Recovery Fund: i politici che danno risposte elusive tradiscono il mandato?

scritto da il 12 Ottobre 2020

“Se non si interviene con misure specifiche, non c’è speranza”. Oppure: “Ci vogliono le riforme, noi lo predichiamo da anni”. Ancora: “Dobbiamo ridurre la burocrazia”. Variazioni sul tema o combinazioni, oltre a essere lecite, potrebbero stancarci oltremodo. La litania dei buoni propositi ha attraversato l’intera epoca repubblicana, materializzandosi di frequente come una sorta di morboso canto funebre. Tutti pronti a decantare il declino per potersi proclamare eroi della rinascita: politici, giornalisti, titolisti, opinionisti. E, se abbiamo dimenticato qualche categoria, ce ne scusiamo subito.

Siamo davvero il peggior paese del mondo?

Una cosa è certa: la narrazione del dolore e del disastro reca in sé un che di estetico e seducente e conferisce al narratore un certo potere, un potere che viene esercitato inconsciamente sul cittadino. Nella picaresca saga che ne deriva, qualcuno, forse, immagina di farsi paladino della redenzione. Il dilemma tuttavia è d’altra natura: questi predicatori di sventura sanno che cos’è una misura specifica, che cos’è una riforma, che cos’è la burocrazia? Vien fatto di chiederselo perché, nella maggior parte delle interviste audio-video e spesso anche in quelle messe per iscritto, i mantra non mancano mai: i contenuti, invece, sono sempre assenti. Invitiamo i lettori a prestare attenzione al fenomeno in questione, che spesso si traduce nel seguente e stitico, misero e macchiettistico dialogo:

“Lei cosa propone per risollevare il paese?”

“Ci vuole il coraggio delle riforme!”

Del resto, nulla si sa. Si tratta di un linguaggio senza oggetti, un discorso che delude ogni aspettativa politica ed economica, ma anche linguistica. In pratica, non esiste neppure un focus. Taluni ripetono ossessivamente la domanda. Talaltri, i destinatari, si guardano ben dal rispondere, anzi rispondono in modo tangenziale. Lettori e ascoltatori non protestano e, se i titoloni, sono fatti bene, like e condivisioni crescono a dismisura. L’atmosfera sembra quella de Il deserto dei tartari di Dino Buzzati. I militari della fortezza vivono unicamente nella speranza che, un giorno, arrivino i presunti nemici: in questo modo potrebbero dare un senso alla propria esistenza immaginaria, ma dei Tartari nemmeno l’ombra.

Nella spirale della lingua immaginaria, in seguito al Consiglio Europeo di luglio, è entrato anche il noto Recovery Fund, un piano da 750 miliardi, strutturato con un’emissione di debito a garanzia UE e suddiviso in sovvenzioni per 390 miliardi e prestiti per 360 miliardi. Per la restituzione c’è tempo: entro il 2058. All’Italia spettano, per così dire, 209 miliardi, 82 di sussidi e 127 di prestiti. Tuttavia, c’è una condizione: entro l’autunno, il Governo italiano dovrà presentare all’UE un piano di riforme su lavoro, fisco e giustizia. Fin qui, non abbiamo rivelato alcunché di nuovo. Firme ben più autorevoli hanno descritto egregiamente la materia di questa misura di ‘politica di recupero’. Nello stesso tempo, sono giunte a profusione proclamazioni e appelli: “L’Italia si farà trovare pronta”; “Il Governo onorerà il grande impegno con l’Europa; “Non possiamo mancare l’obiettivo” et similia. Il fatto è che la nostra democrazia è rappresentativa; la qual cosa non costituisce proprio una quisquilia. In altri termini e in soldoni, i rappresentanti eletti, sono anzitutto dei mediatori tra la volontà espressa dal popolo e gl’interessi specifici, all’interno del quadro costituzionale. Se chiediamo a Tizio “Come ti chiami?” ed egli ci risponde “Il nome esprime l’identità della persona. M’impegnerò affinché tu abbia una risposta”, allora l’alleanza conversazionale ed elettiva, s’interrompe.

Parrà strano, ma, a dire il vero, sono state stabilite delle Linee guida per la definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza. A pagina 11 e a pagina 13 di questo documento, la cui data è quella del 15 settembre 2020, leggiamo con grande entusiasmo che l’Italia ha degli obiettivi e delle missioni. Il redattore ne fa proprio un elenco, che vi proponiamo nel rispetto della fedeltà alla fonte, il Governo.

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Raddoppiare il tasso medio di crescita dell’economia italiana. Cioè? In che modo? Elevare gli indicatori di benessere, equità e sostenibilità ambientale. È vero, l’espressione “linee guida” non impone che si faccia, nel contempo, la descrizione di action plan nazionale, ma, nel caso in specie, la letterina a Babbo Natale parrebbe più credibile. Rafforzare la sicurezza e la resilienza del paese. Se aggiungiamo un corso di poesia per tutti e almeno una proposta sulla pace nel mondo, forse la befana non ci porterà il carbone. La vaghezza di questa letteratura di politica economica è talmente stucchevole da generare sconcerto. Nella sostanza, ci tocca rilevare che, in fatto di economia, non esiste un vero e proprio dialogo tra cittadino e rappresentante.  Nelle 38 pagine del documento, non si trova alcuna specificazione, neppure un misero esempio con cui immaginare il modo in cui il denaro verrà speso. È bene far notare, tuttavia, che non si tratta di una novità; al contrario, non si fa fatica a definirla un’abitudine che nessuno sembra ‘voler’ contrastare.

Un esempio. La Commissione Europea ha stabilito che si sarebbe dovuta rafforzare la ricerca in termini di prevenzione sanitaria. A tal fine ha finanziato il programma Orizzonte Europa dotandolo di circa 95 miliardi euro. Un programma affine è l’EU4Health, la risposta europea al Covid-19 la cui dotazione è di molto inferiore a Orizzonte Europa: 9,4 miliardi. Nell’ambito del bilancio europeo di competenza, ma non prima del 2021, si potranno presentare domande di finanziamento. Discorsi simili potremmo fare per il REATC-EU, il RESC-EU et cetera. Ebbene? In precedenza, abbiamo pubblicato gli obiettivi. Adesso, riportiamo le missioni.

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Le macroaree paiono pertinenti, ma, a due mesi dalla scadenza, la loro genericità è spaventosa. ‘Chiedendo’ a Google in che modo l’Italia spenderà i soldi del Recovery Fund, ci aspetteremmo, tra le altre cose, che le pagine di comunicazione istituzionale fossero tra le più indicizzate. Invece, fatta eccezione per le suesposte linee guida e dei video-intervista di Di Maio in cui fa bella mostra il titolo “Adesso, pensiamo a come spendere i soldi del Recovery Fund”, non compare alcunché. Ciò che tragicomicamente manca – intendiamoci! – è non già il cosiddetto piano, bensì il piano della realtà, nonostante l’irrefrenabile verbosità di chi, in questi mesi, ci ha bombardati di sostantivi ed espressioni strumentali: commissioni, esperti, task force, digitalizzazione, transizione green et similia. Da ultimo e con particolare forza virale: progetto. Sono tanti, troppi: più di cinquecento per un valore che supera di più di tre volte la somma concessa dall’Europa, quasi 700 miliardi, a fronte dei 209 summenzionati. Di conseguenza, occorrerà fare una rigida selezione.

L'Aula del Senato

L’Aula del Senato

È pur vero, come s’è detto, che il Governo potrà disporre del periodo autunnale per fare le proprie scelte, ma ci chiediamo perché si debba alimentare questa malattia endemica dell’incomunicabilità economico-politica. Non vorremmo pensare male, anche se le alternative, dirette o indirette, sono due: o non esiste una classe dirigente con specifiche competenze, in grado di raccontare la ‘storia’ del paese, oppure il fine di questa grande manovra è così ambiguo che solo in pochi ne conoscono la vera natura. Non entriamo adesso nel merito delle proposte progettuali perché, di fatto, potrebbe verificarsi tutto e il contrario di tutto. Si pensa a una detassazione degli aumenti contrattuali, a degli incentivi per il lavoro flessibile, a dei poli tecnologici, a delle borse di studio, a dei bonus per l’acquisto di computer e tante altre cose. Tuttavia, nessun punto fermo, anzi una fragilità che sta tra l’indeterminatezza pirandelliana dei personaggi in cerca d’autore e quella delle fatiche dell’agrimensore kafkiano alla ricerca dell’inarrivabile castello.

Attenzione! Resta aperta la questione delle riforme, occultata in parte dall’entusiasmo generato dai progetti. A scuola, un docente, dopo aver formulato una teoria o esposto una regola, di solito fa qualche esempio che permetta al discente di comprendere meccanismi, possibili interpretazioni e naturali applicazioni. È evidente che il Parlamento non è l’aula di un liceo e le presunte discussioni che vi si svolgono – quando si svolgano – dovrebbero essere, per tutti noi, una garanzia di perfetto ‘funzionamento’ della democrazia, ma ci sia lecito porre due domande elementari!

  1. I membri di questo corpo legislativo non sono forse chiamati a rispondere continuamente al cittadino?
  2. Coloro che rispondono in modo elusivo o inconsistente o, addirittura, ingannevole non dovrebbero forse essere ‘accusati di tradimento del mandato?

Confidiamo che qualche giurista di buona volontà voglia intervenire a smentirci o ad arricchire e chiarire la tormentosa tesi.

 

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