Perché lo smart working non diventi il greenwashing del lavoro

scritto da il 16 Ottobre 2020

Post di Elisabetta Calise, HR business partner. Avvocato. Fa parte del board esecutivo della Scuola di Politiche –

Oltre agli effetti sulla vita quotidiana e ai poteri straordinari riconosciuti a esecutivo e regioni, la proroga dello stato d’emergenza fino al 31 gennaio 2021 avrà inevitabili conseguenze sulle modalità di lavoro che interesseranno all’incirca 8,2 milioni di italiani (fonte Eurostat). 

“Smart working” scala la classifica delle parole che più hanno plasmato la descrizione del lavoro nel 2020. Con una felice metafora qualcuno ha detto che “non si può rimettere il dentifricio nel tubetto” e c’è effettivamente da constatare che l’evoluzione dell’esecuzione della prestazione lavorativa, appena cominciata con un’impennata, sia inarrestabile.

Quello che a ragione è stato da molti stigmatizzato come telelavoro è il solo modus che abbiamo per far coincidere, in questa fase storica, le ragioni del distanziamento fisico con quelle della prosecuzione dell’attività lavorativa. E dunque, pur consci di esser di fronte all’antenato del working in una modalità realmente smart, non possiamo non cogliere la sfida di riflettere programmaticamente su come far collimare queste modalità di lavoro con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, in particolare il n.8: promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena occupazione e il lavoro dignitoso per tutti.
Oltre al diritto alla disconnessione, di cui si è largamente parlato, sono almeno altri tre i punti da attenzionare perché lo smart working della L.81/2017 possa debuttare, con buona soddisfazione di tutte le parti coinvolte, negli anni ‘30: il ruolo della contrattazione sindacale, la valorizzazione del lavoro straordinario, l’allocazione delle voci di costo del lavoro.

Sul futuro delle relazioni industriali si è pronunciato più volte Maurizio Landini, non da ultimo alla Summer School della Scuola di Politiche di Enrico Letta, in favore del recupero del compromesso storico della Federazione CGIL, CISL, UIL: “Dai sindacati ci aspettiamo un ammodernamento, una riappropriazione della centralità nel dibattito economico-politico, che passi per il superamento delle ragioni che portarono alla divisione in tre sigle e conduca alla costituzione di un sindacato unitario, che rappresenti tutti i lavoratori e rafforzi il ruolo della contrattazione collettiva nei luoghi di lavoro”.

È sul rapporto di prossimità tra questi corpi e i lavoratori che dovremmo fondare, infatti, la concertazione delle misure atte a garantire una gestione win-win dello smart working.

A pieno regime ci aspettiamo, d’altronde, che la smartness – che informa il complesso meccanismo di fiducia/flessibilità/lavoro per obiettivi – non sia richiesta nei soli giorni di prestazione resa al di fuori dei locali aziendali e bensì pervada anche quelli di presenza in sede. Sarebbe quanto mai singolare chiedere ancora a lungo a una TAV di essere per qualche giorno alla settimana un intercity.

Il lavoro straordinario, ad esempio, retribuito con maggiorazioni in busta paga perché prestato oltre il normale orario di lavoro fissato dal CCNL di riferimento, non è che la cartina di tornasole di un retaggio del passato. Esso viene riconosciuto, infatti, al verificarsi di una condicio sine qua non – il lavoro in sede – che probabilmente mal si armonizza con l’abbandono di concetti come presenzialismo e controllo stringente del cartellino.

Sono forse maturi i tempi per ripensare i sistemi di premialità in uso e valorizzare primariamente chi fa un lavoro straordinario, nel senso di “formidabile”, fuori o dentro l’ufficio.

Opportunità emergenti e mutamenti di scenario impongono d’altra parte la necessità di definire nuovi modelli di pianificazione costi e allocazione ottimale delle risorse. Quanto ha ancora senso investire su piani di welfare che fanno dell’automobile aziendale il perno del sistema dei benefit accordati a middle e top management, atteso che green e sharing economy sono gli ecosistemi entro cui deve necessariamente muoversi lo smart worker? Quanto sarebbe coerente con il working smart, viceversa, allocare budget sull’acquisto di attrezzature high tech di cui dotare tutti i dipendenti o su progetti di proficua collaborazione con territori e terzo settore, volti ad accrescere la risposta smart delle grandi città e dei piccoli centri?

Azionare queste leve vorrà dire non condannare lo smart working ad essere il greenwashing del lavoro.

Twitter @Eli_Calise