Una SuperLeague aveva senso, quale errori sono stati commessi?

scritto da il 24 Aprile 2021

Post di Francesco Paolo Firrao (Docente di Internet Economics & Digital Business e di Legislazione ed Economia Applicate alle Scienze Motorie, Università Statale di Milano) e Davide Iannaccio, MSc in Management of Innovation and Entrepreneurship –

“Una volta lo sport era diverso e noi [giocatori] non eravamo solo gli ingranaggi di una macchina di immensi interessi economici, politici, industriali, di immagini”
Diego Armando Maradona

Prima Parte
Le peculiarità del settore sportivo: passione, aleatorietà e paradosso competitivo

Anche se il mondo dello sport è un fenomeno sociale e di massa, in grado di suscitare emozioni e sentimenti, da tanti anni anche in Europa è oramai considerato a tutti gli effetti un settore industriale, con peculiarità e dinamiche tutte proprie e con una serie di leggi, pratiche, tendenze e teorie che consentirebbero di capire i comportamenti dei professionisti del settore e persino di anticipare ciò che potrebbe accadere.

È proprio alla luce di un inquadramento teorico e di una evoluzione storica del settore che vorremmo capire se le improvvise comparsa e sparizione della SuperLeague del Calcio Europeo avrebbero potuto essere anticipate e forse anche presentate ad un maggior livello di perfezionamento.

Il business dello sport si differenzia per una serie di caratteristiche uniche, non riscontrabili nei tradizionali settori industriali. L’elemento distintivo è la cooperazione nella produzione dell’evento sportivo poiché per potersi disputare, gli incontri e i campionati hanno bisogno di competizione e concorrenti. Se tipicamente un’impresa mira ad ottenere una esclusiva, una posizione monopolistica nel proprio settore per massimizzare i ricavi grazie alla mancanza di concorrenza, nello Sport Business invece serve collaborazione tra competitors per organizzare gli eventi e far funzionare la competizione. Portando oltre il concetto, tanto maggiore è la forza di pochi competitors, tanto meno attraente sarà investire in quel determinato settore.

Nel mondo degli spettacoli sportivi la letteratura economica tradizionale (1) ci aiuta solo parzialmente perché il prodotto di una singola società sportiva deve necessariamente essere realizzato con almeno un’altra società: non solo quindi sarebbe impensabile l’attuazione di qualsiasi genere di comportamento monopolistico, ma nello Sport Business più elevato è il grado di concorrenza, più alti sono i benefici derivanti da un maggior interesse degli spettatori verso un evento o una competizione incerti. Ciò non toglie che, sotto il punto di vista sportivo, i players si pongano l’obiettivo di prevalere sugli avversari, nell’arco del singolo match e in un campionato. Grazie alle vittorie, infatti, si ottengono specifici e diretti ritorni economici – premi, sponsorizzazioni, prestigio, potere contrattuale, merchandising – ed aumenta la cosiddetta fan base, il numero di tifosi appassionati e di quelli interessati alla squadra.

Queste caratteristiche esclusive del mondo sportivo sono state ben esemplificate sin dal 1964 dal paradosso di Louis-Schmeling studiato da Walter C. Neale (2). Joe Louis era un famoso peso massimo di colore, statunitense, campione del mondo negli anni Trenta, mentre l’avversario era il tedesco, bianco, Max Schmeling. L’intensa rivalità catturò l’interesse del mondo intero. Oltre al grande livello tecnico dei due pugili, che favoriva l’incertezza nell’esito degli incontri, il pubblico era molto attratto dalla contesa perché si fronteggiavano il mondo statunitense e quello tedesco, all’epoca sotto il regime nazista.

Neale sintetizzò che solamente con un avversario di elevato valore tecnico potevano essere massimizzati i profitti per Louis, che venivano proporzionati alla forza dello sfidante. In quell’esempio sono oggi riassunte tutte le peculiarità del business sportivo: la presenza di un competitor, il suo valore tecnico, la maggior incertezza nell’esito dei match. Aggiungeremmo oggi gli “elementi di contorno” o social che riuscirono a coinvolgere il mondo extra sportivo, aumentando la spettacolarizzazione e l’interesse generale verso l’evento. Un effetto che quasi un secolo dopo noi italiani potremmo definire “effetto Tomba” o “effetto Pantani” o “effetto Luna Rossa”, per la grande capacità di questi campioni di attrarre, con le loro gesta, fette di audience fino a quel momento non interessate a sci, ciclismo o vela.

Per gestire adeguatamente il paradosso competitivo del moderno sport-spettacolo, è necessaria la presenza di una Lega di riferimento che armonizzi e gestisca gli interessi prevalenti della competizione, per come è stata concepita o si è evoluta nel corso del tempo. Per massimizzare l’interesse è necessario che il pubblico ne sia attratto, ma mentre il pubblico è attratto dall’incertezza, i singoli competitors mirano ad abbassare tale incertezza a proprio vantaggio. Quindi il ruolo della Lega è una componente strategica fondamentale nell’armonia di interessi contrastanti.

La Lega deve quindi mirare a sviluppare la fan base, la massa di spettatori appassionati o interessati a quella determinata competizione. Ma quali sono i potenziali clienti che la Lega deve attrarre? A questo proposito molto interessante è stato il distinguo fatto da S. Symanski (3) nel 2001 nell’analisi delle tipologie di utenti dell’evento sportivo. Il tifoso committed o “appassionato” è quello legato alla squadra del cuore in modo emotivo, irrazionale, mentre lo spettatore uncommitted o solo “interessato” non ha un particolare trasporto e segue la competizione nel complesso più che la specifica squadra. Per loro gli interessi sono contrapposti: il tifoso è più contento quando vince la propria squadra e spera di assisterne alla vittoria piuttosto che ad un bel match equilibrato. L’interessato invece ha piacere nell’assistere ad eventi ben costruiti e dal risultato incerto. Dato che il numero di spettatori interessati è ben superiore a quello dei tifosi, l’interesse del pubblico, sui grandi numeri, tende a crescere di pari passo al competitive balance della competizione, a quell’equilibrio competitivo che dovrebbe essere il cuore della strategia di qualunque Lega.

È chiaro che le disparità tra le squadre in fatto di risorse economiche e di talento hanno effetti sull’incertezza di una partita. Ma esiste la possibilità di instaurare meccanismi regolativi e redistributivi per rendere quanto più equilibrata possibile la competizione. Così facendo sarebbe massimizzato l’interesse del pubblico e allo stesso tempo più facile attrarre media, sponsor ed investitori, linfa vitale per i bilanci societari.

Oltre alle scelte effettuate dalla Lega o Federazione, ogni società ha il compito di programmare adeguatamente la propria attività in ottica di continuità aziendale. Una programmazione economica finanziaria attenta e consapevole non può non tener conto della aleatorietà del risultato sportivo che per la singola squadra dipende da molteplici fattori, taluni nemmeno gestibili e prevedibili, come le condizioni psico-fisiche degli atleti, gli errori arbitrali, le condizioni meteo avverse ed altro.

È proprio grazie a tali incertezze che lo sport si caratterizza come un settore industriale a sé, non assoggettabile ai tipici meccanismi di mercato solitamente studiati.

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Il Competitive Balance

Il concetto di Competitive Balance è dovuto alla penna di Simon Rottenberg che già nel 1956 definì le basi della cosiddetta Sport Economics (4). Partì dalla ricerca di relazioni tra gli spettatori alle partite di baseball – la cosiddetta attendance – ed un numero elevato di variabili come prezzo del biglietto, tempo necessario per assistere alla partita, possibilità di fare attività alternative nello stadio, tasso tecnico delle squadre, ampiezza del mercato in cui concorrono le squadre e molti altri. In una società allora dominata dalla trasmissione radiofonica delle partite la teoria originaria di Rottenberg mirava a correlare le vittorie di una squadra con la capacità di attrarre spettatori disposti a pagare un biglietto. Dopo molte partite analizzate, immaginate la sua sorpresa nel comprendere invece che la singola variabile che meglio riusciva ad anticipare il numero degli spettatori era l’imprevedibilità del risultato, l’Uncertainty of Outcome.

Dagli anni ’60 in poi le Leghe professionistiche americane hanno sempre mirato a promuovere il Competitive Balance, rendendo le partite ed i campionati sempre più interessanti (e non più appassionanti, si badi bene) da guardare, sia dal vivo che in televisione.

Anche fuori del continente nordamericano tutt’oggi il grado di competitive balance è l’elemento essenziale per determinare l’attrattività di una competizione sportiva: se l’esito dell’evento o della competizione sportiva è facilmente prevedibile, la domanda da parte del pubblico sarà molto bassa. Facile capire quindi qual era l’obiettivo che ha ispirato manager preparati e di lungo corso che nel weekend del 18 aprile 2021 hanno pensato di separare dalle sole competizioni europee organizzate dalla UEFA una dozzina dei più prestigiosi club calcistici europei per creare una nuova Lega in ossequio alle regole del Competitive Balance: creare una Lega Chiusa, con un tasso di equilibrio auspicabilmente elevato e mirare a maggiori introiti. Detto in questo modo avrebbe potuto anche sembrare accettabile dall’opinione pubblica. E invece…

Guardiamo qualche dato. Se il 2020 fosse stato un anno di normale svolgimento delle competizioni, il vincitore dell’ultima Champions League, il Bayern di Monaco, per poter alzare la Coppa avrebbe giocato 13 partite in un arco temporale da fine settembre 2019 a fine maggio 2020 (5). Tra premi e bonus, il Tesoriere della società tedesca si è visto bonificare poco meno di 130 milioni di euro, ma solo 73 milioni di euro erano garantiti primi di iniziare la competizione, cioè al momento di iniziare a giocare la fase a gironi. La parte restante risiedeva nell’alea della competizione e se la compagine tedesca non fosse riuscita a prevalere sui quattro avversari della fase ad eliminazione diretta – ottavi, quarti, semifinale e finale – avrebbe visto il conto corrente molto meno ricco (6).

Invece, con la neonata SuperLeague le prospettive economico-finanziarie sarebbero state diverse. Dalle idee trapelate sugli organi di stampa abbiamo capito che avrebbero partecipato ad una edizione solo 20 squadre, 15 per diritto – le squadre fondatrici della Lega – e 5 su invito – le cosiddette wild card – che presumibilmente sarebbero state le migliori squadre dei big five, ovvero i primi cinque campionati continentali. Ci sarebbe stata una prima fase composta da due gironi di 10 squadre, ciascuna delle quali avrebbe giocato almeno 18 partite. Al termine della fase a gironi, la classifica dei due gironi avrebbe portato le migliori 6 squadre per girone a contendersi la Coppa in un tabellone di tipo tennistico. Il vincitore avrebbe dovuto giocare ancora da 3 a 7 partite per potersi fregiare del titolo di campione della SuperLeague. Quindi, in totale si parlava di circa 25 partite, 18 delle quali nella fase a gironi.

La banca d’affari americana JP Morgan era già pronta a versare nelle casse delle squadre una cifra di 3.5 miliardi di euro e dobbiamo presupporre che fossero relative agli introiti complessivi di un anno. Se fosse stato così, mediamente una delle venti squadre (e non la squadra vincitrice) avrebbe potuto incassare 175 milioni di euro.

Ecco quale era l’obiettivo di quella dozzina di società: riuscire ad incassare costantemente 170-200 milioni di euro all’anno (ben più dei 75-85 garantiti dalla Champions League), con un’alea di prestazione ben inferiore (6 partite nella fase a gironi sulle 13 totali per vincere la Champions League, 18 partite su 20-25 per vincere la SuperLeague).

Avrebbe mai potuto essere realizzato? Se ha fatto una cosa analoga l’Eurolega di Basket vent’anni fa, oggi si sarebbe potuto realizzare. Ovviamente, ci sarebbe voluta una comunicazione strategica più tempestiva, una maggiore coesione interna alla Lega, un quadro strategico più a fuoco e l’adattamento dei classici correttivi di stampo nord-americano – Draft, Salary cap e Revenue Sharing – alle condizioni socio-culturali europee.

È evidente quindi che gli errori siano stati tanti. Ma sin da ora è bene dire che l’analisi della situazione era corretta (7), che era legittimo che i dodici si aspettassero dalla UEFA una profonda revisione dei meccanismi di funzionamento della massima competizione europea, che era lecito aspirare ad avere una Lega che tutelasse gli interessi dei club preminenti, e che infine era giusto prepararsi all’extrema ratio della secessione in una SuperLeague.

I tanti errori commessi

Tuttavia, se dobbiamo individuare un singolo errore commesso dai creatori della SuperLeague è stato quello di non aver adattato tempi, modi, meccanismi e strategie alla cultura sportiva del vecchio continente. Hanno negletto e dimenticato gli elementi intangibili e pensato di trasportare tout-court un piano abbozzato nei numeri e nelle strategie – che poteva ben essere un valido terreno di dialogo ed anche di conflitto con UEFA e FIFA – alle più ampie platee continentali, senza spiegazioni, background, illustrazioni, preparazioni di tutti gli attori coinvolti.

Federico Ferri in una edizione speciale di “23” su Sky, a poche ore dall’annuncio, ha perfettamente preconizzato ciò che molti pensavano: questa proposta sembra essere la base per l’inizio dei negoziati con la UEFA. E se fosse stato così saremmo stati felici in tanti. E invece la SuperLeague ha permesso che chiunque, immediatamente ed epidermicamente, potesse scagliarsi contro una idea di Lega che sembrava incarnare tutto il male calcistico e smembrare il sistema dei valori europei. Persino capi di governo hanno sentito il dovere di pronunciarsi contro “quella sporca dozzina” che pensava solo ai propri interessi defraudando tutti gli altri stakeholders – UEFA, Leghe Nazionali, giocatori, allenatori, arbitri, tifosi – di parte dei propri interessi.

Certamente non era così, ma sono riusciti a far naufragare una possibile buona alternativa alle attuali competizioni UEFA, facendo erroneamente passare l’idea di una Lega di affaristi che voleva lucrare sui tifosi e calpestare il merito sportivo.

Certamente non era così, ma l’effetto è stato questo.

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Nella Seconda Parte:
• Fair Play Finanziario, Platini e le condizioni Economico-patrimoniali del calcio europeo
• Lega aperta europea e Lega Chiusa nordamericana
• I meccanismi regolativi della concorrenza in una Lega
• Profit Maximising o Utility Maximizing?
• Il Basket europeo da Eurolega a ULEB e ritorno

Il link alla seconda parte: SuperLeague, chimera o possibilità? Un confronto con Usa e basket

NOTE

(1) Porter, M., “Competitive Advantage: creating and sustaining superior Performance”, Free Press, New York, 1985.

(2) Neale W.C., “The Peculiar Economics of Professional Sports”, The Quarterly Journal of Economics, Vol. LXXVIII, n. 1, 1964.

(3) Szymanski S., “Income Inequality, Competitive Balance and the Attractiveness of Team Sports: Some evidence and a Natural Experiment from English Soccer”, The Economic Journal, vol.111, n.469, 2001

(4) S.Rottemberg, Uncertainty of Outcome Hypotesis”, 1956.

(5) A causa della Pandemia, la finale di Champions League si è svolta invece a Lisbona il 23 agosto 2020.

(6) Alla competizione dello scorso anno ha partecipato una settantina di squadre, che si sono inserite nella competizione a vari livelli in funzione del c.d. ranking UEFA, per cui squadre come il Bayern di Monaco, più forti e dal curriculum più prestigioso, hanno iniziato a giocare solo a fine settembre 2019, appunto.

(7) “Molte cose devono cambiare, Ci sono troppe partite [inutili] in periodi dell’anno [inadatti] […] Nella vita devi cambiare perché il calcio così com’è non può continuare” Florentino Perez, Presidente del Real Madrid e della SuperLeague, lunedì 19 aprile 2021, El Ciringuito. “I club importanti di Inghilterra, Spagna e Italia devono trovare una soluzione alla brutta realtà che sta vivendo il calcio. L’Eca stima 5 miliardi di perdite del calcio, il virus ha amplificato tutto. Solo il Real Madrid ha perso 400 milioni. I problemi sono quando non ci sono entrate, in questo caso la soluzione è fare partite più interessanti e di divertimento. Siamo arrivati alla soluzione che se invece di far la Champions facciamo una Superlega, saremmo capaci di recuperare le entrate che abbiamo perso”.