Anche la governance dei dati tra gli indicatori dell’azienda responsabile

scritto da il 12 Ottobre 2020

Post di Claudia Morelli, giornalista specializzata in innovazione e trasformazione digitale (per il settore economico-legale ma non solo) e socia fondatrice di Eutopian

La capacità di governo della innovazione in azienda, a partire dalla cyber security, così come l’entità delle sanzioni per reati societari pagate a titolo di responsabilità oggettiva o le condanne per sexual harassment; il livello dei compensi ai CEO in rapporto al livello medio degli stipendi aziendali, i gender e pay gaps, e molti altri indicatori dell’azienda “responsabile” entrano negli indici di sostenibilità che le imprese dovranno documentare nei reporting formali per stakeholder e finanziatori.

In sintesi: dagli ESG (elementi di valutazione utilizzati nel settore finanziario per giudicare la sostenibilità degli investimenti, in un’ottica di valutazione complessiva di un’impresa che va oltre i risultati puramente economici) alla creazione di valore sostenibile a 360° gradi. Dal capitalismo degli shareholders al capitalismo degli stakeholder, senza dimenticare perciò la profittabilità delle scelte strategiche.



Il passo avanti degli indici di sostenibilità
Gli indici di sostenibilità fanno un deciso passo avanti nella elaborazione organica e nella proposta al mercato, con il documento “Measuring Stakeholder Capitalism: Towards Common Metrics and Consistent Reporting of Sustainable Value Creation”, nato all’interno dell’International Business council del World Economic forum, e dal coinvolgimento delle le Big Four della consulenza e della revisione dei conti (EY, Deloitte, KPMG e Pwc).

Quattro pilastri (Governance, Planet, People, Prosperity) a cui collegare 21 metriche “core”(follow up dell’analisi e della valutazione di centinaia di indici ESG) e 34 metriche “expanded”, in un unico contenitore che da una parte colleziona il lavoro di definizione di indici di misurazione di sostenibilità messi a punto sia da organismi internazionali che imprenditoriali su base volontaria; ma dall’altra espande l’approccio spingendolo oltre gli ESG (Enviromental- Social – Governance) così come sono stati finora elaborati: per settore industriale e con scopi di investimenti green).

In altre parole, l’intenzione è quella di una tavola di indici “universali” e non collegati ad una industry precisa, che hanno l’obiettivo di valutare l’impatto delle scelte aziendali nella ridondanza sull’intera catena di valore e che rappresentano “un modo più avanzato e sofisticato di misurare e comunicare la creazione di valore anche in maniera tangibile a più lungo periodo”. E guardano ad un sistema di reporting non verticale (bilancio sociale) ma orizzontale: le disclosures dovranno entrare a pieno diritto nel rapporto annuale agli shareholders, nella sua parte MD&A (Management Discussion and Analysis) nello specifico.

Le aziende sono invitate a responsabilizzarsi e prescegliere le metriche che sono “rilevanti o critiche nell’ottica della costruzione di valore a lungo periodo” nell’ottica del “ disclose or explain”
.

Facciamo un esempio, il più semplice ma anche il più innovativo: nel caso di metriche di sostenibilità ambientale non si tratterà solo di illustrare le politiche di riduzione di utilizzo di plastica monouso in azienda, ma (esempio di metrica espansa) occorrerà calcolare le tonnellate stimate di plastica monouso consumate lungo tutta la filiera e il valore di impatto sociale dello smaltimento dei rifiuti solidi, comprese le materie plastiche e altri flussi di rifiuti.

Non potendo analizzare tutte le metriche ci soffermiamo su quelle collegate direttamente alla digital transformation e alla innovazione, che insieme a quelle su diversity e inclusione e sulla lotta alla corruzione, sono gli aspetti che risuonano maggiormente sotto il profilo del rispetto “diretto” dei diritti delle persone

Le metriche di sostenibilità nell’innovazione, dunque
Fanno parte del pillar della Governance, innanzitutto e riguardano, c’era da aspettarselo, proprio il management dell’asset principale dell’economia digitale: i dati. La capacità di gestire i dati diventa qualità ricercata nella guida strategica delle aziende (data stewardship). La capacità di supervisione dei rischi e delle opportunità nella gestione dei dati aziendali (così come il climate change) diventa qualità dei consigli di amministrazione e degli amministratori delegati. Si tratta di un’area “critical”. Le priorità di data stewardship, come definite dal recente report Integrated Corporate Governance, includono la sicurezza informatica (cybersecurity), ma anche l’uso e la governance di intelligenza artificiale e di sistemi di apprendimento automatico, così come le questioni di privacy e proprietà dei dati raccolti, gestiti e utilizzati. “Le conseguenze della perdita di dati o del guasto del sistema può essere materiale ma anche esistenziale, e il ritmo del cambiamento tecnologico nella quarta rivoluzione industriale suggerisce che i consigli di amministrazione dovrebbero impegnarsi nella supervisione di questi tipi di rischi emergenti e delle opportunità che dalla gestione dei dati provengono”.

Per fortuna l’Unione europea è (si spera) un passo avanti in questa sensibilità grazie al GDPR ed ora anche alla elaborazione nata a seguito delle Carte etiche sulla Intelligenza artificiale responsabile e alla annunciata disciplina comune in materia di algoritmi. Ma il rapporto del WEF è già una guida su come “calare” enunciazioni prescrittive nella vita dell’azienda e portarle a valore.

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Il valore del rapporto
Ci auguriamo non solo simbolico; ma certamente l’aver pubblicato un documento ampio e onnicomprensivo ha una valenza di impatto consistente.

Non solo. L’aver coinvolto le Big Four che si occupano della consulenza e della revisione dei bilanci nella riflessione verso il Capitalismo degli stakeholders significa coinvolgere nella visione stakeholder strategici, snodi da cui il “messaggio” può essere meglio diramato.

Poi c’è il valore “pratico” per le aziende e società di buona volontà, che potranno seguire le indicazioni del rapporto per valutare ogni scelta aziendale e posizionarsi così, grazie anche alla disclosure, tra le aziende virtuose, con la giusta aspettative di aumentare il valore reputazionale ed economico, se è vero che sostenibilità e profittabilità possono coesistere (vedi infografica)
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Infine, a mio avviso, c’è il valore “esemplare”. Una buona pratica rimane una buona pratica anche al di fuori del settore specifico in cui nasce (le società per azioni quotate in borsa, innanzitutto). Ma l’esempio può espandersi ad ogni ambito societario e, se ci pensiamo bene, anche ad altri settori produttivi: le professioni e le pubbliche amministrazioni. Il valore “esemplare” potrebbe abituare tutti i fattori produttivi, impegnati da qui a cinque anni, a mettere a frutto il NextGeneration Fund lungo le direttive politicamente individuate: Innovazione – Sostenibilità ambientale – Inclusione. E nel contempo fare dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo sostenibile non una dichiarazione di intenti ma una serie di scelte operative strategiche.

Twitter @clamorelli