strumentazione, di algoritmi di machine learning, oltre che strutture fisiche – riesci a prevedere con più facilità e con minor mole di dati quali saranno le sue scelte, e di conseguenza sapere quali prodotti mantenere in ogni centro logistico in ogni singolo momento.

A tal proposito c’è tutta la parte di dati che è molto importante in questo settore e che nello specifico serve a Soplaya per garantire il livello di servizio, gestire le procedure interne, cercare appunto di automatizzare, quindi snellire i costi e in definitiva far risparmiare il ristoratore da una parte e far guadagnare di più il produttore dall’altra.

Passando alla recente crisi economico-sanitaria del Covid-19, come l’avete vissuta e cosa avete fatto per reagire?

Il periodo è stato complicato per tutti anche perché inaspettato. In generale, vedendo anche altri founder di startup, ho notato come il fatto stesso di essere una startup aiuti a pensare sempre in modo rapido e a reagire ai cambiamenti in maniera molto veloce. Le startup hanno la fortuna di avere nel DNA questa capacità di reinventarsi con più facilità rispetto ad un’azienda convenzionale.

Poi nello specifico noi abbiamo anche avuto la fortuna di operare in un settore che ci ha consentito di reinventarci. Le cose sono andate così. Il fatturato scendeva di settimana in settimana, arrivando ad un calo di circa il 90% rispetto al solito. A quel punto, letteralmente in un weekend abbiamo costruito una piattaforma informatica da zero, abbiamo ristrutturato la logistica, abbiamo parlato con tutti i fornitori, e dal venerdì sera al lunedì pomeriggio avevamo pronta una piattaforma nuova che ci ha consentito di passare dalla vendita esclusivamente ai ristoranti a una vendita anche ai privati.

Ora, passare da una situazione in cui più o meno tra il 2 e il 4% dei clienti acquistavano alimentari online ad avere forzatamente una parte rilevante della domanda costretta ad acquistare online, ci ha permesso di andare incontro a una grossa possibilità di avere una risposta positiva. Non a caso abbiamo subito fatto il nostro mese migliore in termini di fatturato. Ciò ci ha consentito di non dover mettere in cassa integrazione o mandare a casa nessuno e di recuperare il business riportandoci a un livello positivo per noi e per i nostri investitori. Abbiamo anche avuto l’opportunità di dimostrare a noi stessi che il nostro team è resiliente e capace di riadattarsi con rapidità ed efficacia a diverse condizioni del mercato.

Questo è l’esperimento di frescoelocale.it, corretto?

Esatto. Abbiamo lanciato un nuovo brand proprio perché da un lato, essendo una cosa nata in periodo di emergenza, non avevamo idea se potesse continuare o meno al di là del periodo, e dall’altro anche per non “scialacquare” il brand di Soplaya che rimane dedicato al B2B.

Ora vedremo come evolverà Soplaya e come evolverà il mercato, se saremo costretti a un altro lockdown o altro. In ogni caso continueremo senz’altro a servire i clienti di questa nuova piattaforma.

Per aprire frescoelocale.it come vi siete organizzati con i fornitori?

I fornitori hanno dovuto organizzarsi perché non avevamo subito pronta la l’infrastruttura logistica e poi anche perché per servire il privato banalmente servono delle certificazioni.

Quindi all’inizio l’impatto è stato importante per i produttori perché ci hanno aiutato a effettuare le consegne al privato, mentre noi organizzavamo lo smistamento della merce tra un produttore e l’altro. E pure quelli che avevano anche un negozio aziendale, e quindi erano abituati a fare questo mestiere, comunque li abbiamo aiutati a organizzare la logistica e aumentare il business.

Tutto questo è stato possibile grazie alla relazione di fiducia che abbiamo costruito con i produttori in questi due anni e ha contribuito al successo dell’iniziativa.

Con investitori e clienti invece come vi siete mossi?

Lato ristoratori abbiamo promosso collaborazioni con aziende che avevano dei servizi accessori che potevano aiutare il ristorante in questo periodo, come ad esempio la creazione di un menu digitale che potesse essere utile sia per gli ordini da casa sia alla successiva riapertura del ristorante. Inoltre abbiamo attivato una serie di sconti e dilazioni di pagamento per supportare i ristoranti in questa fase.

Dal punto di vista degli investitori, invece, noi di base siamo abituati a fornire loro degli aggiornamenti mensili per tenerli aggiornati con cinque minuti di lettura su tutto quello che è successo nell’ultimo mese in Soplaya. Bene, durante questo periodo di Covid-19, siamo passati a una comunicazione settimanale per rendere conto di come evolveva la situazione ed eventualmente chiedere supporto dove poteva servire. Questo tra l’altro ha contribuito al successo dell’operazione di aumento di capitale, nonostante non fosse certamente il momento storico migliore, dando conferma di come il team stesse evolvendo rapidamente e di come siamo riusciti a rimettere in carreggiata l’azienda.

Infatti nel pieno della crisi, o comunque subito dopo, avete chiuso un round da tre milioni e mezzo di euro, oltretutto con investitori di primo piano: con loro come è stato impostato il dialogo?

Il processo di aumento di capitale era già iniziato a fine dell’anno precedente. Ci siamo mossi con investitori italiani ed esteri per far capire che cosa stavamo facendo e quali erano i nostri obiettivi. Tra i fondi c’era P101, che abbiamo scelto come leading investor soprattutto per la sua esperienza nel settore food. Poi da lì si sono aggiunti come following investor Italia 500 e Cassa Depositi e Prestiti Venture Capital.

Con CDP Venture Capital, che è l’articolazione di CDP che si occupa in primis di startup, la relazione non è stata particolarmente diversa da un fondo normale e ci siamo trovati bene. In particolare c’è stata grande velocità nella fase di due diligence.

A partire da questo, che programmi avete per il prossimo futuro?

Ci sono tre obiettivi che vogliamo raggiungere con questo primo aumento di capitale.

Il primo è quello di allargare il team, in particolare con l’assunzione di figure chiave che mancano, quindi complementari alle competenze del team iniziale.

Secondo, come già accennato, noi abbiamo la missione di automatizzare tutti i processi possibili che ancora non sono stati automatizzati: per questo abbiamo raddoppiato il team di sviluppo informatico.

L’idea – e qui arriviamo al terzo punto – è impostare tutte quelle cose che poi ci permetteranno di scalare e moltiplicare il business in più città e regioni, non solo italiane, nel prossimo futuro.

Voi avete l’HQ a Udine, quindi fuori dalle metropoli classiche italiane: quali vantaggi e/o svantaggi vedi in questa scelta?

Prima di iniziare questo processo di assunzioni di massa vedevo Udine come un forte svantaggio. In realtà poi ci siamo resi conto che rispetto a una posizione più centrale – come potrebbe essere Milano se parliamo di Italia, o Berlino o Londra, per estremizzare – abbiamo il vantaggio di lavorare in un territorio in cui il costo della vita è molto più basso e la qualità della vita è molto più alta. Questo per il team, e per le persone che vogliamo aggiungere al nostro team, è un aspetto molto importante: di fatto è diventato motivo di attrazione di talenti.

Poi c’è tutto l’aspetto di cui si discute molto in questo periodo, ossia lo smart working che consentirà di uscire dalle grandi città come Milano e vivere in provincia. Sicuramente all’inizio è stato complesso, ora siamo in periodo più tranquillo: le persone sono riuscite a scavalcare l’ostacolo del remote working e ormai sono abituate, così come le aziende si sono rese conto che magari non è necessario lavorare sempre continuamente nello stesso ufficio.

Detto questo poi è vero che logisticamente, e anche a livello di panorama startup, sarebbe molto più interessante avere il cuore a Milano così come a Londra, quindi non è detto che questo non faccia parte del futuro di Soplaya. In ogni caso cerchiamo sempre di tenere contatti e confrontarci con altri imprenditori e founder. In questo senso facciamo parte di alcuni gruppi, come TheFamily.

Hai in mente delle normative o iniziative che secondo te a livello statale potrebbero facilitare lo sviluppo delle startup e anche la loro sopravvivenza in questo periodo complesso?

Ci sono alcuni esempi positivi che si sono manifestati anche durante il Covid-19 o prima, come ad esempio startupchile.org, un’iniziativa di supporto concreto lanciata una decina d’anni fa che ha prodotto valore per le per le startup nell’ordine dei 2,3 miliardi euro. Quindi ci sono degli ecosistemi che funzionano: alcuni sono fisici, altri sono semplicemente di aggregazione di imprenditori, come TheFamily che ho appena citato.

C’è inoltre stata l’iniziativa di VC Hub che è un aggregatore di tutti i Venture Capital italiani con l’obiettivo di fare un po’ di lobbying sul governo, cercando in particolare di far capire la necessità di promuovere e sostenere le startup.

In generale comunque qualsiasi siano gli incentivi, l’importante è che l’accesso ad essi sia veloce e semplice. Infatti per le startup il valore più importante è il tempo e se tu per aiutare una startup richiedi troppa burocrazia, alla fine ottieni l’effetto opposto. Questo vale un po’ per tutte le aziende, ma in particolare per noi startup.

Classica domanda a conclusione della nostra intervista: che esperienze consiglieresti a un giovane che magari esce adesso dall’università e tra qualche anno si vede in una propria startup?

Se devo indicare una cosa che rifarei se ricominciassi da capo è individuare una startup che opera in un settore in cui mi piacerebbe lavorare e che ha appena ricevuto un aumento di capitale interessante. A quel punto proverei ad entrare in squadra, anche gratuitamente in un periodo iniziale, cercando di stare il più possibile vicino ai founder, così da capire tutte le complessità che stanno dietro al lanciare un’azienda da zero.

Questo perché se uno vuole lanciarsi in questo mondo, il modo più semplice e veloce che ha per imparare è vedere altri che lo fanno, senza avere tutti i rischi che comporta il lanciare una startup. Chiaro che non siamo qui a demonizzare il rischio o il fallimento (come peraltro spesso succede in Italia…), però è altrettanto ovvio che fare un percorso imprenditoriale non avendo le basi è più complicato ed è un passaggio che è meglio evitare, se si può.

 

Andrea Eugenio Ramella

Studi economici all’Università Cattolica di Milano, alla Maastricht University ed esperienze lavorative in startup. In Yezers è Public Affairs Associate e nel founding team di AdVelo.

Samuel Carrara

È scientific project officer presso la Commissione Europea dove si occupa prevalentemente di industrial value chains per le tecnologie low-carbon. In Yezers è membro del board e responsabile editoriale.