I 4 punti dolenti del Recovery Plan che non mi fanno dormire

scritto da il 30 Dicembre 2020

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Transizione ecologica. Modernizzazione. Istruzione. Infrastrutture. Parità di genere. Sanità. Cosa sono? I sei “cestini” in cui verrà ripartito il cosiddetto Recovery Fund o Plan, ovvero quell’iniezione di risorse provenienti dall’Europa pari a circa 200 miliardi che dovrebbero servire non solo per risollevare il Paese dalla crisi pandemica, bensì per traghettarlo nel futuro, vista la mole dell’intervento. Li ho volutamente messi in ordine, partendo dalla voce a cui, in base alla documentazione di base sinora predisposta dall’Esecutivo, sembrerebbero assegnate maggiori risorse (transizione ecologica), per arrivare a quella più povera (sanità).

La lettura di quei sei argomenti e della relativa ripartizione monetaria (ma basterebbe forse limitarsi alla lettura dei sei argomenti) mi crea, a onor del vero, enormi preoccupazioni. Per diverse ragioni, che provo a sintetizzare.

recovery plan is on a label of a blue hanging file. In the backg

1) LA COMUNICAZIONE
Partirei dall’aspetto comunicativo, che subito fa scattare qualche brividino. Transizione ecologica. Ma di cosa parliamo? Che cos’è che si vuole intendere? Ed è la voce che assorbe la fetta più grande delle risorse del Recovery Fund. Proviamo a cercare una risposta nelle trentotto pagine di spiegazione fornite dal Governo nella documentazione sopra citata: “La transizione ecologica dovrà essere la base del nuovo modello di sviluppo su scala globale; per avviarla sarà necessario intervenire sia sul lato della domanda che dell’offerta. Occorre in primo luogo ridurre drasticamente le emissioni di gas clima-alteranti in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo”. Ah beh, adesso si che è chiaro. Abbiamo capito perfettamente.

Premesso che si tratta di voci sulle quali c’è l’imposizione, da parte della stessa Europa, di destinare gran parte delle risorse messe in campo, sarebbe auspicabile quantomeno un’accortezza di tipo comunicativo, facendo capire alle persone in che modo verranno concretamente spesi questi soldi. È il minimo, ritengo, considerando che si tratta di una settantina di miliardi di euro solo per questa prima voce.

Passiamo alla “Modernizzazione” del Paese che, ci spiega ancora l’Esecutivo, significa disporre di una Pubblica Amministrazione efficiente, digitalizzata e sburocratizzata, veramente al servizio del cittadino. Anche qui, è facile comprendere in che modo si intende utilizzare le risorse in questione (sic!). Passando alla parità di genere, poi, essa “richiede di intervenire sulle molteplici dimensioni della discriminazione in essere nei confronti delle donne che riguardano prioritariamente la partecipazione al mondo del lavoro, la retribuzione e la qualità del lavoro”. Tutto chiaro.

E abbiamo già scavalcato ampiamente la soglia dei 100 miliardi, tra transizione, modernizzazione e parità, senza in verità capirci molto (almeno io, magari voialtri ci avrete capito qualcosa…).

La chiarezza, penso, sia la prima cosa dovuta agli italiani, visto che si tratta di spendere una grossa quantità di denaro che andrà anche restituito.

2) LA RIPARTIZIONE DELLE RISORSE E IL PARADOSSO DEL TESTA-CODA
Un secondo aspetto di evidenza macroscopica è di tipo quantitativo e riguarda la modalità di ripartizione delle spese. Pur ribadendo di essere ben conscio delle imposizioni dell’Europa su alcune specifiche voci, l’inaccettabilità della ripartizione si palesa, a mio modo di vedere, dall’analisi del testa-coda, ovvero dal paragone tra la voce più ricca e quella più povera: la prima è rappresentata dalla “transizione ecologica”, mentre il fanalino di coda è la bistrattata sanità. Ma come 9 miliardi?

Parliamo di un settore sul quale si è abbattuto uno tsunami senza precedenti, che ha evidenziato l’enorme cifra umana delle persone che ne fanno parte, pur tuttavia non essendo stato ciò sufficiente a coprire i buchi derivanti dalla scarsità di risorse. È vero che non si era mai vista una cosa del genere, ma è altrettanto certo che va fatto tesoro di quest’esperienza, per migliorare la tenuta del sistema e far si che scene come quella delle bare di Bergamo non si debbano rivedere più, in nessun caso. E le bare di Bergamo non si evitano con la green economy, mi spiace. Perciò fa un po’ strano (per usare un eufemismo) vedere oltre 70 miliardi piazzati sulla transizione ecologica e circa un nono nella sanità, che di questa emergenza è stata (infausta) protagonista.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

3) L’ASSENZA DI CONTENUTI
Il terzo aspetto che mi lascia ulteriormente perplesso riguarda la carenza di contenuti. Dove sono le riforme? Dove sono gli aiuti per le imprese? Dov’è la concretezza dell’intervento, la sostanza?

Facciamo un esempio, richiamando il capitolo dell’istruzione dedicato al “Potenziamento della didattica e diritto allo studio”, a cui si associano circa 10 miliardi di euro spiegati in una manciata di parole di una vaghezza incredibile. O, ancora, sulla Giustizia, al di là di propositi di riorganizzazione delle Procure e delle nomine del CSM, non c’è nulla di consistente. Nulla più rispetto alla bozza di legge delega parcheggiata in Parlamento. Oltre a non essere chiaro, il Recovery Plan redatto in questo modo risulta anche del tutto privo di contenuti. E a fronte di migliaia di aziende che rischiano di chiudere, non si lascia intraveder loro alcuna prospettiva concreta, fosse anche per un mero effetto “fiducia” che sia da sprono per tener duro e confidare nel futuro.

4) L’ANTIDEMOCRATICITÀ
Quarto, ed ultimo in questa analisi, punto di dolenza riguarda la linea di comando sulla gestione di queste risorse che appare, almeno da queste prime battute, poco “democratico”, per così dire. È vero che le decisioni vanno prese con tempismo e la larga condivisione e il confronto sono nemici in questo senso. È pur vero, però, che l’asset di cui parliamo è troppo determinante per le sorti del Paese e il processo decisionale; deve perciò includere il maggior numero di interlocutori possibili (o quantomeno non escludere quelli istituzionali, che esistono proprio per questo). Per come ci si è mossi sinora, sembra che si stia improntando la gestione di queste risorse secondo una linea semidittatoriale, scatenando peraltro le veementi reazioni delle varie forze politiche (talune anche interne al Governo stesso).

Per queste ragioni, che ho provato a sintetizzare, sono estremamente preoccupato, in quanto ritengo che il futuro del Paese passi giocoforza dalle decisione che si prenderanno su queste fondamentali questioni. E, diciamolo chiaramente, la partenza non è stata proprio “entusiasmante”. Nell’auspicio che, speriamo, lo sia l’arrivo.