Cina, unico paese a crescere nonostante il Covid-19

scritto da il 10 Novembre 2020

Non a tutti e non facilmente capita di avere a portata d’occhio il Global Wealth Report del Credit Suisse Research Institute. Non è di certo una letturina rilassante in cima ai bisogni intellettuali degl’italiani: bisogna ammetterlo. E non fa neppure parte del cosiddetto circuito ‘social’, quello che, per ‘effetto rimbalzo’, genera e annienta notizie e personaggi con incommensurabile velocità. Fino allo scorso anno, sarebbe bastato adottare l’aggettivo “virale” per darne un’idea; oggi, è opportuno guardarsi bene dall’uso di alcune ambigue attribuzioni. A ogni modo, il Global Wealth Report è, molto probabilmente, uno dei documenti più circostanziati che, di anno in anno, vengano scritti a proposito della ricchezza delle famiglie.

Fin qui, nulla di nuovo o sconcertante. E neppure alcunché d’interessante, a dire il vero! Chiunque può accedervi e passare in rassegna i dati in esso contenuti. Per gli addetti ai lavori, è una sorta di passaggio obbligato, come si suol dire. I dati, però, non sono tutto e, se vengono per giunta somministrati in modo parziale, possono diventare esattamente il contrario di tutto. Malafede? Impossibile a dirsi. Troppo agevole accomodarsi sul piano riposante e fantasmagorico del complotto. Agevole, sì, oltre che macchiettistico, insensato e misero. Ogni fenomeno informativo, quale che ne sia la natura, risponde sempre a una necessità morale collettiva, a una geometria dell’equilibrio sociale o, diversamente, a una impronunciabile volontà di preservazione capitale della comunità civile.

Giochiamo per qualche riga con i “se” e ipotizziamo che il governo abbia commesso un errore iniziale nell’interpretazione della pandemia, diffondendo quindi informazioni errate o imprecise. Se ciò è accaduto, l’informazione che n’è derivata è stata fuorviante fin dal primo istante. Ipotizziamo, per converso, che, a un certo punto, si siano resi conto dell’errore. In quest’ultimo caso, che cosa avrebbero dovuto fare? Dire “ci scusiamo, abbiamo sbagliato tutto”? Ne siamo davvero convinti? Molti pensano che sarebbe stata questa la cosa più corretta. Noi ci chiediamo: che cosa sarebbe successo per le strade? Non si pensa che la gente afflitta e arrabbiata si sarebbe riversata per le strade a chiedere la testa dei colpevoli? Le conseguenze d’una inevitabile rappresaglia non sarebbero forse state peggiori dei danni causati dal lockdown e dal virus? Gli agitatori occulti, subdoli e instancabili, da sempre presenti in ogni paese, in genere, fanno leva proprio sui disagi e si esercitano continuamente nella designazione del capro.

Dicevamo che i dati non sono tutto, anzi, spesso, a seconda del modo in cui sono esibiti, sono il contrario di tutto. Il problema è sempre lo stesso: una democrazia – lo si accetti o no! – è fatta per chi studia almeno un po’; diversamente, il cittadino diventa inconsapevolmente una sorta di suddito dei partitini al potere. Sulla base di quest’ultimo scontato ed elementare aforisma, riportiamo l’attenzione sul Global Wealth Report per affermare a bruciapelo quanto segue:

  • la Cina è l’unico paese al mondo che, nonostante il coronavirus, chiuderà il 2020 in crescita. Secondo le analisi e le previsioni della World Bank, l’incremento sarà del 2% circa.

Postilla linguistico-ermeneutica fondamentale: abbiamo scritto “nonostante il coronavirus”, non “(…) che abbia tratto benefici dal coronavirus”.

Postilla socio-politica: la Cina non è una democrazia; è fondata sul monopartitismo e sull’unitarismo estremo. Per Costituzione, si definisce “Stato socialista di dittatura democratica popolare (…)”. Dunque: il suo governo è autoritario e la sua economia, pur essendo aperta al mercato, si sostanzia nella pianificazione.

Oggi, com’è noto, è la seconda potenza mondiale con più di 14 trilioni di dollari di PIL a prezzi correnti. In effetti, nel primo trimestre dell’anno, aveva subito una contrazione pari al 6,8%: si è trattato del calo peggiore dagli anni Sessanta. Tuttavia, l’accelerazione economica e la ripresa sono state fulminanti: a proposito di accelerazione, a settembre, s’è registrato addirittura un +4,9% rispetto allo scorso anno. La sua produzione industriale è tornata a far segnare valori positivi, attestandosi a +5,8% nell’ultimo trimestre, mentre il commercio online è aumentato addirittura del 15,3%. Gli analisti della World Bank prevedono che, nel 2021, il PIL cinese aumenterà quasi dell’8%. Pertanto, numeri alla mano, di certo non possiamo dire o pensare che la pandemia abbia indebolito la Cina. Al contrario, a ben vedere, ha rafforzato il suo ‘stato patrimoniale’ anche rispetto agli Stati Uniti, che la precedono nella classifica delle potenze mondiali.

fonte: IMF

Cina, PIL – fonte: IMF

Il mondo, infatti, resta al palo. Brutta espressione, è vero. Ma i poveri del mondo sono ancora più ‘affamati’. L’America Latina ha subito finora il peggiore calo in termini di PIL: -12,8%. Al contrario, i 51,9 milioni di milionari del pianeta non hanno avvertito affatto il disagio né si sono dovuti misurare con le difficoltà note ai più. Semmai, si può parlare di un cambiamento nella gestione delle risorse: naturalmente, è aumentato il tasso di risparmio e s’è avuta una flessione dei consumi. Nello stesso tempo, i redattori del report di Credit Suisse scrivono:

L’impatto complessivo sul patrimonio sarà probabilmente limitato, poiché non sono previste restrizioni sulla spesa nel lungo periodo.

Gli stessi analisti hanno stimato, inoltre, che, a livello globale, il covid-19, solo tra gennaio e marzo, ha sottratto alle famiglie 17.500 miliardi di dollari. In termini di ricchezza collettiva, invece, la riduzione è stata pari a 1.391 dollari per adulto. Essi ci fanno notare, tra le righe, che, tutto sommato, il patrimonio collettivo non è stato intaccato molto, tant’è che non possiamo fare a meno di leggere una loro conclusione: “(…) nel 2020 il mondo si è trovato in una posizione migliore per assorbire le perdite dovute al COVID-19”. Un paradosso urticante, se pensiamo ai proprietari di bar e ristoranti che, in questi giorni, dalle nostre parti, versano lacrime di sangue. I calcoli fatti di recente da Confcommercio, secondo i quali, con un coprifuoco dalle 23 alle 5, il comparto avrebbe perduto circa 700 milioni di incassi, adesso, cioè in considerazione della nuova misura restrittiva, sono diventati pure obsoleti. Ed è algebricamente evidente che nessun provvedimento potrà ripagare loro il danno, ammettendo che la macchina burocratica sia messa in moto con efficienza e rapidità. Sappiamo bene che così non è stato nella prima fase.

Il paragone con la Cina, quantunque illogico sul piano politico-economico, risulta ancora una volta necessario e, forse, anche dominante sul piano geo-finanziario. Che cos’hanno in comune Italia e Cina? Premettendo che, nel 2020, non esiste paese che non abbia qualcosa in comune con un altro, è appena il caso di dire che, tra gennaio e luglio 2020, abbiamo esportato verso la Cina prodotti per più di 6,5 miliardi di euro, ma ne abbiamo importati per più di 19 miliardi. Morale della favola? La nostra bilancia commerciale, nei confronti della Cina, è negativa. In pieno governo gialloverde, tra le altre cose, la Banca d’Italia aveva iniziato a includere ‘amorevolmente’ il renminbi e i titoli di stato cinesi tra le proprie riserve valutarie e, negli ultimi anni, la Repubblica Popolare ha acquisito partecipazioni in Pirelli, Ansaldo Energia, CDP Reti, Caruso, Buccellati, Ferretti Yacht, Krizia, Candy, FC Inter, AC Milan, Moto Morini, Snam, Terna, Eni, Fincantieri, Italgas, Unicredit, Intesa Sanpaolo et cetera. Ci fermiamo qui a scopo esemplificativo perché la lista è davvero lunga e articolata.

Concludiamo con un invito alla riflessione, che consegniamo al lettore in modo acritico.

Il gigante asiatico ha prestato all’Africa in dieci anni circa 200 miliardi. La maggior parte di questi prestiti sono andati ad Angola, Zambia, Congo, Sudan, Kenya, Etiopia e Camerun. Solo poco più dell’1,5% di questa somma è stato destinato a istruzione, sanità e investimenti immediatamente utili al benessere della popolazione. Il resto è stato versato in blocco per – guarda caso! – trasporto, energia ed estrazione. Secondo l’autorevole fonte del report Bond, Bills and ever bigger Debts, l’Africa Confidential, lo Zambia, nell’incapacità di pagare il debito contratto, s’è vista costretto a trattare la cessione della propria società elettrica alla Cina. Oggi, lo Zambia, è il primo paese al mondo sul punto di dichiarare default a causa della pandemia. E il suo creditore incalza.

 

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