Big pharma e Big tech, così le multinazionali si sono prese il mercato

scritto da il 17 Marzo 2021

Un interessante studio pubblicato dal Fmi, dedicato alla notevole crescita del potere sui mercati delle grandi multinazionali, offri molti spunti di riflessione a chi voglia comprendere come funzioni oggi l’economia internazionale, dove coabitano, più o meno pacificamente, organizzazioni sempre più mastodontiche e burocratizzate: le corporation, appunto, ma anche i governi.

Queste due entità sono come i grandi vasi di ferro in mezzo ai quali si trovano i vasi di coccio dei mercati, che giocoforza finiscono con l’essere definiti dal loro combinato disposto, e che perciò fanno somigliare a nostalgiche rievocazioni le discussioni sui mercati liberi. Questi ultimi, per dirla brevemente, lo sono nella misura in cui viene loro consentito. E poiché l’invadenza di governi e grandi imprese aumenta di anno in anno, ne deriva che tale libertà diminuisca proporzionalmente.

Lo studio del Fmi ci consente di osservare i progressi fatti dalle multinazionali nell’ultimo quarantennio, ossia da quando il “market power” di queste entità ha iniziato a crescere.

La prima evidenza di questo aumento di potere sui mercati dal parte delle aziende è visibile nel grafico in alto a sinistra, che misura l’andamento del mark up dal 1980, in crescita di circa il 30%.

Il mark up misura il rapporto fra i prezzi e il costo marginale di produzione, quindi può essere utilizzato indirettamente per valutare il livello di concorrenza. Nel senso che un mark up crescente implica una concorrenza decrescente, e viceversa.

Un mark up crescente implica inoltre che le imprese abbiano accresciuto la propria quota di profitti. E gli altri grafici ci consentono di osservare che questa tendenza si è sviluppata in larghissima parte nelle economie avanzate (AE), dove i mark up sono cresciuti di oltre il 35%, a fronte di un aumento del 30% delle concentrazioni industriali (grafico in basso a sinistra). Ciò ha determinato un aumento della profittabilità, intesa come rapporto fra i dividendi e le vendite, del 40% (grafico in basso a destra). Nelle economie emergenti, al contrario, il market power delle imprese è rimasto costante. Forse perché più elevato è il potere dei governi.

Un’altra osservazione interessante è che gli andamenti dei mark up sono stati omogenei fra Europa Stati Uniti/Canada, ma molto minori per l’Asia, e che si sono osservate notevoli differenze fra i diversi settori industriali.

La maggior crescita dei profitti si è osservata nei settori healthcare e tecnologia. Nulla di cui stupirsi, considerando che siamo società che invecchiano col cellulare in mano. Nulla di strano che questi settori siano il triplo più remunerativi di quelli che producono beni di consumo.

Da questo derivano diversi vantaggi che conferiscono notevole potere di mercato a queste aziende, che facilmente assumono posizioni dominanti. “Man mano che le aziende ad alto margine di profitto diventano più grandi – scrive il Fmi – consolidano la loro posizione di leader del settore e la concentrazione del mercato aumenta”. Non va troppo lontano dal vero chi paragona, ad esempio, le attuali Big Tech agli oligopolisti del mercato statunitense di un secolo fa.

Anche il caso delle industrie farmaceutiche, che vivono in gran parte sul binomio innovazione&brevetti, è molto interessante da osservare.

Dal 1995 il mark up è cresciuto del 40%, la concentrazione dell’80 – con le prime quatto corporation della top 20 delle lista che hanno visto crescere le proprie vendite dal 50 al 90% – e una profittabilità che è raddoppiata.

In sostanza, questa industria risulta essere molto più remunerativa e concentrata di quella hi tech. Un segno dei tempi, sicuramente. Ma anche una conseguenza delle normative sulla proprietà intellettuale che il Fmi ipotizza contribuiscano notevolmente alle fortune del farmaceutico, rimandando però a ulteriori approfondimenti.

Al di là dei casi specifici, tuttavia, quel che risulta evidente è che “un piccolo gruppo di aziende ad alto margine di profitto ha un potere di mercato sempre più radicato”. La diseguaglianza, insomma, non vale solo per le persone, ma anche per le corporation. “Le aziende al decile più alto della distribuzione del mark up hanno più che raddoppiato i loro mark up, mentre le aziende nella metà inferiore della distribuzione hanno aumentato il loro solo del 5%”.

La diseguaglianza di profittabilità spiega bene perché (grafico a destra) sia aumentata la probabilità per le imprese al top della distribuzione di rimanerci.

L’avvento della pandemia sembra fatta apposta per confermare e rafforzare questi trend. La crisi, infatti, ha colpito più duramente le realtà medio e piccole, trovando assai più attrezzate quelle grandi.

E questo ci conduce alla parte finale dell’analisi. Entità quantitativamente rilevanti non sempre favoriscono la qualità degli affari. La rendita di posizione spesso tende ad erodere la dinamicità. L’analisi svolta dal Fmi, basata su 28 economie a partire dal nuovo secolo mostra che il numero di nuove imprese tende a declinare, insieme al tasso di crescita e al contributo delle nuove imprese al prodotto.

Non finisce qui. Altri studi hanno osservato un “potere significativo e crescente dei grandi datori di lavoro nei mercati del lavoro locali”. Questo significa in sostanza che le grandi imprese sembra paghino di più i lavoratori rispetto alle altre, ma in realtà risulta che paghino meno se si raffrontano i livelli di produttività.

Da qui l’invito alle autorità a sviluppare policy capaci di equilibrare queste tendenze, specie in presenza di quelle grandi piattaforme on line, che ormai da un ventennio hanno cambiato l’economia internazionale e che sono una perfetta epitome di queste problematiche.

In sostanza i governi dovrebbero essere in grado, coordinandosi a livello internazionale visto che queste entità sono globalizzate, di trovare contromisure per evitare che il potere di mercato di queste entità cresca a tal punto da sopprimere il mercato stesso. Perché se non riescono non si troveranno più di fronte delle semplici multinazionali, ma qualcosa di molto più invadente. Chiamarli vice-stati forse è troppo. Ma rende l’idea.

In ogni caso, sia che cresca il potere delle multinazionali, sia che, per limitarlo, cresca quello dei governi, per il mercato gli spazi sembrano destinati a ridursi. Molti ne saranno felici. Ma forse si sbagliano.