Socialismo o liberismo? A quali principi ispirare spesa e finanza pubblica

scritto da il 20 Giugno 2021

Enrico Colombatto, laurea in Economia e commercio all’Università di Torino, ha ottenuto un Master in Scienze economiche alla London School of Economics e un PhD nella medesima scuola. Professore ordinario di Politica Economica presso l’Università di Torino, è direttore dell’International Centre for Economic Research (ICER). È autore di “Liberisti o socialisti? Tertium non datur. Fondamenti di un’economia della responsabilità individuale”, edito da Giappichelli. L’intervista è apparsa su Letture.org –

Professor Enrico Colombatto, esistono delle soluzioni di compromesso tra liberismo e socialismo?
Non esistono né soluzioni di compromesso, né terze vie. Esistono forme di socialismo più o meno accentuate, ma pur sempre di socialismo si tratta. Per esempio, una pressione fiscale del 20% è certamente meno gravosa di una pressione del 50%. Nondimeno, in entrambi i casi si tratta di sottrarre risorse a chi ne è proprietario e le ha avute senza aggredire nessuno. Analogamente, si possono avere forme di regolamentazione più o meno rigide o intrusive, ma in ogni caso di norme volte a limitare la libertà d’azione individuale. Chi fa appello a diverse nozioni di bene collettivo o alla necessità di ridurre le disuguaglianze non propone soluzioni di compromesso, ma giustifica una visione che è comunque socialista, poiché impone le scelte di una maggioranza o di un’autorità e viola la libertà d’azione di coloro che non sono d’accordo.

Dove affonda le proprie aporie la cosiddetta “terza via”?
L’aporia della terza via risiede nel ricorso alla nozione di un ipotetico bene collettivo in virtù del quale l’autorità ritiene di essere legittimata a violare le preferenze individuali; e al tempo stesso nel rifiuto di riconoscere che il mito del bene collettivo necessariamente costituisce una violazione della libertà individuale. Naturalmente, l’aporia svanirebbe se si ammettesse che il singolo può essere asservito ad altri singoli o a maggioranze, o se si avessero decisioni unanimi. Nel primo caso si sarebbe palesemente socialisti. Nel secondo caso il ricorso al criterio del bene collettivo sarebbe inutile, poiché l’azione “collettiva” sarebbe il risultato delle azioni individuali e si ricadrebbe nel solco liberista: un socialista rispettoso delle preferenze di tutti i singoli individui non sarebbe più socialista.

Market economy

 

Quali sono i principi fondamentali del liberismo?
Come descritto nella prima parte del libro, il liberismo si fonda sue due principi e un diritto, tutti fra loro collegati. Il primo principio è la presunzione di pari dignità: se le preferenze e le azioni degli individui non implicano forme di aggressione fisica o inganno, tutte le preferenze meritano rispetto e tutte le azioni vanno accettate. Il fatto che le preferenze del nostro vicino siano diverse dalle nostre o che determinate sue azioni ci danneggino è del tutto irrilevante. Le preferenze di un individuo sono tutte ugualmente “degne”, anche quando altri considerano quell’individuo stupido o ignorante (il termine tecnico è “irrazionale”). In sostanza, il liberista non accetta che la qualità e il merito delle preferenze sia deciso a colpi di maggioranze, un metodo che può condurre a conseguenze anche tragiche, come la storia insegna.

Il secondo principio, legato a quello precedente, è la presunzione di libertà, su cui si fonda la proprietà privata e il diritto a disporre come meglio si crede di ciò di cui si è proprietari. Se l’azione non prevede violenza e inganno, si è liberi di agire e non si deve chiedere il permesso a nessuno. In particolare, se un individuo si appropria di un bene che non era stato in precedenza appropriato da altri, egli non esercita alcuna forma di violenza e quindi ne diventa legittimo proprietario. Si osservi dunque che, secondo la visione liberista e contrariamente a quella socialista, un bene che non è stato appropriato da nessuno non è proprietà di tutti. Piuttosto, quel bene non è proprietà di nessuno e chi se ne appropria non commette alcun furto. A maggior ragione, un individuo è legittimo proprietario di ciò che produce o di ciò che acquisisce attraverso lo scambio volontario.

Il terzo pilastro è il diritto di non essere aggrediti, ovverossia di non essere costretti con l’inganno o con la forza ad agire contro la propria volontà. Si tratta della cosiddetta libertà da coercizione, che ogni individuo può rivendicare nei confronti di chiunque, del vicino di casa come del funzionario ministeriale. Come accennato in precedenza, la libertà da coercizione viene meno solo quando l’azione implica violenza fisica (o inganno): in tal caso la vittima o la potenziale vittima può difendersi usando a sua volta mezzi violenti.

Quali principi devono ispirare l’imposizione fiscale in un sistema liberista?
In un sistema liberista l’imposizione fiscale è appunto un’”imposizione”, quindi un’aggressione nei confronti dell’individuo. Se così non fosse, non si tratterebbe di imposte, bensì di donazioni. Insomma, per il liberista l’imposizione fiscale dovrebbe essere zero. Ciò non impedisce che degli individui si associno e cooperino per produrre beni servizi utili, che sarebbero poi venduti al prezzo che il produttore avrà stabilito, consapevole del fatto che non può ambire a posizioni di privilegio – per esempio proponendosi come unico produttore “legale” o “autorizzato”.

Come si esprime il paternalismo statuale?
Il paternalismo di stato si manifesta quando si giustifica l’emanazione di una norma sostenendo che essa è nell’interesse di uno più individui, nonostante essi abbiano preferenze diverse. Si pensi, per esempio, alla regolamentazione bancaria, che ha costi enormi per i clienti delle banche stesse e costituisce un ostacolo alla concorrenza e all’innovazione. Nulla vieta che un consulente (lo si chiami pure “stato”) fornisca suggerimenti e consigli a pagamento ai clienti delle banche che vorranno acquistare quei servizi di consulenza. Tuttavia, un liberista si oppone a che quei consigli siano pagati dal contribuente, dal cliente della banca che non è interessato all’acquisto di una consulenza statale, e che per le banche le idee di quei consulenti si trasformino in obblighi. Un altro esempio è fornito dal sistema scolastico-universitario, ove la durata e i contenuti dei percorsi di studio sono scelti dall’autorità pubblica, che si sostituisce così alle scelte che sarebbero effettuate dagli studenti e dalle loro famiglie, ritenuti incapace di scegliere in autonomie.

A quali principi devono ispirarsi spesa e finanza pubblica?
Poiché il liberista ritiene che il miglior sistema fiscale sia quello che prevede un gettito fiscale nullo, la spesa pubblica migliore sarebbe quella che non c’è (spesa nulla). Naturalmente, non possiamo ignorare che, anche se la spesa pubblica fosse azzerata o quanto meno ridotta, rimarrebbe il problema del debito pubblico pregresso. Chi ritiene che i giovani debbano iniziare il loro percorso senza essere gravati da un debito di cui non sono certo responsabili, e che nel caso italiano si avvia verso i 50.000 euro pro-capite, non avrebbe dubbi: il debito andrebbe azzerato o almeno drasticamente ristrutturato (si rimborsa solo una frazione del valore nominale). Si tratta senza dubbio di una proposta politicamente inaccettabile e che contribuisce a spiegare perché, tutto sommato, la visione socialista fa comodo a tutti: ai politici restii a fare i conti con le scelte irresponsabili del passato e ai giovani che sperano di poter a loro volta contrarre nuovo debito e trasferire il problema a generazioni successive.

Twitter @Colombatto