Indebitarsi è un po’ morire. Da debito a fallimento l’origine delle parole

scritto da il 26 Maggio 2021

Il sostantivo “debito” può essere considerato immediatamente una parola-limite, un elemento semantico raggiunto il quale nei parlanti si attivano degli allarmi congeniti. In questo senso, “debito” è un vero e proprio attivatore psico-sociale, un termine che, tra le altre cose, caratterizza, direttamente o indirettamente, la vita della maggior parte dei membri d’una comunità economico-civile. È pur vero che, in talune circostanze, può mutarsi in un ‘obbligo scelto’: per esempio, nel caso in cui si faccia un acquisto di piacere, per così dire; ma è altrettanto vero che trovare un debitore soddisfatto e contento è assai difficile. Quando, a un certo punto, al sostantivo in questione si aggiunge l’aggettivo “pubblico”, allora i guai si fanno seri, giacché le scelte di politica economica, forzose o meno, oltre a implicare conseguenze inevitabili per la vita di tutti i cittadini, generano agguerritissime fazioni di sostenitori e oppositori che, molto di frequente, si scontrano fino all’ultimo colpo. Gli utenti digitali, in tal senso, ci danno risposte molto significative e, per certi aspetti, anche costruttive, se commisurate a una proposta di ricerca in materia di sociolinguistica. Dai rilevamenti di Google Trends degli ultimi 12 mesi, infatti, apprendiamo che l’interesse per il “debito” è stato costante. Insomma, il “debito” resiste anche al Covid. Intendiamoci: in termini di ricerche effettuate, non c’è paragone che regga! Il Covid è imbattibile. Ma fa un certo effetto osservare il seguente grafico nell’anno della pandemia.

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La sua origine è prettamente e inequivocabilmente latina: dēbitu(m) è participio passato e aggettivo del verbo debēre, che significa, sì, essere debitori, ma anche essere costretti ed essere destinati. In questo contesto semantico, non si fa fatica a rilevare il coinvolgimento della dimensione emotiva del debitore, che emerge nettamente attraverso la sua costrizione e la sua sorte, tant’è che nell’Ars poetica di Orazio, leggiamo:

Debemus morti nos nostraque [Siamo destinati alla morte, noi e le nostre cose (ORAZIO, Ars Poetica, in Opere, tomo II, a cura di S. Pisano, 1849, Ferdinando Raimondi, Napoli, p. 505)]

Nell’italiano dell’economia contemporanea, non a caso, è definito obbligo giuridico. Gl’italiani, volenti o nolenti, si portano appresso questo fardello fin dalla nascita. Nell’Italia postunitaria (1861-1872), per esempio, il debito pubblico crebbe addirittura del 50% in dieci anni. Già dopo l’istituzione del Gran Libro del Debito Pubblico, a causa delle spese militari, dei debiti delle regioni annesse e del deficit strutturale di bilancio fu impossibile opporsi al “decennio di fuoco”, come viene definito il periodo summenzionato dai redattori de Il debito pubblico in Italia 1861-1987 (1988, Ministero del Tesoro, Direzione Generale del Debito Pubblico). A ben vedere, anche nella più nota tra le preghiere della cristianità, il Padre Nostro, compaiono “debiti” [ἄφες ἡμῖν τὰ ὀφειλήματα (debiti) ἡμῶν, àphes hemìn ta opheilèmata hemòn, rimetti a noi i nostri debiti] e “debitori” (ὡς καὶ ἡμεῖς ἀφίεμεν τοῖς ὀφειλέταις (debitori) ἡμῶν, hos kai hemèis aphìemen tois opheilètais hemòn). È evidente che sarebbe sconveniente, oltre che inopportuno avviare un’indagine filologico-teologica sulla questione, ma il riferimento testuale è necessario a che ci si renda conto della portata antropologica di un certo lessico.

Sulle prime, a dire il vero, saremmo indotti a dubitare alquanto d’un’esplicita connessione tra l’uso di una parola e la psicologia delle masse, specie se questa connessione è stabilita risalendo alla forma latina. Se tuttavia passiamo a un termine diverso per morfologia da quello appena trattato, ma a esso affine per procedure amministrative, allora, forse, si è costretti a cedere alla terribile evidenza: ammortamento. Ne abbiamo conoscenza mediante la pratica con la quale ci è consentito di distribuire il costo di un bene in più anni. Oggetto dell’ammortamento, di conseguenza, può essere quel bene la cui utilità si mantenga nel tempo.

Tale procedimento contabile si rivela utilissimo non solo per le persone fisiche, ma anche e soprattutto per le imprese, che possono così suddividere il costo delle immobilizzazioni, materiali o immateriali, secondo gli esercizi di competenza e costituire un saldo decrescente tra valore del bene e fondo d’ammortamento. Di fatto, in questo modo, il reddito imponibile si riduce per la durata dell’intero ammortamento. Però, il verbo “ammortare”, da cui deriva il sostantivo, non è rassicurante, non lo è affatto. Anzi, è inquietante. Cominciamo col dire che si tratta di un verbo parasintetico. Si definiscono parasintetici quei verbi che nascono da una base lessicale e si sviluppano mediante affissazione. Nel caso in specie, la base è rappresentata proprio da “morto”. Infatti, ammortare, oltre a significare estinguere gradualmente un debito, significa principalmente privare della vita, e si ritiene che provenga dal latino parlato *admortāre.

Secondo il Nocentini-Parenti (2010), la ricostruzione semantica è legata all’espressione focus mortuus est, dalla cui traduzione, il fuoco è morto, si ha l’atto dello spegnere il fuoco e, da ultimo, il passaggio semantico al far morire. Il consolidamento del suo significato attuale è attestato già nella prosa di settore del XIX secolo e, in particolare, in quella di Carlo Cattaneo. Gli studiosi aggiungono che tale consolidamento è dovuto pure all’influsso del francese amortir.

Bisogna sapere che l’annuo fondo di ammortimento destinato a ricomprare le cartelle di debito pubblico si ridusse a soli 700 mila ducati da 1.500.000 ch’era negli anni addietro (CATTANEO, C., 1836, Scritti economici, vol. 1, a cura di A. Bertolino, 1956, Le Monnier, p. 104)

Il legame descritto tra il morire, proprio della fiamma e premessa dell’estinguere, è molto sottile e, per quanto la corrispondenza tra la condizione luttuosa e il debito non sia chiara, di certo non si può ignorare che alcune espressioni sono nettamente ‘appesantite’: in un ambito lessicale molto ristretto, abbiamo già contemplato l’esser costretti o destinati e il far morire. È pur vero che il far morire potrebbe mantenere un’accezione positiva, poiché l’oggetto dell’azione causativa è il debito stesso, ma il nucleo semantico resta sempre mortuus.

È interessante, a questo punto, mettere a confronto le curve dell’interesse terminologico degli italiani, che, nel giugno del 2020, si sono addirittura intrecciate: il dato è sorprendente, specie se si considera la ripresa di “ammortamento” proprio nel periodo in cui scriviamo questo contributo.

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Il collegamento e l’intreccio non sono etimologici, bensì sociolinguistici o, addirittura, psicolinguistici, ammettendo che se ne possa trarre una disciplina.

Sono d’origine incerta e polimorfa, invece, “rischiare” e “rischio”, anche se le ipotesi fatte sono piuttosto suggestive. Il latino resecāre, tagliare, proveniente da secāre, farebbe riferimento al pericolo corso dalle imbarcazioni durante la navigazione. Il termine *resĕcum, in latino volgare, indicherebbe proprio lo scoglio, vale a dire il pericolo che le navi dovevano evitare tagliando, per l’appunto.

Un’altra ipotesi, fatta dal Cortelazzo-Zolli (2007), cui ci rimanda lo stesso Nocentini-Parenti, è quella d’una matrice araba: rizq, che rappresenterebbe una tassa pagata per l’occupazione dei territori da parte delle truppe. La terza istanza, invece, ci riporta al greco τò ῥιζικό(ν), to rhizikòn, che vuol dire sorte, destino. Non si può fare a meno di richiamare subito l’attenzione sulle corrispondenze e sulle convergenze di significato tra i termini, la cui storia ci permette di tratteggiare continuamente una lingua del malessere o, altrimenti, delle parole ombra.

Per quanto attiene alle ricerche effettuate sulla rete, “rischio” ha una curva di entità superiore a quella dei termini precedenti, ma la sua estensione semantica è amplissima, pertanto ci permettiamo di documentarla con le dovute raccomandazioni sul giudizio.

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Nel tentativo di dare compiutezza a questo contributo, oltre a ricordare che esso non può essere esaustivo, data la veste editoriale, che serve come spunto, prendiamo in esame “fallire” e “fallimento”, un verbo e un sostantivo che, già solo a pronunciarli, si crea malumore. Nell’ordinamento italiano, la procedura concorsuale liquidatoria del fallimento è regolata dal Regio Decreto n° 267 del 1942 ed è destinata al rispetto del diritto di credito dei creditori insoddisfatti. Il tramite, in teoria, è il patrimonio dell’imprenditore, ma, come sappiamo, non sempre è sufficiente. Anche in questo caso il dominio originario semantico è quello latino: fallimento deriva dal latino tardo fallire, ma il verbo che istruisce il sostantivo è fallĕre. Le aspettative dei più, in questo caso, potrebbero essere totalmente disattese perché, in latino, il ‘fallito’ non ha attenuanti: è colui che inganna, illude, viene meno a un impegno o, addirittura, resta nascosto. Insomma: una sorta di ‘traditore’. Seguendo l’analisi di Pokorny (2007) e Boisacq (1916), troviamo anche una probabile connessione col greco σφάλλω (sphàllo), che complica le cose per il presunto reo. Sphàllein significa, infatti, colpire, portare al collasso, ferire, abbattere, far capovolgere et similia.

Riportiamo, a tal proposito, una splendida occorrenza poetica dell’Iliade:

Ὀὔτ’ Ὀδυσεὺς δύνατο σφῆλαι οὔδει τε πελάσσαι, οὔτ’ Αἴας δύνατο, κρατερὴ δ’ ἔχεν ἲς Ὀδυσῆος: out’Odysèus dỳnato sphèlai oùdei te pelàssai, out’Àias dỳnato, kraterè d’èchen is Odysèos [Non riusciva Odisseo ad abbatterlo né ad atterrarlo né ci riusciva Aiace, ma resisteva la forza prestante di Odisseo (OMERO, Iliade, l. XXIII vv. 719-720, a cura di G. Cerri, 2000, Fabbri, Milano, vol. 2, pp. 1226)].

Nel rispetto del metodo adottato finora, ci congediamo pubblicando il grafico di pertinenza con tutte e quattro le occorrenze a confronto. Non è difficile riscontrare che, fatta eccezione per “rischio”, di cui s’è detto in precedenza, gli altri termini hanno ricevuto, grosso modo, un interesse simile nel corso dell’ultimo anno, come se fossero strettamente legati.

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Non possiamo affatto escludere, in conclusione, che le parole, soprattutto in contesti di elevata ‘criticità’ emotiva, abbiano dei legami di pragmatica di cui non siamo pienamente coscienti.

Bibliografia essenziale

BOISACQ, E., 1916, Dictionnaire étymologique de la langue greque,  Librairie C. Klincksieck, Paris

POKORNY, J., 2007, Proto-Indo-European Etymological Dictionary, ed. digitale a cura di Indo-European Language Revival Association, ed. Associazione Dnghu

NOCENTINI, A., PARENTI, A., 2010, L’etimologico, Le Monnier-Mondadori, Milano

CORTELAZZO, M., ZOLLI, P., 1999, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna

LIDDL, H. G., SCOTT, R., 1982, Dizionario illustrato greco-italiano, a cura di Q. Cataudella, M. Manfredi, F. Di Benedetto, Le Monnier, Firenze

 

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