Dati e telemedicina: la ricetta per la salute del futuro

scritto da il 10 Novembre 2020

Diagnosi, terapie, analisi di laboratorio, farmaci e dispositivi medici. Ogni paziente “produce” un’enorme quantità di dati. Riuscire a categorizzarli, confrontarli ed elaborarli può risultare decisivo per la salute della persona e, in alcuni casi, costituisce il discrimine nella capacità o meno di salvare una vita umana.

Nei dati si possono trovare le risorse necessarie per predisporre le cure più adeguate, non solo nei casi di malattie conclamate, ma anche per patologie che si presentano all’improvviso. Pensiamo ad esempio al contributo dei wearable per fornire indicazioni utili e, in molti casi, per far scattare l’allarme in caso di pericolo.

Al di là degli sviluppi futuribili, i dati sono disponibili in grande quantità già oggi. Tuttavia il Servizio Sanitario Nazionale fa una fatica enorme nell’utilizzarli, farli dialogare tra loro, elaborarli affinché siano alla base di decisioni operative. Il problema nasce dal fatto che in Italia abbiamo 20 sistemi regionali differenti e altrettanti sistemi di raccolta. Ma anche da una scarsa cultura diffusa tra gli operatori del settore nell’uso di strumenti informatici. Gap culturale che con l’arrivo di strumenti di Intelligenza Artificiale andrà aumentando.

Lo stiamo vedendo anche con la pandemia di Covid-19: i dati non sono sempre disponibili in maniera completa o lo sono in maniera non omogenea. Un approccio che complica il lavoro di chi quei dati è in grado di analizzarli, per poi suggerire strategie di azione finalizzate a contrastare la pandemia.

Spesso viene sottolineato che la digitalizzazione su larga scala della sanità si scontra con un problema di risorse, in quanto ammodernare i sistemi informatici, metterli in rete tra loro e formare il personale deputato a utilizzarli richiede investimenti rilevanti. Il tema esiste e, come in tutte le situazioni di scarsità di risorse, richiede delle scelte. Occorre dare più risorse a coloro che si mostrano più capaci nell’impiegarle (anche in questo caso i dati per valutare le performance ci sono) e toglierle ai peggiori. Non dico sia semplice farlo, ma è necessario perché ne va della salute delle persone.

E la salute va tutelata spostando il baricentro della cura in ospedale all’assistenza domiciliare e sul territorio.

Molti contagi avvengono in ambiente ospedaliero per la difficoltà di assicurare un ambiente del tutto sicuro ai pazienti.

Ogni anno, nel nostro Paese, si stimano circa 7.800 casi di decessi per infezioni acquisite nei nosocomi, pari al doppio delle morti legate agli incidenti stradali. Per assurdo l’ospedale è uno dei luoghi più pericolosi in cui stare.

Il futuro dell’assistenza dovrà essere sempre più a casa del paziente, dato che ormai il progresso tecnologico consente di effettuare a distanza visite ed esami avanzati, oltre ad assicurare un monitoraggio costante delle persone in difficoltà. Anche in questo caso con la possibilità di incrociare i dati che emergono dalle rilevazioni in tempo reale con lo storico del singolo paziente e con le casistiche di altri pazienti.

Nella drammaticità della pandemia, il Paese sta scoprendo che la transizione al digitale non è utopia (come ha dimostrato l’introduzione rapidissima della ricetta via Sms); ora occorre fare un passo ulteriore e diffondere le buone pratiche su vasta scala.

Videovisite, Chat, Wearable, strumenti di raccolta diagnostica, piattaforme informatiche di scambio dati tra medico e paziente, sono tutti strumenti già esistenti e pronti per essere utilizzati su grande scala. Abbiamo bisogno di volontà politica, risorse dedicate e cambiamento delle abitudini di medici e pazienti nell’uso di questi strumenti. Ora è il momento di farlo.

Twitter @lforesti