Paradosso: lo Stato debitore finanzia le imprese attraverso i prestiti bancari

scritto da il 13 Novembre 2020

Post di Dario Immordino, avvocato, dottore di ricerca in diritto interno e comunitario –

In una fase congiunturale particolarmente delicata l’incasso dei crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni fornisce al sistema produttivo liquidità essenziale per la continuità della gestione.

Secondo tutte le stime l’economia nazionale ha subito un drammatico calo di fatturato e le imprese hanno urgente bisogno di liquidità, ma, nonostante i progressi degli ultimi anni, le amministrazioni pubbliche, i loro enti e società strumentali, gli enti del servizio sanitario hanno accumulato debiti verso le imprese per circa 53 miliardi di euro, circa il 2,9% del Pil (Banca d’Italia, 2018), frutto di consistenti ritardi rispetto ai termini di legge che, secondo i dati della Piattaforma dei crediti commerciali della Ragioneria generale, arrivano a 73 giorni per le Regioni (Basilicata), a 320 per i Comuni (Napoli) e a 167 per le aziende sanitarie (Asl Napoli). (1).

Il congelamento di questa ingente mole di risorse indebolisce la struttura finanziaria delle imprese e determina diffusi stati di insolvenza, che innescano ritardi a cascata nell’adempimento delle obbligazioni commerciali e si propagano rapidamente all’intero sistema economico e sociale, provocando riduzione dell’occupazione, aumento della povertà, contrazione dei consumi.

La prolungata morosità delle amministrazioni pubbliche genera anche una certa distorsione delle dinamiche di mercato, penalizzando soprattutto le piccole imprese e quelle che operano nelle aree del Paese ove si concentrano i maggiori ritardi o nei settori produttivi più “esposti” (sanità, edilizia, ecc).

Il Governo nazionale e quelli regionali hanno adottato diverse misure per fornire liquidità alle attività produttive, per lo più attraverso agevolazioni per l’accesso al credito bancario, contributi, agevolazioni fiscali e contributive.

Tuttavia si tratta di soluzioni che attenuano gli effetti della pandemia ma non risolvono quelli dell’insolvenza delle pubbliche amministrazioni.

Le agevolazioni per l’accesso al credito bancario, ad esempio, forniscono liquidità derivante da indebitamento: le aziende che hanno fornito beni e servizi alle pp.AA. e non sono state pagate da enti e società pubbliche, devono pertanto indebitarsi per ottenere le risorse necessaria a finanziare le proprie attività (pagare dipendenti fornitori ecc), mentre l’incasso dei crediti nei confronti degli enti pubblici consentirebbe alle imprese di beneficiare di risorse proprie, a costo zero.

Le altre misure finanziarie adottate in questi mesi (sospensione di adempimenti, contributi, agevolazioni fiscali e contributive) forniscono risorse finalizzate a compensare una parte dei costi aggiuntivi e della riduzione di entrate prodotte dagli effetti, diretti ed indiretti, dalla pandemia, ma non retribuiscono gli oneri sostenuti dalle imprese per fornire beni e servizi alla p.A.

Ed in ogni caso appare paradossale che lo Stato stanzi ingenti risorse per fornire liquidità al sistema produttivo ma non paghi i propri debiti vero le imprese, che gli enti pubblici potrebbero adempiere in larga misura con somme già stanziate o accantonate in bilancio. Le regole di contabilità, infatti, consentono ad amministrazioni, enti e società pubbliche di impegnare spese soltanto se risultano stanziate in bilancio le risorse necessarie ad assicurarne la copertura (ad eccezione dei debiti fuori bilancio).

I debiti delle amministrazioni pubbliche verso le imprese rappresentano, pertanto, una patologia di un sistema che, nonostante le numerose riforme, non riesce a trasformare le spese stanziate in bilancio in pagamenti effettivi, perché resta affetto dai mali storici: criticità nella ripartizione del gettito tributario tra Stato, Regioni ed enti locali, costante riduzione dei trasferimenti verso gli enti territoriali e ritardo nella attribuzione delle risorse, carenza di efficaci sistemi di controllo sulla gestione, complessità delle procedure contabili, stringenti vincoli alla spesa, vorticosa proliferazione di regole che rendono difficile programmare e gestire le politiche finanziarie, inefficienza delle procedure di riscossione, crediti insoluti, diffusa morosità delle amministrazioni pubbliche verso enti strumentali e società controllate.

A queste criticità del sistema di finanza pubblica si aggiunge la diffusione di prassi finalizzate ad aggirare le regole sulla copertura finanziaria delle spese, diffusi errori nella stima delle entrate o la loro fraudolenta sopravvalutazione, iscrizione in bilancio di entrate di difficile realizzazione, gestione disinvolta dei residui attivi, frequente ricorso ai debiti fuori bilancio.

L’iscrizione in bilancio di entrate che poi non vengono percepite, ad esempio, favorisce l’accumulo di debito perché permette di spendere più di quanto in realtà si possa, mentre il ricorso ai debiti fuori bilancio comporta l’assunzione di obbligazioni senza aver preventivamente adottato il relativo impegno di spesa e senza garanzia di copertura finanziaria.

Il nuovo sistema di contabilità impone adempimenti che dovrebbero ridurre il rischio di insolvenza e di “disavanzi occulti” delle amministrazioni pubbliche, garantendo la corrispondenza delle somme iscritte in bilancio alle entrate e spese effettive degli enti e la liquidità necessaria a far fronte alle obbligazioni anche in caso di riduzioni di entrate o incrementi di spese imprevisti (fondo crediti dubbia esigibilità, fondo anticipazioni di liquidità, fondo pluriennale vincolato, riaccertamento dei residui ecc).

La Corte dei conti, però, ha rilevato che queste misure sono state attuate solo parzialmente: le amministrazioni pubbliche non incassano con efficienza le entrate, continuano a far frequentemente ricorso a debiti fuori bilancio e ad un utilizzo distorto di fondamentali regole di contabilità.

La compensazione tra debiti fiscali e contributivi delle imprese e crediti nei confronti degli enti pubblici avrebbe potuto attenuare l’impatto della morosità delle amministrazioni siciliane, ma di fatto non è riuscita a ridurre l’entità del problema a causa degli intoppi burocratici e dei limiti applicativi.

Questa prolungata insolvenza risulta aggravata dalle condizioni deficitarie dei bilanci della maggior parte degli enti locali, che pregiudicano anche la possibilità delle imprese di essere pagate a causa delle norme che sospendono le procedure di recupero. Le risorse stanziate dal Governo nazionale e da quello regionale a favore degli enti locali serviranno a compensare (in parte) la prevedibile riduzione del gettito dei tributi e delle altre entrate prodotta dall’epidemia influenzale, ma difficilmente consentiranno il pagamento dei debiti nei confronti delle imprese.

Per far fronte a questa drammatica situazione negli ultimi anni sono stati adottati diversi decreti “sblocca debiti”, che hanno previsto la possibilità per regioni ed enti locali di ottenere anticipazioni di liquidità da destinare al pagamento dei debiti.

L’anticipazione di liquidità fornisce risorse in tempi molto rapidi, ma le disposizioni degli ultimi anni ne hanno disposto l’attivazione a richiesta discrezionale delle amministrazioni debitrici, e hanno prescritto precisi limiti di importo, insufficienti al pagamento integrale dei debiti commerciali.

Non a caso i decreti cosiddetti sblocca-debiti di maggio ed agosto, che puntavano a cancellare fino al 70% dei debiti pubblici verso le imprese fornendo circa 12 miliardi alle amministrazioni pubbliche debitrici, hanno consentito il pagamento di circa il 10% delle fatture, poiché enti e società pubbliche morosi hanno richiesto meno di due miliardi.

Il timore di incorrere in responsabilità per violazione delle complesse e numerose regole procedurali, l’alluvionale disciplina anticovid che ha introdotto una innumerevole mole di norme ed adempimenti a carico delle amministrazioni pubbliche, le difficoltà organizzative connesse alla gestione dello smart working e delle procedure di sicurezza sul lavoro, l’assenza di sanzioni o penalizzazioni il prolungato inadempimento delle obbligazioni verso le imprese e per la mancata adesione alle anticipazioni di liquidità spiegano la scarsa adesione degli enti morosi ad uno strumento che avrebbe consentito di ripianare i propri debiti e fornire un consistente aiuto al sistema produttivi territoriali senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.

In una fase di gravissima difficoltà del sistema economico produttivo, pertanto, risulta indispensabile introdurre misure in grado di debellare il fenomeno della prolungata morosità di amministrazioni, enti e società pubbliche.

Considerato che l’accumulo di debiti verso le imprese causato da cronici ritardi nei pagamenti costituisce una grave violazione di precise disposizioni normative europee e nazionali, si potrebbero prevedere sanzioni e penalizzazioni a carico delle amministrazioni inadempienti, sotto forma di riduzione delle risorse di loro competenza o della libertà di spesa. Il taglio di risorse alle amministrazioni inefficienti costituisce uno strumento già sperimentato dallo Stato, che ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, a condizione che non pregiudichi il finanziamento di prestazioni essenziali, mentre la riduzione dell’autonomia di spesa risulta prevista dalla legge di bilancio 2019, che riduce le capacità di spesa corrente degli enti in ritardo con i pagamenti perché impone loro di accantonare una quota di risorse proporzionale all’importo dei debiti accumulati. In questo modo gli enti debitori sono costretti a rinunciare a una parte delle proprie spese (non essenziali) per destinarle al pagamento dei debiti verso le imprese. L’attivazione di questo meccanismo sblocca debiti è stata, però, posticipata.

Bisogna inoltre ampliare il perimetro e l’importo delle anticipazioni di liquidità, e adottare interventi strutturali che consentano di contrastare efficacemente le cause di accumulo del debito, anche in considerazione del prevedibile peggioramento degli equilibri finanziari conseguente all’emergenza sanitaria.

Sotto il primo profilo le Regioni potrebbero attivare anticipazioni di liquidità parallele a quella prevista dalla legge statale che riguardino anche gli enti in condizioni finanziarie critiche, consentano di incrementare l’importo delle risorse erogabili, prevedano termini di restituzione e interessi ragionevoli.

Peraltro in relazione ai debiti commerciali di enti pubblici la sostituzione delle agevolazioni creditizie con anticipazioni alle amministrazioni debitrici consentirebbe, a parità di risorse pubbliche, di immettere nel sistema economico liquidità in tempi rapidi, liberando le imprese dagli oneri di restituzione dei prestiti.

Per prevenire l’insorgere di nuovi debiti risulta inoltre indispensabile perfezionare la disciplina della compensazione ed introdurre misure efficaci di buona gestione finanziaria: efficaci controlli sul rispetto delle regole contabili, standard efficienti di organizzazione dei servizi e delle procedure di riscossione delle entrate, concreta attuazione delle regole sulla spending review e sulla performance dei dipendenti, premi alle amministrazioni virtuose e sanzioni a carico di quelle che spendono male e non incassano il dovuto, ecc.