Patto di stabilità e semestre europeo sono morti. La Ue sarà più federale?

scritto da il 21 Settembre 2020

L’inadeguatezza del Patto di Stabilità e Crescita (SGP – Stability and Growth Pact) era da tempo uno di quegli elementi su cui quasi tutti in Europa concordavano, ma sul quale era molto complicato metter mano per ottenere un cambiamento che fosse non solo sostanziale ma anche migliorativo.

Un’unione monetaria priva di capacità fiscale, in cui capitali, merci e persone circolano liberamente, può reggere solo se vi è un coordinamento tra le varie economie. Questo coordinamento in Europa si basa sui parametri del SGP, che non sono sempre stati gli stessi nel tempo. All’inizio ve ne erano sostanzialmente due: i famosi rapporto debito/pil al 60% e deficit/pil 3%. Dopo la grande recessione e durante la crisi dell’euro, con la speranza di riconquistare la fiducia dei mercati nel progetto dell’unione monetaria, questo patto venne ampliato con l’introduzione del Six-Pack, il Two-Pack ed il Fiscal Compact. Esso venne quindi ricompreso nel nuovo assetto che l’Unione Europea si è data: il Semestre Europeo, che è il complessivo programma di coordinamento tra le politiche economiche e di sviluppo dei vari Stati membri.

Un assetto che però non ha mai dato grandi capacità di funzionamento, dimostrandosi eccessivamente complesso nelle procedure e nella misurazione di alcune variabili fondamentali all’interno del patto, nonché poco trasparente. Anche l’introduzione fatta nel 2017 di un margine di discrezionalità nelle valutazioni della Commissione Europea non ha permesso di superare questi difetti. Insomma, richiamando le recenti parole di Mario Draghi, “l’inadeguatezza di alcuni di questi assetti era divenuta da tempo evidente. Ma, piuttosto che procedere celermente a una loro correzione, cosa che fu fatta, parzialmente, solo per il settore finanziario, si lasciò, per inerzia, per timidezza e per interesse, che questa critica precisa e giustificata divenisse, nel messaggio populista, una critica contro tutto l’ordine esistente”.

Di fronte a questa inadeguatezza, l’arrivo della crisi legata al COVID-19 ha avuto l’effetto di rottura. Pressata da più parti, la Commissione Europea ha sospeso a marzo scorso l’applicazione del SGP. In pratica, una sorta di liberi tutti per gli Stati, che hanno potuto affrontare gli effetti disastrosi della pandemia con mano libera per introdurre la risposta fiscale più appropriata: uno stimolo fiscale pari a circa il 3,5% del Pil, il più importante degli ultimi 20 anni. A questo si è aggiunto il supporto della Banca Centrale Europea che ha fatto, e farà ancora, in modo che il diluvio di nuove emissioni di debito pubblico non si riflettano su rendimenti in contrasto con gli obiettivi di politica monetaria.

Non sappiamo ancora con certezza quanto possa durare questa fase, perché la dinamica della pandemia non lascia spazio a previsioni affidabili. Quello che invece appare sempre più certo è che il ritorno alla normalità non avverrà tanto presto e che sarà fatto in modo graduale al fine di evitare il cosiddetto cliff-effect. È sempre più probabile che fino a quando il prodotto interno lordo della zona euro non sarà ritornato al livello precedente la pandemia, quindi almeno fino al 2022, non sarà revocata la clausola di sospensione.

Almeno due anni di tempo per poter fare in modo che l’interesse generale a risistemare il SGP si trasformi in un miglioramento del patto, eliminandone gli elementi pro-ciclici e rendendolo più adeguato alle sfide del futuro. Un lavoro che è certo complicato, nel quale gli interessi non sempre convergenti degli Stati e fra gli Stati e la Commissione potrebbe anche portare ad una riforma minima, di scarso impatto. Ma i segnali che arrivano da più parti, sia dalla Commissione, che da altre istituzioni europee, fanno sperare che il vecchio SGP, con la sua scarsa chiarezza, rigida applicazione di parametri di scarsa valenza e dubbia misurazione, possa essere definitivamente morto.

E quando arriverà il momento di riattivare il nuovo SGP anche il Semestre Europeo, per come lo conoscevamo, potrebbe essere morto. L’adozione del Next Generation EU, finanziato con il Recovery Fund, potrebbe modificare il coordinamento delle politiche degli Stati, e far aumentare il ruolo della Commissione Europea in tal senso, aumentando così il carattere federale della Ue.

È ancora presto per dire se queste tendenze verso una Ue più federale e meno intergovernativa, più orientata alla crescita e meno al rigore, siano in grado di consolidarsi per determinare un cambiamento rispetto alla china intrapresa nell’ultimo decennio.
La crisi pandemica sta però rappresentando un elemento di forte discontinuità rispetto al passato, un elemento che, ad esempio, ha reso possibili meccanismi di trasferimento tra gli Stati che solo pochi mesi fa sembrano irrealizzabili.

La speranza è che questa crisi non venga sprecata per far risorgere strumenti che sembrano ormai defunti.

Twitter @francelenzi