Dai monopattini al saldo Irap, come sono andate le misure anti Covid

scritto da il 28 Novembre 2020

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Siamo ormai nel pieno di quella che è stata definita “la seconda ondata”, esplosa dopo un’estate di tregua (apparente) dal Covid-19. A differenza della prima fase della crisi pandemica, avremmo dovuto avere il vantaggio di conoscere il virus, saperlo contrastare e curare meglio, facendo bagaglio della recente esperienza primaverile. Ciò si è rivelato parzialmente vero, o meglio, è certamente migliorata la maniera di affrontare il virus da un punto di vista clinico. Non altrettanto, a mio parere, si sta verificando a livello economico.
Se, infatti, l’effetto primario della crisi pandemica riguardi (ed abbia riguardato) l’aspetto della salute, subito dopo – se non addirittura a braccetto e di pari passo – assume rilevanza l’impatto economico che il virus ha portato con sé, imponendo le restrizioni alle attività produttive, oltre che alla vita sociale di ognuno di noi.

Tra scostamenti di bilancio, Recovery fund e chi più ne ha più ne metta, c’è l’opportunità (o meglio, la necessità) di affrontare la crisi usufruendo di un extra budget, con un surplus di risorse da impiegare nel sistema economico, per cercare quantomeno di parare i danni.
Appare utile, in tal caso, fare un’analisi ragionata delle precedenti misure anti Covid intraprese dall’esecutivo, in risposta appunto alla prima ondata della crisi, per poter trarre insegnamento da esse, onde evitare di incorrere negli stessi errori e, magari, reiterando ciò che invece ha sortito effetti positivi.

Una sorta di bilancio per stimare, a posteriori, cosa è andato bene e cosa meno bene, così da poterne tener conto per le misure prossime.

Partiamo dalle misure che potremmo definire, senza particolare timor di smentita, dei veri flop.
Suscita anche una certa ilarità, in un momento così estremo, ripensare al cosiddetto “bonus bici e monopattini”, ovvero all’incentivo a favore dei cittadini dei grandi centri urbani che intendessero acquistare un mezzo “green” a due ruote. Non servono particolari ragionamenti per capire che, non me ne vogliano gli esercenti che vendono biciclette, è stata una boiata. Per quanto si possa godere di un’extra budget, si viaggia sempre in regime di scarsità di risorse, per cui diventa una questione di priorità. Con le terapie intensive in tensione, le scuole non attrezzate per la didattica in presenza (né per quella a distanza), onestamente la bicicletta, no. Il monopattino, no. Non si possono impiegare risorse per questo.

Altra misura infelice, sempre secondo la modesta opinione di chi scrive, è stato il bonus vacanze. Partito male già nella sua strutturazione tecnica – per eccessive difficoltà di fruizione, che di fatto lo hanno reso quasi inutilizzabile – è stato discutibile anche sotto un profilo concettuale. Sante siano le vacanze, un diritto direi inalienabile della persona. Ma, col senno di poi, si è visto quanto esse abbiano contribuito alla nuova diffusione del virus. Sarebbe stato meglio, semmai, aiutare gli esercenti, sicuramente tra i più colpiti.

Una menzione particolare, da ultimo, la merita il cosiddetto “bonus sanificazione”, ovvero quel ristoro alle imprese per le spese sostenute per la sanificazione degli ambienti di lavoro e dei locali, sotto forma di un credito d’imposta pari al 60% delle spese sostenute (fino ad un massimo di centomila euro). Tutto giusto e sacrosanto. Se non per il triste aspetto che, a conti fatti, la scarsità di risorse destinate a finanziare questa misura hanno ridotto la percentuale del credito d’imposta fruibile per le aziende, portandolo addirittura al 9%, per poi essere parzialmente rifinanziate fino ad un rialzo dello stesso fino a circa il 28%.

Una vera beffa per le imprese che avevano deciso di investire ingenti risorse, contando e programmando di poter rientrare in possesso di più della metà delle stesse attraverso il credito fiscale. Per di più, le nuove chiusure imposte hanno anche reso inutili, almeno in parte, gli interventi fatti.

In questo clima, un comportamento del genere si rivela ingiusto e beffardo nei confronti dei contribuenti che avevano provato a ripartire, adeguandosi a quanto gli era stato imposto (o consigliato), con anche l’incentivo di un credito d’imposta poi rivelatosi neppure pari alla metà di quanto promesso.

A voler contare i flop, purtroppo, ci sarebbe ancora da dire (come scordare i ritardi e gli equivoci legati al “bonus 600 euro”), ma passiamo ad analizzare, invece, le cose che hanno funzionato, almeno in linea di massima.

La misura più gradita è sicuramente stato il contributo a fondo perduto, riconosciuto in percentuale rispetto al calo di fatturato patito nel mese di aprile 2020, in pieno lockdown, rispetto ad aprile dell’anno precedente. Anche la modalità di fruizione, affidando l’erogazione all’Agenzia delle Entrate, si è rivelata molto efficace, con accrediti arrivati in tempi ottimi, almeno fino a che le risorse non sono esaurite (gli ultimi richiedenti hanno atteso molto più dei primi).

Anche il finanziamento alle piccole imprese interamente garantito dallo Stato, pur limitato all’importo di 30.000 euro, si è rivelato una misura efficace e veloce, specialmente dopo le prime correzioni alla normativa, con relativo snellimento delle procedure. In questo modo, le imprese hanno potuto ovviare a (seppur piccole) esigenze di liquidità in brevissimo tempo, e con la possibilità di iniziare a restituire le somme tra due anni, a tassi decisamente convenienti.

In ultimo, è stato particolarmente apprezzato dalle imprese anche l’abbuono del saldo Irap, misura definitiva, a differenza dei rinvii fiscali che prima o poi graveranno comunque sul groppone.

In queste tre misure, è facile individuare dei tratti comuni: pochi fronzoli, velocità di esecuzione, essenzialità.

Si è trattato sicuramente di provvedimenti dall’altissimo costo per lo Stato, ma al contempo anche la resa è stata massima.

È inutile frazionare (sperperare?) le risorse in una molteplicità di misure, magari per far contenta questa o quella categoria, o per avere un ritorno di immagine dall’annuncio in pompa magna. Alle imprese servono soldi. Magari anche pochi, ma subito e senza troppi ghirigori.
Una lezione dal recente passato che sarebbe bene non ignorare, per affrontare efficacemente, anche dal punto di vista economico, questo doloroso ritorno di fiamma del coronavirus.