SuperLeague, chimera o possibilità? Un confronto con Usa e basket

scritto da il 28 Aprile 2021

Post di Francesco Paolo Firrao (Docente di Internet Economics & Digital Business e di Legislazione ed Economia Applicate alle Scienze Motorie, Università Statale di Milano). Si ringraziano Alessandro Casali, Davide Iannaccio e Davide Salvucci per il contributo di ricerca _ 

Seconda Parte
Modelli a confronto, Correttivi, Dissidi e Prove di Dialogo

Qualche giorno fa il Presidente di Real Madrid e SuperLeague, Florentino Perez, ha rilasciato un’intervista al quotidiano spagnolo AS in cui delinea come avrebbe potuto essere la SuperLeague. È partito dalla spiegazione di un’analisi di KPMG secondo cui sono emerse “perdite dei dodici club della Superlega per 650 milioni di euro solo relativamente ai tre mesi di pandemia della passata stagione. Alla fine della stagione attuale, le perdite saranno quattro volte tanto. Il Bordeaux è appena fallito. O facciamo qualcosa presto o molti club falliranno”. Prima di capire come siamo arrivati ad un generalizzato pericolo di default, vediamo di capire cosa è una Lega, in NordAmerica ed in Europa.

Florentino Pérez, presidente del Real Madrid e i loghi dei club della SuperLeague

Florentino Pérez, presidente del Real Madrid e i 12 club della SuperLeague

Modelli a confronto
I due modelli nordamericano ed europeo sono diversi secondo tre parametri: Apertura/Chiusura della Lega, Cultura sociale e Obiettivo Principale.

Lega Aperta o Lega Chiusa
La principale differenza tra le due Leghe consiste nella loro composizione ed attività: in America la Lega è Chiusa sia nella composizione delle squadre sia nell’impossibilità per ogni squadra di partecipare a competizioni al di fuori della Lega stessa. Le Leghe europee invece sono Aperte, le squadre possono essere promosse o retrocesse e partecipare a competizioni a livello continentale ed intercontinentale.

Cultura sociale
La seconda grande differenza è di stampo culturale: nel contesto americano, infatti, lo spettatore medio di una disciplina è più interessato all’evento in sé che alla vittoria di una squadra in particolare. Diversa è la situazione europea, dove vi è una maggiore passione e fidelizzazione dei tifosi verso la squadra del cuore, spesso legata alla città di appartenenza. Nel contesto statunitense non è raro invece che le squadre – spesso in occasione di cambi di proprietà – vengano spostate da una città all’altra, alla ricerca di bacini di interesse maggiori e cogliere nuove opportunità di business.

Obiettivo Principale
L’Obiettivo Principale di un club professionistico nordamericano è principalmente la massimizzazione del profitto, come una qualsiasi altra impresa. La ricerca del profit maximizing pone il risultato sportivo in funzione del risultato economico-finanziario. Così si comprende perché non sia permesso l’accesso alla Lega per meriti sportivi, ma solamente grazie al possesso di una franchigia (1).

Promozioni, retrocessioni, valenza competitiva, sociale ed emotiva dello sport in Europa hanno portato ad una gerarchia dove i singoli club hanno nel successo sportivo l’obiettivo principale. Solo ciò consente a tutti gli stakeholders – leghe, proprietari, giocatori, spettatori, tifosi, sponsor, politici – di raggiungere il massimo grado di utilità (2). Le perdite economiche, non tollerate nella concezione americana, passano in secondo piano rispetto all’aumento di popolarità e immagine. Il modello di utility maximizing europeo mira quindi al risultato sportivo anche a dispetto della sostenibilità (3).

Meccanismi utilizzati per migliorare l’equilibrio competitivo
Al fine di salvaguardare l’equilibrio competitivo nelle Leghe NordAmericane la differenza tra grandi e piccole squadre non deve essere mai così marcata da rendere non interessante al pubblico la competizione; viene fatto uso essenzialmente di tre meccanismi: Draft, Salary Cap e Revenue Sharing.

Il Draft
Negli sport americani la strada principale per entrare in una squadra è di essere scelti – drafted – al termine del periodo universitario. Il draft mira a riequilibrare il livello di talento delle squadre, concedendo ai team più deboli la possibilità di scelta di giocatori universitari e stranieri prima dei team più forti e vincenti (4) ed impedisce la pratica europea dell’accaparramento dei giocatori migliori da parte delle squadre più forti e ricche (5). Difficilmente un meccanismo simile potrebbe essere adottato dal calcio europeo.

Il Salary Cap
Il salary cap è il sistema che determina un tetto salariale, un massimo ammontare di denaro che una franchigia può pagare per gli stipendi dei propri giocatori nella stagione sportiva. Col salary cap (6) non solo si mira a garantire l’equilibrio alla competizione, ma risulta più semplice tenere sotto controllo i costi di gestione delle società. In Europa potrebbe essere adottato aggiungendo finalità diverse: calmierare il monte ingaggi delle squadre e adattare i costi agli andamenti di mercato.

Il Revenue sharing
Il revenue sharing consiste nella ripartizione e condivisione di determinati ricavi tra i team coinvolti in un evento o competizione. Utilizzato da tutte le leghe professionistiche americane, il revenue sharing è l’unica forma di regolazione che trova già concreta applicazione nel contesto europeo dove la condivisione di certe entrate derivanti dai diritti tv è prassi comune (7). Potrebbe essere ampliato ed applicato dalla SuperLeague.

Aleksander Čeferin, presidente dell'Uefa

Aleksander Čeferin, presidente dell’Uefa

Come siamo arrivati al possibile default del Calcio europeo?
La risposta europea alla ricerca di equilibrio e democrazia calcistica è stata affidata ad un unico strumento: il cosiddetto Fair Play Finanziario. Il FPF, voluto nel 2010 dall’ex presidente UEFA Michel Platini, si proponeva di migliorare le condizioni finanziarie generali del calcio (8) e prevedeva che dal 2013 i club calcistici che volevano competere in Europa avrebbero dovuto rispettare il break-even (9), in modo da ridurre l’indebitamento e favorire una competizione equilibrata (10).

La disciplina sul fair play finanziario ebbe inizialmente i risultati sperati e nel 2017 i club europei raggiunsero profitti aggregati per 600 milioni di euro. Però, i club più grandi investivano risorse sempre maggiori mentre altri club trovavano il modo di aggirarne i paletti (11). Ne è derivato un maggior divario tra i primi 8-10 club di standing europeo e le altre squadre di livello medio che non si sono più inserite nella competizione europea e nazionale: se tra il 2005 ed il 2012 in Spagna, Italia, Francia e Germania hanno vinto il campionato 17 squadre diverse e le prime cinque (12) avevano conseguito solo il 40% dei titoli nazionali, dal 2013 al 2020 ci sono state 25 vittorie su 28 campionati (13) da parte di Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, PSG e Juventus.

Il calcio europeo è arrivato quindi all’aprile del 2021 con una situazione determinata dal FPF che, anziché ridurre il divario tecnico ed economico, lo ha aumentato. Florentino Perez ed i suoi undici pards avranno pensato che L’UEFA non poteva permettersi a lungo una strategia non più profittevole (14) e gravata anche nel breve periodo dalle ulteriori perdite della pandemia.

Come sostiene molto bene Claudio Paudice in un’acuta analisi per Huffington Post, ora “dal centro del campo, il pallone rischia di finire al centro del tribunale”. Sventato il pericolo, il presidente Uefa, Aleksander Ceferin, ha ammonito: “Chi è in Superlega è fuori dalla Champions League”. Gli osservatori più attenti dello sport continentale avranno cominciato a risentire parole e toni di una ventina d’anni fa quando il basket europeo affrontò una situazione simile.

L’Eurolega ed i “nani sulle spalle dei Giganti” (15)
I paralleli degli ultimi giorni (16) con il basket e l’NBA sono calzanti, sia perché la Lega professionistica americana è la più vista e conosciuta al mondo, sia perché nel basket mondiale oggi convivono leghe professionistiche private con leghe nazionali e competizioni internazionali. Non solo l’NBA, ma anche quanto accaduto in Europa nel maggio 2000 potrebbe essere d’aiuto alla SuperLeague di calcio.

Dal 1958 la FIBA organizzava una competizione chiamata “Eurolega”, ma non ne aveva mai registrato il nome. Nel 2000 quattordici grandi club europei di basket, scontenti delle scelte su diritti televisivi e marketing, manifestarono l’intenzione di voler creare una Superlega privata, la cui competizione venne affidata ad un’associazione privata, la ULEB (17).

Ovviamente FIBA non riconobbe la nuova realtà e minacciò l’esclusione dai campionati nazionali di quanti vi avrebbero aderito. Intanto ULEB si appropriò legalmente del nome “Eurolega”, costringendo così FIBA a trovare un nuovo nome. Inizialmente, la spaccatura sembrava potersi ricomporre, ma dopo pochi mesi il basket si trovò di fronte a due “Coppe dei Campioni” diverse, con la nuova Eurolega di ULEB (18) e la storica, neonominata Suproleague di FIBA (19).

Dopo la prima stagione le due organizzazioni elaborarono un nuovo singolo torneo FIBA decise a non prendere alcun provvedimento nei confronti di squadre e giocatori (20). Dal 2002 la ULEB organizza anche una seconda coppa, la ULEB Cup, dal 2008 divenuta “Eurocup”. Nel 2016 un nuovo colpo di scena: la FIBA è tornata ad organizzare le proprie competizioni europee a cui si accede per meriti sportivi e per inviti, come in Eurolega: 4 analoghe coppe europee di basket.

Oggi Eurolega è un torneo a 18 squadre molto imponente; la maggioranza dei giocatori dal tasso tecnico più elevato gioca in Eurolega, in squadre con budget maggiori. Delle 18 squadre, tredici – tra cui Milano, unica italiana – possiedono una licenza che ne garantisce la partecipazione perpetua.

Gli amanti del calcio riusciranno mai ad essere i “nani sulle spalle dei Giganti”?

Le più recenti schermaglie
Forse la storia non ha insegnato abbastanza. “Già a gennaio il presidente della Uefa aveva avvertito duramente chi voleva la Superlega; noi avremmo voluto discutere i dettagli con la Uefa, ma non ci hanno dato il tempo”, ha sostenuto Florentino Perez, delineando un tardivo inizio di dialogo. Perez ha fatto capire che chi pensa di appellarsi alle leggi sulla concorrenza per far naufragare l’iniziativa resterebbe deluso. Perché, come spiega bene Claudio Paudice, non è materia da antitrust (21).

Le norme in vigore non sembrano tutelare lo status quo, ma andrebbero in soccorso dei secessionisti. Roberto Pardolesi, professore emerito della Luiss, ha detto all’Huffington Post che “chi gode di una posizione dominante nel mercato del calcio sono proprio la Uefa e la Fifa, coloro che […] hanno minacciato pesanti sanzioni contro i partecipanti alla Superlega. Se si vuole fermare il progetto […] la via dell’antitrust non sarà quella da percorrere”. Le condizioni generali previste dai regolamenti interni delle federazioni sportive “che impediscono a un atleta di partecipare ad altre competizioni è un chiaro abuso di posizione dominante”, spiega Pardolesi, e “l’esclusione di atleti dalle competizioni in corso è assolutamente impugnabile come dimostrano precedenti in questo senso” (22).

Ma oggi L’Uefa non sembra intenzionata a togliere dal tavolo l’arma delle sanzioni. Ceferin ha appena definito Real Madrid, Barcellona e Juventus come i “terrapiattisti” perché “pensano che la Super League esista” e saranno puniti più severamente degli altri club coinvolti nel progetto. Passando degli epiteti ai programmi, sulla riforma della Champions del 2024 Ceferin pare disponibile a rivedere l’idea di portare da 32 a 36 il numero dei partecipanti ma ha precisato che ciò si tradurrebbe in meno soldi per tutti.

Palesemente la storia non ha insegnato abbastanza.

La prima parte: Una Super League aveva senso, quale errori sono stati commessi?

Se volete parlare con me di questi ed altri temi mi trovate su Twitter @fif_dot_com . Sono docente di Internet Economics & Digital Business e di Legislazione ed Economia Applicate alle Scienze Motorie, Università Statale di Milano

NOTE

1) Nel contesto statunitense il compito della Lega, oltre ad organizzare lo svolgimento della competizione, è assicurare l’equilibrio competitivo ed ogni società affiliata dovrebbe conseguire profitti tali da garantirle la permanenza nella Lega, assicurando di conseguenza la continuità dell’organizzazione stessa. Le varie Leghe professionistiche non appartengono ad alcuna federazione sportiva nazionale, essendo autonome sotto tutti i punti di vista.

2) Massimizzando il numero di successi, verrà appagato il desiderio di maggior prestigio e notorietà di presidenti e azionisti, così come quello dei giocatori, che avranno più probabilità di ottenere maggiori retribuzioni. I tifosi della squadra saranno più soddisfatti e ancora più affezionati alla loro passione che arricchirà sponsor e politici locali.

3) Sono molte le realtà europee che continuano ad esistere, da decenni, solamente grazie alle liquidità immesse dalle proprietà, costrette o disponibili ogni anno a ripianare i debiti creati. Inoltre, il raggiungimento di un profitto è spesso visto dall’opinione pubblica come il tramite per consentire l’allestimento di una squadra migliore, per conseguire migliori traguardi e non per remunerare gli azionisti.

4) I giocatori vengono scelti in più turni, con un ordine di scelta stabilito dal regolamento in modo che le ultime squadre della lega scelgano per prime.

5) Inoltre, il meccanismo del draft piace al pubblico televisivo ed è diventato uno degli eventi sportivi più seguiti nell’intero panorama sportivo statunitense. Una volta selezionato un giocatore, la squadra diventa titolare di un diritto di esclusiva nella stipula del contratto, senza possibilità per le altre società di intromettersi nella trattativa. L’ordine di scelta in un draft ha un valore economico ed è soggetto a negoziazione con quello di altre squadre. È intuitivo capire quindi la tattica di una franchigia poco ambiziosa: il cosiddetto fenomeno del tanking consiste nell’allestire una squadra di basso livello, cedere i giocatori migliori in cambio di scelte elevate, con la conseguenza di perdere la gran parte delle partite. 

6) L’applicazione più conosciuta di salary cap è quella relativa alla NBA. Nella NBA il salary cap è composto da uno schema specifico che porta a restrizioni o agevolazioni a seconda del livello di spesa nei salari pagati ai propri atleti:

– Minimum cap: è una quota minima di stipendi da corrispondere, fissata al 90% del salary cap stabilito nella stagione. Nessuna franchigia può stare al di sotto di tale limite.

– Soft cap: è quella situazione in cui una franchigia si trova tra la quota minima salariale (90% del salary cap) e la quota massima (il 100% del salary cap, circa 109 milioni di dollari per il 2021). In questa situazione, la franchigia non ha limitazioni nella firma dei cosiddetti free agent, non ha bisogno di sfruttare le numerose eccezioni esistenti, e soprattutto non paga la cosiddetta Luxury Tax alla Lega, ma anzi ne riceve la propria quota dalle squadre che superano il Salary Cap.

– Hard cap: è una zona in cui non si paga luxury tax, ma si subiscono restrizioni sul mercato, per cui ad esempio non è possibile sottoporre a contratto alcun free agent e si possono effettuare solo determinati scambi di mercato. Questa soglia attualmente è di circa il 120% del Salary Cap.

– Luxury cap: oltre tale livello, fissato per il 2021 a poco più di 132 mln di dollari, si entra nella zona di luxury tax e si è costretti a pagare alla Lega un dollaro per ogni dollaro speso in ingaggi.

Tutte le regole sui contratti e sulle tasse sono stabilite da un contratto collettivo, stipulato tra la Lega e il sindacato dei giocatori. Nei casi in cui le trattative non vadano a buon fine, come nel 1998 e nel 2011, si arriva allo scontro (“lockout”), con partite annullate e notevoli conseguenze in termini di perdite economiche.

7) Nel calcio italiano la divisione degli incassi avviene anche in riferimento alla vendita di biglietti dello stadio, con una percentuale attorno al 20% dei ricavi spettante alla squadra ospite.

8) Tali provvedimenti risultarono necessari a fronte di un profondo stato di deficit in cui versava il calcio europeo: secondo i dati del 2008, il 47% dei club riportava perdite che in molti casi rappresentavano oltre il 20% del reddito e tutti insieme totalizzavano un dato complessivo di circa 1.7 miliardi di euro.

9) Per cui nell’arco dei tre anni precedenti l’inizio di una stagione calcistica europea le spese avrebbero dovuto bilanciare i ricavi

10) «Con l’introduzione del FPF diminuirà la differenza tra grandi e piccoli club: questo contribuirà certamente a rendere più avvincenti ed incerti alcuni campionati che si giocano sempre e soltanto fra due o tre squadre», Michel Platini, presidente UEFA dal 2007 al 2016.

11) Alcuni club, come Paris Saint Germain e Manchester City, attraverso un giro di sponsorizzazioni provenienti da società affini alle proprietà stesse, sono riusciti a incrementare i propri introiti, investendo cifre molto alte per l’acquisto di calciatori e allenatori di massimo livello. Ulteriormente, questo sistema ha incrementato a cascata l’espandersi del fenomeno delle plusvalenze: i club, pur di pareggiare i bilanci, hanno dovuto sacrificare giovani di prospettiva, al fine di raggiungere il break-even.

12) Barcellona, Inter, Bayern Monaco, Lione e Real Madrid.

13) Sono riusciti a vincere il campionato solo Liverpool, Atletico di Madrid e la compagine del Principato di Monaco.

14) L’intento della SuperLega, va detto, non è stato celato con false ipocrisie: il calcio deve macinare più soldi.

15) Frase attribuita originariamente a Bernardo di Chartres e ripresa poi da Bacone e Newton.

16) Facebook, La Giornata Tipo e Wikipedia, Suproleague.

17) Unione delle Leghe Europee di Basket.

18) a cui aderirono quasi tutti i top clubs, tra cui Real Madrid, Barcellona, Olympiacos, Zalgiris Kaunas, Baskonia, Tau Victoria, Benetton Treviso, Virtus e Fortitudo di Bologna.

19) con pochi grandi club tra cui il Maccabi di TelAviv, i greci del Panathinaikos, Cska di Mosca, i turchi della Efes, Scavolini Pesaro. Nel maggio del 2001 l’Europa ha avuto due campioni continentali: la Virtus Bologna vincitrice della ULEB Euroleague e gli israeliani del Maccabi Tel Aviv vincitori della FIBA Suproleague.

20) L’Eurolega è stata da subito una lega chiusa alla quale partecipano i top club europei attraverso licenze pluriennali, più un certo numero di squadre per meriti economici e sportivi. Tutte le squadre di Eurolega devono rispettare alcuni rigidi paletti in modo da avere una competizione tra club solidi e dal futuro certo.

21) Anche la Commissione Europea ha fatto intendere che preferirebbe restarne fuori: “Se dovessimo mai arrivare a una valutazione” sulla Superlega “dovremmo guardare ai principi del diritto della concorrenza”.

22) Calzante è il caso dell’International Skating Union (ISU) in cui due pattinatori olandesi ai quali nel 2014 è stato vietato di partecipare a una competizione di pattinaggio a Dubai dall’Isu che, per statuto, è tenuta al rilascio delle autorizzazioni preliminari. Secondo l’ISU, nel caso di una partecipazione non autorizzata a un torneo esterno all’ISU stessa, il pattinatore avrebbe rischiava l’esclusione a vita da qualsiasi competizione Isu, domestica ed internazionale. In quel caso prima la Commissione e poi il Tribunale della UE a dicembre scorso hanno dato ragione agli atleti olandesi. Nella sentenza del Tribunale si legge come la federazione sia “tenuta a garantire, in sede di esame delle richieste di autorizzazione, che gli organizzatori terzi di gare di pattinaggio di velocità non siano indebitamente privati di un accesso al mercato rilevante, al punto che la concorrenza in tale mercato ne risulti falsata”.