Il bonus negato, esempio e conseguenze di un legislatore impreciso

scritto da il 18 Settembre 2020

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Tra i vari bonus introdotti dai provvedimenti emanati dal Governo per far fronte all’emergenza economica data dalla pandemia da coronavirus, spicca l’ormai famoso “bonus 600 Euro”, salito agli onori della recente cronaca per la fruizione dello stesso da parte di vari esponenti della politica.

Tale bonus, secondo le intenzioni del legislatore, o meglio, secondo quanto era plausibile aspettarsi, doveva essere destinato a quelle categorie di lavoratori che non potevano aver accesso ad altri ammortizzatori sociali, tipo cassa integrazione.

La formulazione lessicale, tuttavia, è stata a dir poco infelice e ciò ha generato malintesi, dubbi e incertezza sull’applicazione della norma. In questo territorio oscuro, come spesso avviene, si è verificato quel fenomeno secondo cui le istituzioni demandate all’applicazione concreta della misura si sostituiscono al legislatore, diventando loro stessi soggetti legiferanti e facendo “legge” attraverso le proprie circolari, le risposte alla FAQ e i vari messaggi.

Mi riferisco, in particolare, alla questione relativa all’assegnazione di tale bonus ad amministratori e sindaci di società di capitali iscritti alla gestione separata, soggetti esclusi dalla misura in forza di un messaggio dell’INPS, nelle vesti appunto di legislatore.

Ripercorriamo brevemente i termini della questione.

Il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 (cd. Decreto Cura Italia) all’art. 27, riconosceva la spettanza dell’indennità “ai liberi professionisti titolari di partita iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 e ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi alla medesima data, iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie”.

Dalla infelice formulazione normativa, nasceva spontaneo il dubbio circa la spettanza dell’indennità ai soci di società a responsabilità limitata cui sia affidato l’ufficio di amministratore, per l’esercizio del quale venga loro riconosciuto un compenso a titolo di corrispettivo, soggetto a contribuzione mediante gestione separata INPS.

Non era del tutto chiaro, infatti, se tali soggetti potessero annoverarsi tra i «lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi alla medesima data [i.e. 23 febbraio 2020 – n.d.r.], iscritti alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie», ai quali l’art. 27 del citato decreto riconosce il suddetto “bonus” di 600 euro.

Il dubbio sorge principalmente dal fatto che c’è discrepanza tra il punto di vista civilistico e quello fiscale nell’inquadramento di tali figure.

Infatti, dal punto di vista civilistico, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 1545 del 20 gennaio 2017) hanno definito quello che lega l’amministratore alla società di capitali un rapporto di tipo societario, non assimilabile né ad un contratto d’opera, né ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato e , stante anche l’assenza del requisito della coordinazione, non è neppure compreso in quelli di collaborazione coordinata e continuativa.
Di contro, non v’è dubbio che, in un’ottica previdenziale, il rapporto che lega l’amministratore alla società di capitali è, sin dal 1996, inquadrato nell’ambito della collaborazione coordinata e continuativa.

All’uopo, l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 dell’8 agosto 1995 dispone infatti che «A decorrere dal 1 gennaio 1996, sono tenuti all’iscrizione presso un’apposita Gestione separata, presso l’INPS […] i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a) dell’art. 49» del TUIR, approvato con D.P.R. n. 917/1986.

Tale ultima disposizione del TUIR (ad oggi contenuta nell’articolo 53 del TUIR), nel definire i redditi di lavoro autonomo c.d. assimilati fa riferimento a quelli «derivanti dagli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società […] e da altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa». 

L’impiego dell’aggettivo indefinito «altri» induce a ritenere che gli «uffici di amministratore, sindaco o revisore di società» si debbano ritenere ricompresi (almeno da un punto di vista previdenziale) una sottospecie dei «rapporti di collaborazione coordinata e continuativa».

Dunque, l’inclusione o meno nel bonus, per gli amministratori iscritti alla Gestione separata INPS, dipende dal capire se il riferimento alla categoria dei «lavoratori titolari di collaborazione coordinata e continuativa», presente nell’art. 27 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020, debba intendersi dal punto di vista “civilistico” oppure da quello “previdenziale”: è evidente che soltanto in quest’ultima ipotesi i soci amministratori di srl (i quali non siano titolari di pensione o di forme previdenziali obbligatorie diverse dalla “gestione separata”) beneficerebbero del bonus di 600 euro ivi previsto.

Considerando che l’intero impianto normativo del decreto, nella parte relativa a tali bonus e sovvenzioni, fa un largo utilizzo di un lessico “previdenziale”, era fondato ritenere che i soci amministratori di srl, proprio perché “previdenzialmente” riconducibili alla categoria dei collaboratori coordinati e continuativi, fossero inclusi tra i potenziali destinatari di tale indennità.

Questa tesi estensiva, tuttavia, non ha trovato conforto da parte dell’INPS: in particolare, verso la fine di maggio, l’Ente previdenziale ha respinto tutte le richieste pervenute da amministratori e sindaci dichiarando che a tali categorie non spetterebbe il bonus perché, pur se iscritti alla gestione separata, costoro non possono considerarsi lavoratori parasubordinati. In tal senso, il messaggio 2263 del 01 giugno 2020 recava che “Sono escluse, inoltre, tutte le figure che, pur obbligate alla contribuzione della Gestione separata, non sono state richiamate dalla norma stessa, come ad esempio tutte le cariche sociali (uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni ed altri enti con o senza personalità giuridica)”.

L’interpretazione è assai discutibile, specie se paragonata ad altre posizioni assunte dalle istituzioni che lasciano trasparire il clima di incertezza totale generato dalla confusionaria ed imprecisa esposizione normativa che, giocoforza, si presta a conferire ad altre istituzioni compiti di legiferazione non attinenti alla sfera delle loro competenze. Per rendere l’idea della confusione, possiamo citare la risposta del MEF nelle FAQ pubblicate nel proprio sito alla seguente domanda:

“I soci di società di persone o di capitali che per obbligo di legge devono iscriversi alle gestioni speciali dell’Ago, (non classificabili come lavoratori autonomi perché svolgono l’attività in forma societaria) sono tra i destinatari dell’indennità di 600 euro per il mese di marzo? E in caso di risposta affermativa, i 600 euro sono da riconoscere a tutti i soci?”.

Questa la risposta: “Sì, se i singoli soci sono iscritti a gestioni dell’INPS”

Da questa risposta deriva che i soci di società di capitale, iscritti alla gestione previdenziale commercianti o artigiani, che al contempo percepisco un compenso per l’attività di amministratore e pertanto sono obbligati al versamento alla gestione separata, possono beneficiare dell’indennità prevista dall’articolo 28 del DL 18/2020 che riconosce ai lavoratori autonomi iscritti alle suddette gestioni previdenziali l’indennità di euro 600,00 con riferimento al mese di marzo.

C’è un discrimine fondato sul fatto di essere o non essere soci, dunque. Discrimine che non trova fonte nel decreto legge che ha istituito il bonus, bensì nelle interpretazioni “legiferative” dei vari Enti chiamati in causa nell’applicazione.

In definitiva, nel silenzio/incertezza del legislatore sul punto, gli amministratori “non soci”, iscritti alla Gestione separata, restano fuori in virtù della precitata interpretazione dell’INPS, rimanendo una categoria del tutto sguarnita da ogni intervento di sostegno.