Che facciamo se una PA digitalizzata ha bisogno di meno dipendenti?

scritto da il 23 Settembre 2020

Una PA veramente Digitale è il sogno di tutti quelli che hanno sperimentato la frustrazione di doversi recare di persona presso uno sportello pubblico per svolgere attività che si potrebbero risolvere con pochi click dal cellulare.

Si tratta anche di un importante fattore abilitante lo svolgimento di qualunque attività economica e di una condizione fondamentale per conseguire gli incrementi di produttività necessari al nostro paese per tornare a crescere.

Non sorprende allora che questo ambizioso obiettivo figuri in cima alle priorità del piano italiano di ripresa e resilienza per accedere ai fondi previsti dal Recovery Fund anche in considerazione del fatto che le linee guida pubblicate dalla Commissione Europea prevedono che non meno del 20% delle risorse siano destinate alla “Transizione Digitale”.

Insomma la necessità da parte dell’utenza è evidente, i benefici per l’intero sistema indubbi e c’è anche la benedizione da parte della Commissione con tanto di risorse messe a disposizione dal  Recovery Fund, che cosa potrebbe andare storto?

Beh intanto cominciamo con una domanda sconveniente:

Come ci comportiamo se una PA digitalizzata ha bisogno di meno dipendenti?

In linea di massima, la risposta più plausibile è che i lavoratori che svolgono mansioni di cui non c’è più bisogno vengano destinati ad altre attività o mantenuti in servizio nonostante la loro mansione sia diventata ridondante.

Questa risposta, in apparenza semplice, apre tuttavia le porte a una serie di considerazioni più complesse.

Se il problema principale del nostro paese è la produttività*, vuol dire che per tornare a crescere dovremmo trovare modi per ottenere gli stessi risultati impiegando quantità inferiori di risorse.

Se la PA Digitale impiega lo stesso numero di lavoratori di quella semi-analogica quanti e quali guadagni possiamo attenderci per l’economia nel suo complesso? Certo, se imprese e cittadini risparmiano tempo e denaro nell’interazione con lo stato è plausibile che questo abbia effetti positivi sull’intero sistema, ma obiettivi ambiziosi come quelli descritti nel piano italiano di ripresa e resilienza (raddoppio del tasso di crescita del PIL, aumento del tasso di occupazione di 10 punti percentuali) difficilmente potranno realizzarsi lasciando invariato l’organico dalla PA digitale.

temporanea-img

Altra considerazione si può fare sulla formazione e sulle preferenze dei cittadini: mantenere aperti gli sportelli al pubblico per gli anziani e per i cittadini che non amano o non sanno utilizzare i canali diretti è un’ottima giustificazione per lasciare invariato il numero degli occupati della PA.

Ma quale significato concreto dovremmo dare alla parola digitalizzazione? Nel documento presentato dal governo Conte si parla di

Un paese completamente digitale

non dovremo includere in questa accezione anche la necessità di formare i cittadini, di diffondere un atteggiamento culturale teso a considerare la tecnologia digitale una fondamentale opportunità e non una minaccia?

Per diversi concorsi pubblici è già possibile inviare la domanda via PEC, con l’obbligo di stampare e firmare moduli e autocertificazioni e spesso di acquistare in posta o nelle tabaccherie le marche da bollo. È questo il tipo di digitalizzazione che abbiamo in mente? Lasciare nella sostanza invariato il processo di gestione dell’attività introducendo qualche passaggio meramente cosmetico?

I titolari di identità digitale amministrata da Poste Italiane, per ottenere l’apertura di un account di posta elettronica certificata devono inviare a mezzo fax il contratto sottoscritto e la copia scansionata del documento d’identità.

Per quanto si tratti di un soggetto che formalmente è fuori dal perimetro della stato, cosa può rappresentare meglio l’idea di burocazia inutile di un soggetto legalmente abilitato a certificare la mia identità nei confronti di terzi, che mi chiede di provarla con una copia del documento d’identità inviata via fax?

temporanea-img

Il convitato di pietra di qualunque discussione seria sulle riforme necessarie per riportare il nostro paese su un percorso di crescita sostenibile è la constatazione che alcune attività non serviranno più e la digitalizzazione della PA non fa eccezione a questo proposito.

Se un lavoratore o una società di servizi esterna si occupava di verificare l’identità degli utenti o l’inserimento corretto delle informazioni  in un data base, nel momento in cui queste verifiche vengono automatizzate, occorre che quel lavoratore venga riconvertito ad altra mansione e che quella azienda trovi altri servizi utili da vendere.

Se questo non avviene il processo di trasformazione sarà incompleto e non potrà produrre i benefici sperati per la collettività.

Negli ultimi 20 anni, prima dello shock esterno costituito dalla pandemia e dalle misure di lockdown, il pil procapite in termini reali in Italia è cresciuto del 2%.

È meno di un terzo rispetto al 7% della Grecia, che pure ha sperimentato la Troika e 11 volte meno della media degli altri paesi dell’area euro dove la variazione è stata del 22%.

Per il 2020 stime provvisorie sul pil nominale vedono per il nostro paese un calo superiore al 10% a fronte di una contrazione nell’ordine del 7-8% per l’area euro.

La sfida che abbiamo davanti è quella di recuperare terreno dopo una crisi economica molto severa  partendo da una posizione di debolezza e fragilità maggiore rispetto agli altri paesi europei ed è per questo che ci è stata attribuita una quota rilevante delle risorse che verranno mobilitate grazie al Recovery  Fund.

Le misure necessarie per colmare il divario che ci separa dagli altri paesi e per portarci su un percorso di crescita sostenibile non possono limitarsi a pochi accorgimenti di facciata per assecondare le richieste della commissione e le mode del momento, dal green al digitale, ma devono costituire una sostanziale discontinuità rispetto al passato.

Con riferimento alla digitalizzazione della PA è necessario che:

  • la revisione di tutti processi sia sostanziale, orientata all’automazione di tutti i passaggi per i quali non è strettamente necessario l’intervento umano e che costiuisca una valida occasione per semplificare e razionalizzare l’attività in modo da garantire il miglior servizio possibile alla cittadinanza
  • il mantenimento del numero dei dipendenti della PA, verosimilmente tra i profili più sensibili dal punto di vista politico e sociale, non costituisca un vincolo tanto stringente da annullare una parte significativa dei benefici connessi all’intero processo.
  • la gestione dei lavoratori che svolgevano mansioni non più necessarie sia orientata alla riconversione all’interno delle stesse strutture ove possibile (ad esempio supporto e assistenza ai cittadini anche mediante canali indiretti) al trasferimento ad altre strutture e mansioni negli altri casi

Posto che in Italia non è pensabile e men che meno proponibile che ai guadagni di efficienza consentiti dalla digitalizzazione della PA corrisponda anche una significativa e tempestiva riduzione dei dipendenti pubblici è necessario gestire il processo di transizione in modo costruttivo, evitando i consueti abusi in termini di prepensionamenti o mantenimento di mansioni non più utili e avendo il coraggio di portare a termine fino in fondo il processo di trasformazione, anche per la parte afferente la necessaria riallocazione e riqualificazione delle risorse umane.

Una digitalizzazione della PA nella quale un numero quasi invariato di persone continua a svolgere per lo più le stesse mansioni, costituirebbe l’atto finale dell’ennesima commedia all’italiana nella quale per tradizione gattopardiana tutto deve cambiare affinché nulla cambi.

*Sul tema si veda ad es l’audizione tenuta da Fabrizio Balassone, Capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, davanti alla Commissione V della Camera dei Deputati (Bilancio, Tesoro e Programmazione) – Link al testo

Youtube

Podcast

Newsletter

Twitter