PMI italiane, tra pandemia, tracollo e prospettive di ripresa

scritto da il 12 Novembre 2020

Post di Eleonora Maglia, giornalista. Eleonora svolge attività di ricerca e pubblicazione per il Centro di documentazione Luigi Einaudi di Torino –

Secondo i dati Prometeia, in Italia le piccole medie imprese rappresentano il 92 per cento delle aziende attive e impiegano l’82 per cento dei lavoratori, ovvero rispettivamente 5,3 milioni di entità economiche e 15 milioni di persone. Visto il significativo contributo sia a livello economico che sociale, per avere una risposta efficace contro gli effetti pandemici è utile isolare le conseguenze e focalizzarsi sull’impatto e la reazione alla crisi sanitaria delle realtà minori per dimensioni (numero di dipendenti tra 10 e 250 e fatturato tra 2 e 50 milioni di euro, come da requisiti della classificazione della Commissione Europea).

Secondo il rapporto Cerved, il Covid-19 si è inserito lungo una fase di ripresa dalla crisi finanziaria che, seppur lentamente, tendeva efficacemente a riportare le imprese a livelli patrimoniali e finanziari solidi (se, nel 2007, il 25 per cento delle società sul mercato presentavano un bilancio a rischio, nel 2019 questa percentuale risulta abbattuta all’11 per cento) ma, per i fatturati 2020, viene stimato un calo di 11 punti percentuali con conseguenti tagli nei costi operativi e dei costi per servizi.

Per tutto quanto accaduto poi il tasso della natalità di nuove imprese (azzerato tranne che nelle filiere sanitarie durante il lockdown, pur ripreso con la fase 2) registra complessivamente un calo del 25 per cento rispetto all’equivalente nel 2019. Un problema non da poco e con effetti di medio lungo periodo per la forza lavoro se si pensa che, in media, nei primi 5 anni di attività, le nuove società contribuiscono per oltre metà alla nuova occupazione e che, in virtù degli interventi legislativi, il numero di fallimenti e liquidazioni volontarie causate dal Covid-19 non si è ancora espresso.

In tutto ciò, pur in un panorama di deterioramento dei ricavi anche superiore ad un quarto per il 12 percento del totale delle PMI, le stime Cerved rimangono mediamente favorevoli, con esiti di chiusura nel 2020 di pareggio o utili d’esercizio e indici di redditività positivi pur inferiori al 2007. Tutto ciò perché la struttura della crisi per Covid-19 ha un andamento asimmetrico e settoriale, con la filiera turistica, la ristorazione e il sistema moda maggiormente colpiti. L’analisi delle perdite attese mostra situazioni ingestibili soprattutto per la ricezione turistica (valori in tabella).

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Alla luce della recrudescenza nel numero dei contagi, delle misure di contenimento e dei nuovi lockdown progressivamente avviati, però, il numero di PMI colpite dalla crisi Covid-19 e a rischio di default potrebbe esorbitare i settori ora più colpiti e interessare via via anche le altre classi aziendali, dimezzando il numero di PMI che allo stato attuale possono considerarsi al sicuro. In proposito, la simulazione sui bilanci di Cerved restituisce uno scenario severo, con contrazioni dei ricavi in termini reali e del valore aggiunto rispettivamente di 16,3 e di 26,7 punti percentuali e, per il CGS impact, la quota di PMI a rischio di insolvenza salirebbe a 21,4 per cento, anche qui con distribuzioni disomogenee a danno dei settori che hanno già sostenuto un impatto intenso ad inizio 2020.

In conclusione, il Covid-19 è tuttora una sfida sanitaria generalizzata e gli impatti sul sistema socio-economico sono ancora incerti, ciononostante capire intanto la misura e il posizionamento delle asimmetrie è il primo passo per una strategia di ripresa concreta che, in un processo ragionato di ristrutturazione e selezione, sostenga certamente ove serva ma, soprattutto, sviluppi i progetti più concreti e più meritevoli in termini di valore, occupazione e innovazione (ad esempio solo il 9 per cento delle PMI possiede digital capabilities elevate).

Quando cesseranno strumenti come il blocco dei licenziamenti, infatti, le imprese potrebbero ridurre il numero degli occupati da 769mila a 1,4 milioni di unità per l’uscita dal mercato delle società più fragili e per l’adeguamento della forza lavoro al ridotto giro d’affari, con una contrazione del tasso di occupazione al 41,1 per cento (simulazione Cerved), che interesserebbe soprattutto il Mezzogiorno, area già economicamente fragile e maggiormente specializzata proprio nelle attività più colpite dalla pandemia, con un comprensibile aumento del divario Nord-Sud.

Nonostante le rilevazioni Istat mostrano che il Pil italiano nel terzo trimestre ha registrato un rimbalzo del 16,1 per cento contro il -13 percento precedente, la Commissione europea (con previsioni di Pil europeo a -7,4 per cento e italiano a -9,9 per cento) allerta sul rischio che la seconda ondata possa bloccare la ripresa e stima in due anni e mezzo il tempo necessario per ritornare ai livelli pre-pandemici. In tutto ciò, con una peculiarità propria che Becattini (2007) chiama calabrone Italia, le piccole e medie imprese italiane riescono a coniugare un legame stretto con i territori di appartenenza e con le tradizioni ivi radicate ed una evoluta capacità di innestarsi in catene del valore globali e complesse: un capitale accumulato e concentrato da salvaguardare, soprattutto nel momento turbolento.