I professionisti travolti dalla crisi e la riforma che non può mancare

scritto da il 28 Dicembre 2020

Post di Valentina Restaino, avvocata penalista e sindacalista del lavoro autonomo per MGA sindacato nazionale forense – 

Con gli emendamenti già approvati alla Camera alla legge di bilancio i lavoratori iscritti agli albi professionali si confermano figli di un dio minore.

Mentre l’emergenza coronavirus, drammatica per tutto il paese, sta rivelando in modo dirompente quanto i lavoratori autonomi siano stati, nella società del mercato e della concorrenza, abbandonati alla crisi iniziata nel 2008 e alle alterne vicende della vita, il Parlamento, ricalcando un disegno di legge presentato nel mese di agosto scorso dal CNEL e sostenuto da Confprofessioni e Confassociazioni, esclude i lavoratori ordinisti da una importante novità: l’ISCRO, l’indennità di continuità reddituale che sarà concessa solo ai lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS: con esclusione, quindi, degli iscritti agli albi professionali che fanno capo alle casse di previdenza private.

A livello generale il rapporto Caritas 2020 ha registrato un dato preoccupante: nel corso di quest’anno, a seguito della pandemia, 450.000 persone in più sono entrate a tutti gli effetti in uno stato di povertà conclamata. La povertà, nella pandemia globale (ma anche prima di questo evento imprevedibile e straordinario) non ha colpito solo i disoccupati o gli inoccupati, ma anche, ed ampiamente, la classe lavoratrice, con perdita del lavoro o con vertiginosi cali dei redditi. Gli ultimi dati sono gravissimi: tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020, sono stati persi 841mila posti di lavoro. Di questi sono 219.000 le partite IVA che sono state chiuse: quindi il comparto del lavoro autonomo è passato da 5,4 a 5,1 milioni di occupati, con una flessione del 4,1%. A rivelarlo è un recentissimo studio pubblicato dalla Fondazione dei consulenti del lavoro (1).

Per quanto riguarda specificamente il settore del lavoro autonomo e professionale, che evidentemente per sua struttura non è colpito dalla piaga dei licenziamenti, la crisi si sostanzia – oltre che nella scelta obbligata, per alcuni, della chiusura della partita IVA per passare alla disoccupazione o alla sottoccupazione dipendente molto spesso in nero – in una vertiginosa diminuzione degli introiti, a fronte di spese connesse all’esercizio della professione che restano invariate, e a fronte di medesima invarianza del costo della vita.

Ricadono pienamente in questa drammatica situazione i lavoratori iscritti agli ordini professionali e, quindi, alle casse private di previdenza: in particolare quei lavoratori che già prima della pandemia potevano contare solo su redditi bassi o bassissimi a cagione della crisi economica in atto almeno dal 2008, e quindi privi di risparmi con cui fronteggiare l’ulteriore calo di reddito.

Per i lavoratori che si trovano in tali contingenze non esistono, allo stato, e non si sono voluti introdurre con la legge di bilancio, ammortizzatori sociali: laddove non intervenga qualche forma di welfare familiare, si tratta di categorie in cui molti rischiano di entrare nel vortice della povertà. Le casse di previdenza private non apprestano alcuna provvidenza per casi del genere, in ossequio ad una concezione del lavoratore autonomo professionale come soggetto autosufficiente per definizione.

Quanto accaduto con la legge di Bilancio non fa altro che confermare la visione del professionista come soggetto naturalmente affluente. L’indennità di continuità reddituale prevista per gli autonomi non ordinisti non è ovviamente la panacea; e anzi, già nella struttura portante mostra come con essa non si sia voluta operare alcuna redistribuzione delle risorse fra più abbienti e meno abbienti, come la crisi pandemica imporrebbe. Congegnata su un meccanismo assicurativo per la creazione del fondo di garanzia da cui attingere le integrazioni ai redditi, comporterà, per gli anni dal 2021 al 2023, un aumento della aliquota contributiva INPS (inizialmente dello 0,28 per cento) uguale per tutti i lavoratori, sia per i più poveri, sia per i più abbienti: con l’effetto di andare a gravare in modo esponenziale proprio su coloro che avrebbero più necessità di sostegno, e nulla o quasi su chi può contare su redditi consistenti. La previsione invece di un aumento della contribuzione strutturato in modo progressivo, oltre ad un’evidente maggiore giustizia sociale, avrebbe garantito anche la costruzione di un fondo più consistente, evitando umilianti click day.

Al di là delle altre criticità che l’ISCRO presenta (soglia di reddito troppo bassa per accedere al beneficio, rischio di un fondo troppo limitato, condizionamento dell’erogazione alla frequenza di corsi di aggiornamento), il punto più dolente del nuovo ammortizzatore sociale è l’esclusione, da questo esperimento, del milione e 600.000 lavoratori iscritti agli ordini professionali.

Con l’istituzione del reddito di cittadinanza fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle si sta affermando un principio per la verità abbastanza intuitivo: sotto una certa soglia di reddito non è possibile immaginare un’esistenza accettabile. Il medesimo principio è da applicarsi, senza distinzioni di sorta, a tutti gli uomini e tutte le donne: anche, quindi, ai lavoratori autonomi ordinistici che con il loro lavoro non riescano a raggiungere i limiti di reddito anzidetti.

Gli emendamenti approvati, invece, vanno in direzione opposta. Anziché creare un meccanismo universale, si è scelto di escludere dall’integrazione al reddito una categoria intera di lavoratori; e proprio mentre presso il Ministero del lavoro opera una commissione di studio che sta elaborando una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali. Una bozza di lavoro della commissione sta circolando in ambienti lavoristici e giornalistici: e le misure immaginate in essa sembrerebbero di molto più adeguate a far fonte alla crisi epocale del coronavirus.

Innanzitutto essa riconoscerebbe un’indennità in caso di calo dei redditi a tutti i lavoratori autonomi, siano essi iscritti alla gestione separata Inps o alle casse di previdenza private, da erogarsi in caso di riduzione del fatturato o di cessazione dell’attività alimentata con una contribuzione basata su aliquote, finalmente, progressive in relazione al reddito professionale conseguito nel triennio precedente. Verrebbero esonerati dall’aumento della contribuzione i professionisti ammessi al regime fiscale forfettario; e sarebbero ammessi al beneficio i lavoratori autonomi con reddito entro i 35.000 euro (e non entro gli 8.500 previsti per l’ISCRO). Il dato del reddito prodotto dal professionista, poi – nella bozza ministeriale – andrebbe incrociato con il dato dell’ISEE familiare: per evitare erogazioni a chi produca sì un reddito personale basso, ma viva in un contesto familiare benestante o addirittura ricco (vale la pena ricordare lo scandalo estivo della percezione dei bonus da parte addirittura di parlamentari). Si tratta di una bozza di cui si attende di conoscere i dettagli per una più accurata valutazione anche in relazione alla scelta del parametro reddituale per l’accesso al beneficio rispetto a quello del fatturato, oppure, di una combinazione dei medesimi al fine di perseguire l’obiettivo di escludere dal trattamento assistenziale coloro che non ne hanno bisogno.

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La strada della commissione in ogni caso pare quella giusta. La ministra Catalfo che, finalmente qualche giorno fa ha convocato il Tavolo per il lavoro autonomo previsto dalla legge n. 81 del 2017 e mai sinora avviato, ha assicurato che i lavoratori ordinisti non saranno esclusi dalle successive riforme del welfare come si è fatto sinora, fino a questa legge di bilancio.

Bisogna continuare a fare pressione perché le buone intenzioni annunciate della ministra non restino petizioni di principio e si traducano, al più presto in realtà. In una situazione di crisi dei lavoratori deboli come quella in corso, per MGA – sindacato nazionale forense – una riforma degli ammortizzatori sociali è urgente, e deve essere universale, inclusiva di tutte e tutti, basata su meccanismi redistributivi, fuori dalla logica dei “bonus” a pioggia, strutturale e con visione di lungo periodo. Perché per il lavoro autonomo povero e precario la crisi si è aggravata nel 2020, ma morderà in modo sempre più drammatico negli anni a venire.