Empatia in economia, per contaminare produzione e consumi. Ecco come

scritto da il 13 Maggio 2021

Post di Azzurra Rinaldi, responsabile della School of Gender Economics e del corso di laurea in Economia del turismo all’università di Roma Unitelma Sapienza – 

Universalmente noto per “The Wealth of Nations”, in realtà Adam Smith, come molte persone sanno, è anche autore di “The Theory of Moral Sentiments”. E se nel primo testo illustra il famosissimo principio della mano invisibile, nel secondo dedica un intero capitolo all’empatia (nel testo, “sympathy”), ovvero quel sentimento di vicinanza che talora sussiste tra gli esseri umani.

Anzi, Smith stressa proprio il tema dell’empatia reciproca, come risorsa anche sociale. In un libro di qualche anno fa, intitolato “Why we cooperate”, lo psicologo Michael Tomasello individua nella capacità di cooperazione reciproca una delle basi della convivenza sociale, nonché un elemento fondamentale della creazione di organizzazioni ed istituzioni.

Empatia e fiducia sono alla base del successo che, nel nostro paese, hanno sperimentato i nostri distretti industriali: negli anni Novanta, autori come Putnam cercavano di individuare come il capitale sociale (ovvero, il complesso di relazioni di fiducia reciproca) vi giocasse un ruolo fondamentale.

È un po’ quello che alcune ed alcuni di noi si sarebbero aspettati nell’ultimo anno: un incremento dell’empatia, una diffusione del sentire comune. Non è andata sempre così. Ma in molti casi, l’empatia ha comunque fatto la differenza. Ad esempio, per le imprese.

Già nel mese di aprile dello scorso anno, in piena pandemia, l’economista Mark Carney, già Governatore della Banca del Canada e, prima ancora, della Banca d’Inghilterra, scriveva su The Economist che i consumi sarebbero cambiati. Che la pandemia avrebbe modificato il comportamento d’acquisto, in prima battuta prevalentemente dei consumatori intellettualmente e culturalmente più maturi, che avrebbero quindi scelto beni ai quali associare un valore anche umano, un reale valore legato alle modalità ed alle filosofie di produzione. Non è ancora una tendenza consolidata, ma è quanto stiamo osservando, ad esempio, in molte aziende italiane che stanno riuscendo non solo a sopravvivere alla crisi, ma anche ad aumentare (in alcuni casi, considerevolmente) il fatturato.

Anche perché, tra quanto possiamo aver imparato in questo ultimo anno, vi è una maggiore consapevolezza sugli impatti ambientali delle nostre decisioni di consumo. Ed alcune ed alcuni di noi stanno manifestando il desiderio di consumare meno, ma consumare meglio.
Lo osserviamo meglio ora, ma già qualche anno fa, il movimento #WhoMadeMyClothes ha puntato i riflettori sulla catena di produzione e consumo della fashion industry, chiedendo ai brand del settore una maggiore trasparenza. E ponendosi come obiettivo anche, possibilmente, quello di conoscere i volti e le storie delle persone che concretamente realizzano i capi che indossiamo. Perché? Per un bisogno di empatia.

Ma pensiamo anche al paradigma di produzione sinora imperante: un processo lineare costante di crescita. Crescita del fatturato, crescita del PIL, empatia ridotta al minimo. La visione dell’economia sta divenendo, al contrario, sempre più circolare: cura dell’ambiente, cura dei lavoratori e delle lavoratrici, valorizzazione delle risorse in generale. Nuovamente, empatia.

Non stupisce, quindi, che se ne cominci a parlare anche nel nostro paese (che notoriamente, su alcuni temi tende ad arrivare in ritardo). Un gruppo di donne (che si autodescrivono come imprenditrici empatiche) ha deciso di dar vita il 15 maggio al primo evento dedicato proprio all’imprenditoria empatica e di denominarlo “Comari”. Perché Comari? Perché ci richiama la visione empatica legata allo scambio colloquiale tra amici, parenti e vicini di casa. E l’evento è stato pensato in modo tale che questi scambi colloquiali si tramutino in una open lesson e diversi talk ispirazionali incentrati su una visione empatica dell’imprenditoria. Si parlerà di presente, di immediato futuro e di una nuova economia sostenibile, etica e durevole.

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Ce lo conferma anche Ilaria Barbotti, una delle organizzatrici e promotrici dell’evento: “Abbiamo immaginato e studiato questa iniziativa per mesi, proprio durante il 2020, un annus horribilis per l’economia mondiale. Abbiamo pensato a cosa potesse essere utile e aiutare o comunque ispirare nonostante tutto donne e uomini, giovani e meno giovani, a pensare al presente e al futuro in prospettiva di crescita, innovazione, successo con l’empatia. Una parola importante, spesso abusata, ma che ci dice molto su come lavorare oggi pensando al business del futuro”.

Un modo diverso di fare impresa, stando anche alle parole di Elisa General, cofondatrice di Borgo Loretello e di Merry Le Marche: “Io e le mie socie abbiamo sin dall’inizio puntato a un approccio di business collaborativo e non competitivo, a fare squadra invece di creare fazioni, a coinvolgere il contesto in cui operiamo, piuttosto che lavorarci dentro ignare di chi ci circonda. Questo approccio imprenditoriale (e di vita) è condiviso da tutte le organizzatrici di Comari, con le quali speriamo di ispirare nuove rivoluzioni imprenditoriali empatiche. Ma la gioia più grande per me è poterlo fare nel borgo sperduto tra le colline marchigiane dove abbiamo scelto di fare impresa, piuttosto che in qualche asettica sala congressi in una grande città”.

Seguiremo quindi l’evento (oltre, per chi vuole, a prendervi parte virtualmente: tutte le info su www.comari.eu), alla ricerca dei semi di un nuovo modo di fare impresa che, forse, sta già ora ponendo le basi per il futuro.

Twitter @laprofrinaldi