Venditori di fumo o consulenti di web marketing? Come non farsi ingannare

scritto da il 16 Novembre 2020

Dal 1997 al 1998, la RAI mandò in onda Macao, un programma d’intrattenimento ideato da Gianni Boncompagni e condotto da Alba Parietti. I più grandi ne ricorderanno sicuramente il contenuto: comicità paradossale e brechtiana, fondata cioè sui limiti culturali e i disagi psicologici dell’italiano medio. A cornice dei dialoghi venivano cantate delle canzonette scritte apparentemente secondo la formula del non-senso, ma che, nella sostanza, seguivano fedelmente il leitmotiv autoriale. In una di queste, si diceva: “Pensi che Ferdinando sia un gerundio (…) Pensi che Dante sia l’inventore dell’olio” et similia. Sulle prime, il significato di queste frasi, in effetti, suscita ilarità; nessuno è disposto sbrigativamente a reputarle vere, non altrimenti che se, per convenzione, ponessimo un limite alla somaraggine. Di fatto, però, l’osservazione dei fenomeni ‘social’ ci riserva sempre grandi sorprese, sorprese a causa delle quali siamo costretti a rompere gli schemi. Uno degli schemi che ci sforziamo di rompere riguarda il marketing e il suo ‘fratellastro’ il web marketing.

Un paio di anni fa, proprio su Econopoly (clicca qui per leggerlo!) ne avevamo parlato, facendo notare quanto fosse pirandelliana la situazione del presunto marketing man della rete. Nella maggior parte dei casi, si tratta di un soggetto che s’è conferito il titolo da sé, non ha la minima consapevolezza dei processi economici, non sa leggere un bilancio, non sa cosa sia un business plan né, tanto meno, sa redigere un piano SWOT, ma, soprattutto, il più delle volte, è un disoccupato che dissimula la propria condizione mediante il ricorso ad anglismi di copertura. Nel summenzionato articolo del 2018, nel timore che il lettore non fosse pronto a rompere certi schemi, avevamo introdotto a tal proposito le statistiche dell’ISTAT e non avevamo posto alcun indugio nel definirlo un suicidio collettivo.

Ebbene? La situazione è peggiorata.

A questo punto, potrebbero essere avanzate le prime obiezioni. Perché associare il bilancio, il business plan o il piano SWOT col marketing e addirittura col web marketing? Se queste domande si materializzassero davvero, anche la speranza, in genere ultima a lasciarci – “Spes ultima dea” sostenevano i latini”, – sarebbe senza speranza. È appena il caso di affermare, pertanto, che il marketing è una branca dell’economia e non ha niente a che vedere con la gestione di applicazioni e strumenti utili a generare traffico all’interno di una pagina Facebook o di un sito. Tra le altre cose, esiste una ‘cosa’, chiamata AMA, vale a dire American Marketing Association, che è considerata il punto di riferimento in materia. I redattori di questa ‘cosa’, nel 2017, hanno approvato l’ultima definizione di pertinenza, alla quale non ci si può sottrarre per compensare le proprie lacune.

Marketing is the activity, set of institutions, and processes for creating, communicating, delivering, and exchanging offerings that have value for customers, clients, partners, and society at large

Riformulando una rapida e, comunque, agevole traduzione, ricaviamo che si tratta di processi per creazione, comunicazione, consegna e scambio di offerte che hanno un certo valore. Di conseguenza, perché si crei questo valore è necessario conoscere l’indice che esprime l’efficienza economica della gestione caratteristica sulla base del capitale investito, cioè il ROI (Return on Investment), e, giocoforza, il reddito operativo e il capitale netto investito operativo, il ROS (Return on Sales), che ci permette di valutare la profittabilità dell’azione in relazione alle vendite effettuate in un tempo ben definito, il ROE (Return on Equity) quale reddito netto prodotto in un anno e rapportato ai mezzi propri, la rotazione del capitale investito, la rotazione del capitale circolante, la leva finanziaria et cetera Una volta stimati gl’indicatori di bilancio e salute dell’azienda, è doveroso passare a un’indagine di mercato e non possiamo esimerci dall’analizzare la funzione di domanda: Qd=D(P,Y), dov’è evidente che la quantità domandata dipende dal prezzo del prodotto o del servizio e dal reddito sociale. Allo stesso modo, non si può trascurare la concorrenza.

Ci si potrebbe chiedere: perché questo mucchio di parametri?

Rispondiamo dicendo anzitutto che ciò che sembra un mucchio di nozioni altro non è che un insieme esemplificativo e assai limitato della vera programmazione che dovrebbe precedere una scelta d’investimento: anche quando si tratta di poche migliaia di euro. In secondo luogo, aggiungiamo che, in assenza d’un’analisi siffatta, l’azienda, per piccola o grande che sia, s’è affidata a un millantatore o a un venditore che, pur essendo in buona fede, è un povero ignorante. Se non si conoscono i flussi e gli stati economici d’una realtà imprenditoriale, com’è possibile fissarne gli obiettivi?

In altri termini, se andiamo dal bottegaio dietro l’angolo o, per carità, dall’AD d’una qualsivoglia big company – è molto improbabile che l’AD di una BG ci faccia varcare la soglia del proprio ufficio senza le analisi summenzionate, ma… non poniamo limiti alla misericordia divina – e gli vendiamo il servizio “gestione pagina Facebook” o quello di “realizzazione del sito”, non stiamo facendo marketing. Neppure web marketing. Ci stiamo occupando della gestione degli arcinoti social media. Allo stesso modo, la conoscenza del funzionamento di un algoritmo non implica l’autoproclamazione in materia di marketing.

Facciamo un esempio che riguardi proprio la realizzazione di un sito di livello medio. Se, scorrendo il conto economico, nei costi della produzione, alla voce servizi, troviamo una spesa di circa € 15.000,00 per fatture emesse dalla ditta Web X a fronte del noto servizio, non facciamo altro che ricontrollare le immobilizzazioni immateriali dello stato patrimoniale al fine di individuare la corretta corrispondenza. Nello stesso tempo, così facendo, sappiamo pure che ciò che per l’azienda è stato un costo fa crescere anche il valore patrimoniale e completa il fondo d’ammortamento, che ha un’importanza essenziale: i beni e i servizi che hanno una certa durata costituiscono anche ricchezza per l’azienda. Fin qui, nozioni elementari. Un venditore non ha mica il dovere di occuparsene, così da garantire break even point, margine e profitto. Un venditore no, ma un marketing manager o consulente di marketing sì! Se, come scrivono i signori dell’AMA, il responsabile marketing deve creare un certo valore sulla base dello scambio di offerte, allora gli tocca conoscere il punto esatto in cui un costo diventa un valore; altrimenti, costui è un venditore di fumo.

Come non farsi ingannare dai tanti che si presentano alla porta con la mano tesa a ricevere denaro? Non è molto difficile. In primo luogo, occorre chiedere loro un’analisi di bilancio elementare o, diversamente e più correttamente, un’analisi in prospettiva dell’investimento e in presenza del commercialista dell’azienda. Ciò implica che un marketing manager sappia leggere un bilancio? Sì. Inequivocabilmente. Non dev’essere un analista raffinato, ma deve possederne i rudimenti. Nella maggior parte dei casi, i venditori di fumo non reggeranno a questa prima prova. A ogni modo, anche se un consulente ha la responsabilità dei mezzi e non dei fini, l’attivazione di una “pagina Facebook”, per esempio, dev’essere legata a degli obiettivi che giustifichino l’investimento, quale che ne sia la natura. Di conseguenza, il candidato consulente rechi con sé – o lo elabori per tempo – un grafico che mostri il break even point e ciò che ne consegue! La cosiddetta reportistica è essenziale. Qui, come si può notare stiamo ragionando in modo spicciativo. Ma è chiaro che il ‘nostro’ dovrà esibire anche un’analisi SWOT e una dei flussi economici di pertinenza. In caso contrario? Basta sapere che si ha a che fare con un venditore; il che non rappresenta una diminutio, per carità. Ogni ruolo, se interpretato con onestà e trasparenza, merita rispetto. Non è una questione di dignità, intendiamoci!

Purtroppo, se andiamo in giro per il web alla ricerca di definizioni, ci rendiamo conto che pure siti blasonati incorrono in definizioni improprie e fuorvianti: alcuni scrivono che l’attività di web marketing consiste nella scelta delle applicazioni adeguate alla creazione di valore (“applicazioni adeguate”?); altri ritengono che consista nella realizzazione di un sito internet e nella sua promozione attraverso i social network; non mancano poi coloro che, nel definirlo come insieme di strumenti non convenzionali, fanno l’elenco di social media disponibili: Facebook, Twitter et cetera. Insomma, costoro scambiano materialmente il marketing con l’advertising, che naturalmente istruisce una campagna social. Nessuno esclude che applicazioni, strumenti e metodi vari possano rientrare a vario titolo tra gli elementi del web marketing, ma il marketing è, prima di tutto, altra cosa.

Il dramma è proprio nel linguaggio e dal linguaggio si trasferisce immediatamente nell’artificio sociale fino a creare una fantasmagoria socio-professionale, una sacca d’economia apparente, una specie di gioco di ruolo a causa del quale lo spreco di tempo e denaro si fa incalcolabile. E inoltre, raccontando una cosa per un’altra, si fa un torto a quei professionisti la cui alacre operosità potrebbe giovare autenticamente al sistema delle PMI. “Ferdinando” non è un gerundio e “Dante” non è l’inventore dell’olio.

Twitter @FscoMer

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