Perché la nuova patrimoniale potrebbe essere un flop

scritto da il 05 Dicembre 2020

L’autore di questo post è Antonino Iero, oggi in pensione, già responsabile del Centro Studi e Ricerche Economiche e Finanziarie di UnipolSai–

Ad intervalli più o meno regolari si rincorrono voci sull’istituzione di una imposizione patrimoniale (in settimana con riferimento ad un emendamento alla legge di stabilità sottoscritto da deputati di LEU e PD). Queste notizie scatenano, in molte persone, reazioni esagerate: alcuni vedono questo tributo come se fosse una confisca “sovietica” dei propri risparmi, altri, invece, vi ripongono speranze di giustizia sociale piuttosto fuori luogo. Occorre chiarire subito un equivoco: in Italia esistono già delle “tasse” sulle proprietà. Tale è infatti l’IMU, che colpisce una parte del patrimonio immobiliare, nonché l’imposta di bollo sul deposito titoli, pari allo 0,2% del valore dei titoli presenti nel deposito acceso presso il proprio istituto di credito. Senza contare altri tributi, come il bollo auto che è, a tutti gli effetti, una tassa sulla proprietà dell’automobile. Per venire al sodo, l’IMU ha fruttato allo Stato, nel 2019, poco meno di 22 miliardi di euro, mentre l’imposta sul deposito titoli genera incassi leggermente superiori ai 4 miliardi di euro.

Come appare evidente, quelle attualmente in vigore sono forme di imposizione patrimoniale piuttosto grossolane: hanno un’unica aliquota, indifferente all’entità del patrimonio; non considerano la dimensione totale del patrimonio personale (in primo luogo, non mettono insieme patrimonio mobiliare e immobiliare); colpiscono anche patrimoni di consistenza modesta.

La proposta di una “patrimoniale”, sottoscritta da alcuni deputati di LEU e PD, è stata prima dichiarata inammissibile dalla Commissione Bilancio della Camera e, successivamente, riammessa al secondo esame. Non è inopportuno formulare alcune considerazioni su un provvedimento di tal genere e sulle motivazioni addotte a suo favore. Benché sia difficile calcolare il gettito di questa “nuova patrimoniale” (non sono noti troppi elementi per potervi ragionare sopra) sono apparse sulla stampa alcune stime, non smentite dallo stesso onorevole Fratoianni in una recente intervista, che parlerebbero di un introito annuo di circa 18 miliardi di euro. Rispetto alle entrate garantite da IMU e bollo sui depositi titoli, che sarebbero sostituiti dalla nuova tassazione, si avrebbe una caduta degli introiti dello Stato di circa 8 miliardi. Un risultato piuttosto bizzarro, alla luce dell’intenzione dichiarata di voler ottenere maggiori risorse per lottare contro povertà ed emarginazione.

Matteo Orfini e Nicola Fratoianni

Matteo Orfini e Nicola Fratoianni

Chi scrive non è pregiudizialmente contrario ad una moderata imposizione patrimoniale ricorrente. È necessario, tuttavia, equilibrio. Il risparmio dei cittadini è un fondamentale asset nazionale e, come prevede anche la Costituzione, non deve essere penalizzato. Ricordiamo come, in termini di peso fiscale, oggi gravi sul rendimento del risparmio finanziario un’aliquota del 26% (con l’eccezione dei titoli emessi dallo Stato e dagli organismi multilaterali, sui quali l’onere è ridotto al 12,5%), cui si somma l’imposta sul deposito titoli (0,2% del valore, come abbiamo visto). Vi è poi la cosiddetta Tobin Tax, con aliquote differenziate a seconda del titolo trattato. Sulla tassazione e gli oneri che gravano, in particolare, sugli immobili non destinati ad abitazione principale non occorre dilungarsi. Infine, sarebbe bene considerare come, per la maggior parte delle persone, il risparmio stesso altro non sia che un accumulo di redditi già tassati (e non spesi). Insomma, si tratta di una questione che sarebbe opportuno maneggiare con una certa delicatezza.

L’insoddisfazione per il quadro fiscale attuale, costruito per successive giustapposizioni legislative legate più alla necessità di aumentare le entrate dello Stato che non all’intenzione di voler definire un prelievo armonioso tra le varie classi di cittadini, non può che spingere sulla via di una revisione del sistema complessivo di imposizione fiscale. Dubito però che tale obiettivo possa essere conseguito attraverso uno sporadico emendamento ad un articolo di una legge di stabilità che, inoltre, tratti solo di imposizione patrimoniale. Non sarebbe meglio agire con una impostazione più strutturale? Magari passando anche attraverso un’aperta discussione pubblica? Se si deve mettere mano al sistema fiscale (e sarebbe quantomai opportuno), bisognerebbe, una buona volta, pensare ad un progetto globale. Le imprese, come anche le persone, hanno necessità di operare in un quadro organico che non cambi nel giro di qualche trimestre e non venga stravolto con successivi interventi estemporanei. È troppo chiedere ai nostri rappresentanti di tenerne conto? Una rivisitazione del sistema fiscale dovrebbe prevedere, come minimo, anche una ricalibrazione degli oneri sui redditi, una revisione della tassazione di eredità e donazioni e una nuova attenta articolazione della giungla delle accise e delle imposte indirette. Volutamente, non entro nel merito della spinosa questione dell’evasione fiscale, che dovrebbe essere posta al centro di qualsiasi ipotesi di riforma.

Prima di disegnare nuove imposte, sarebbe il caso di compiere alcuni passi preliminari ineludibili, ad esempio costituire un’aggiornata anagrafe patrimoniale (come riconoscono gli stessi proponenti dell’emendamento) che sia in grado di associare ad ogni persona fisica l’insieme delle sue proprietà (mobiliari e immobiliari). Come immediata conseguenza, è difficile non vedere i problemi legati allo stato del catasto immobiliare, dove si trovano rendite catastali poco congruenti con i reali valori commerciali degli immobili, senza contare poi i ritardi, in talune realtà anche notevoli, con cui vengono aggiornati gli effettivi proprietari dei beni immobili.

Sarebbe bene cominciare a ragionare, anche nella redazione delle leggi, con un po’ di buon senso e tenere in debita considerazione l’arretratezza degli strumenti con cui si trova ad operare la Pubblica Amministrazione.

Sorge spontanea una domanda: prima di lanciarsi in estemporanee improvvisazioni fiscali, non sarebbe più opportuno che il ceto politico si occupasse di migliorare l’efficienza della macchina pubblica? La possibilità di accedere ai finanziamenti legati a NextGenerationEU rappresenterebbe un’opportunità straordinaria, da cogliere al volo, per predisporre progetti (per esempio un’estesa e intelligente informatizzazione della Pubblica Amministrazione) che renderebbero possibile pensare, tra le altre cose, anche a rivedere il sistema fiscale, dotandolo di strumenti più efficaci e meno rudimentali di quelli oggi disponibili. Non è una considerazione molto originale, ma dovremmo essere tutti consapevoli che, in uno Stato che non funziona (o funziona male), anche le migliori leggi non saranno applicate (o saranno applicate male).

toni_iero@virgilio.it