Sanità: meglio che a decidere sia il sindaco, il governatore o il Governo?

scritto da il 08 Dicembre 2020

La pandemia che stiamo vivendo, con i suoi problemi ed eventi tragici, ha riaperto la discussione su quale livello di governo sia il più adatto a gestire la delega ( e i fondi ) della sanità.

Vale quindi la pena ragionare sugli argomenti sottesi a questa discussione ed evitare di fare i tifosi o immaginare soluzioni magiche ai problemi.

Il livello territoriale nel quale la delega viene incardinata è in primis quello che deve definire le politiche sanitarie. È innanzitutto un livello politico, ovvero di rapporto con i cittadini e con il loro potere di cambiare le cose cambiando la classe politica che li governa e influenzandola nel rapporto con i politici. E quanto poi quella classe politica potrà rapidamente ed efficacemente cambiare le cose nel concreto su tutto il territorio gestito.

Il secondo aspetto concerne la variabilità dei bisogni sanitari e gli standard da utilizzare. Se ad Aosta sono simili a Palermo, allora ha più credito una visione centralizzata. Viceversa se i bisogni sono molto diversi territorio per territorio allora ha più credito una allocazione più vicino al cittadino della delega.

Poi vengono le risorse. Uno stato nazionale può decidere di permettere a territori diversi di allocare le proprie risorse in modo diverso tra i diversi bisogni dei cittadini: ad esempio un po’ più alla mobilità e un po’ meno alla sanità. Oppure uno stato può decidere che su diritti costituzionali come la salute o l’istruzione le risorse disponibili per persona debbano essere le stesse in valore assoluto, indipendentemente dal reddito pro-capite in quel territorio (il dettato costituzionale si riferisce alla salute e non alle risorse dedicate alla stessa). Nella discussione sulle risorse bisogna poi dire se queste derivano dalle imposte raccolte in quel livello territoriale (lasciando quindi i politici liberi di definire il livello di tassazione) oppure – in parte o per intero – vengono da risorse raccolte dai livelli superiori e veicolati a quelli sottostanti.

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Un altro argomento è la massa critica di cittadini necessaria per avere un’organizzazione centrale sufficientemente finanziata e organizzata, con le giuste competenze. È difficile immaginare che una regione come il Molise (300mila abitanti, con circa 600 milioni di euro di budget) possa avere un’organizzazione sanitaria altrettanto efficace di una come la Lombardia, che supera quota 10 milioni di abitanti (con circa 20 miliardi di budget complessivo). Ovviamente grandi regioni gestite male producono risultati comunque peggiori di piccole regioni gestite bene. Quindi, data la grande variabilità nel numero di cittadini tra le regioni, laddove si confermasse la regione come giusto livello per la delega sanitaria, forse bisognerebbe accorparne alcune per far loro raggiungere una massa critica sufficiente di risorse.

Che si parli di comuni, regioni o stato, il risultato sarà sempre fortemente dipendente dalla qualità di chi è al governo. Quindi il tema diventa se preferiamo vincere o fallire tutti assieme oppure preferiamo avere alcuni esempi che funzionano (diciamo che in Italia oggi potrebbero essere il Veneto e l’Emilia Romagna) e altri che non funzionano (potrebbero essere Calabria e Sicilia, ad esempio). Alcuni pensano che sia più facile avere classi dirigenti fallimentari a livello regionale che nazionale, mentre altri pensano l’opposto e altri ancora (io ad esempio) pensano che sia abbastanza casuale e che quindi non riusciamo a sapere a priori quale livello territoriale avrà una classe politica migliore.

Fatte tutte queste premesse veniamo alla mia posizione su questo tema:

1. Il livello politico più vicino alle persone, quello che capisce meglio i bisogni, è quello comunale. Il sindaco è formalmente il responsabile della salute dei suoi cittadini. Questa responsabilità oggi ha budget zero e quindi non è di fatto reale, ma simbolica. D’altronde i comuni sono molto spesso piccolissimi e quindi non hanno massa critica per gestire la sanità, che è un tema complesso dal punto di vista tecnico. Rimane il fatto che i sindaci devono poter aver voce in capitolo sull’applicazione concreta delle decisioni prese dai livelli superiori. Abbiamo quindi bisogno di coordinamenti di sindaci su popolazioni almeno di qualche centinaia di migliaia di cittadini oppure di singoli sindaci su città più grandi. Devono essere protagonisti di quello che accade sul loro territorio in termini di creazione di salute e farsi promotori presso i cittadini delle politiche di salute implementate sul loro territorio, prendendosi pezzi di oneri e onori.

2. La massa critica minima per avere una delega come quella sanitaria è di almeno 2-3 milioni di persone. Dato che la sanità rappresenta la quota di budget largamente maggioritaria delle regioni, se vogliamo mantenere la sanità in mano regionale dobbiamo accorpare alcune regioni (qui un esempio possibile):

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3. Personalmente sono favorevole a una sanità regionalizzata, ma con risorse raccolte tramite tasse e imposte nella regione (con livelli di tassazione decisi dalla regione) e con una grande facilità di commissariamento da parte dello stato, anche per lunghi periodi. Sono favorevole a questa strada perché credo molto alla capacità delle diverse soluzioni di sperimentare miglioramenti continui, mentre temo che una sanità in mano allo stato si incancrenisca per lunghissimi periodi a fare gli stessi errori senza che nessuno intervenga. Il fatto di poter commissariare una regione in base a dati sulla salute dei cittadini, più che semplicemente sulla base degli sforamenti dei budget, permette di mettere mano alle deviazioni negative mentre non sarebbe possibile farlo in caso di sanità nelle mani dello stato.

Lo stato deve però tenere in mano alcuni pezzi di delega:

1. Le istituzioni e agenzie di coordinamento che ha al momento (Iss, Agenas, Aifa)

2. Gli ospedali di eccellenza a livello nazionale (come ci sono strade statali, regionali, provinciali e comunali, anche in sanità ci sono unità erogative che per la loro eccellenza e rilevanza devono essere finanziate dallo stato e gestite dallo stesso).

3. La definizione degli standard informatici sanitari, che devono essere uguali per tutti.

4. In caso di pandemie, le regioni devono delegare temporaneamente gran parte dei propri poteri allo stato, il quale coordina su tutto il territorio nazionale le politiche sanitarie per contrastare la pandemia.

5. Lo stato deve definire la traduzione concreta del dettato costituzionale al diritto alla salute e pubblicare sistematicamente e in modo trasparente tutti i dati delle diverse regioni, facendosi quindi garante per i cittadini della trasparenza sui dati di ogni singola regione.

6. Lo stato deve aiutare le regioni rimaste indietro, aiutandole sul lato degli investimenti, con la logica di fare programmi di allineamento alla qualità delle migliori in un certo lasso di tempo. Non deve invece intervenire sulla spesa corrente perché porterebbe rapidamente ad un rapporto in cui in modo strutturale la regione necessita di risorse ulteriori per mantenere la propria sanità e quindi fa saltare il meccanismo di responsabilizzazione dei politici di quella regione di fronte ai propri cittadini.

Il Covid ci ha insegnato che quando si regionalizza la sanità ci saranno regioni che sono meglio preparate di altre ad affrontare l’ondata che arriva: una ovvietà. Abbiamo bisogno di tenere il meglio della regionalizzazione (soprattutto la sua capacità di sperimentare modelli diversi), adottando al contempo meccanismi che consentano di superare i difetti (ad esempio meccanismi di diffusione dei modelli che si sono dimostrati migliori). Bisogna avere il coraggio di riformare la sanità Italiana, ora che la vicenda Covid è fresca e che per alcuni anni avremo qualche risorsa in più per farlo.