Più formazione continua o perderemo 2 milioni di posti di lavoro

scritto da il 11 Novembre 2020

Post di Andrea Malacrida, amministratore delegato Adecco Italia –

In qualità di responsabile di un gruppo che in Italia si impegna a supportare ogni anno 200 mila persone, permettendo loro di esprimere al meglio le potenzialità attraverso il lavoro, sento il dovere di lanciare un grido di allarme. Non mi riferisco alla situazione sanitaria, che viene quotidianamente gestita grazie allo sforzo di medici, infermieri ed esperti, ma a quella di tutti i professionisti e lavoratori che stanno vivendo momenti di grande incertezza rispetto al loro futuro. Continuo a sentire pareri e numeri quantomeno discordanti e poco allineati alla situazione che stiamo vivendo.

La realtà ci dice che purtroppo, alla fine del blocco dei licenziamenti appena prorogato fino alla fine di marzo 2021, rischiamo di perdere oltre 2 milioni di posti di lavoro, 425 mila dei quali già spariti a causa dei contratti a termine non rinnovati. Un dramma che potrebbe colpire una platea molto eterogenea di lavoratori: dagli autonomi e i professionisti assunti con contratti a tempo determinato, già messi fortemente a dura prova in occasione della prima ondata della pandemia, agli assunti con contratti a tempo indeterminato.

Tutti dovranno essere preparati a gestire nel migliore dei modi una nuova situazione emergenziale, che può essere governata solo attraverso due aree di intervento: la formazione continua e la revisione di alcuni provvedimenti recentemente introdotti nel mercato del lavoro.

Group of business people joining together silver and golden colored gears on table at workplace top view

Group of business people joining together silver and golden colored gears on table at workplace top view

Sul tema della formazione, il nostro Paese deve cambiare paradigma: da occupazione dobbiamo cominciare a parlare di occupabilità. Un cambio di visione che risulta ancora completamente assente sia a livello di politiche attive, sia nel nostro sistema di istruzione. Nei mesi scorsi, durante i periodi di fermo dei lavoratori in cassa integrazione si sarebbe dovuto agire con programmi obbligatori di apprendimento e formazione, con l’obiettivo di completare la loro spendibilità o riadattabilità verso i settori affini o più in crescita del mercato. A livello di formazione, invece, faccio l’esempio degli Istituti Tecnici Superiori, che permettono a una media del 79% di diplomati di trovare lavoro dopo un anno dal conseguimento del titolo. In Italia abbiamo da poco superato quota 10 mila studenti iscritti agli ITS, ma è ancora troppo poco rispetto a quanto si fa nel resto d’Europa.

Per quanto riguarda la revisione dei provvedimenti relativi al mercato del lavoro, penso invece al Decreto Dignità, che dal momento della sua introduzione ha creato non pochi problemi. In questi due anni, si sono persi posti di lavoro, poi rimpiazzati con nuovi lavoratori non formati. Dei contratti a tempo determinato che erano al dodicesimo mese, solo una minima fisiologica parte (circa il 10%) è stata trasformata a tempo indeterminato, mentre il restante 90% è stato sostituito. In pratica è aumentata la precarietà che il Decreto avrebbe dovuto contrastare. Il congelamento delle causali per i contratti a tempo, la cui proroga deve essere necessariamente estesa a tutto il 2021, e il blocco dei licenziamenti rappresentano solo palliativi che posticipano un dramma che esploderà una volta che questi provvedimenti temporanei cadranno. Bisogna invece agire con misure strutturali.

Twitter @aamalacrida