Bitcoin valuta nazionale: è una rivoluzione o un bluff?

scritto da il 22 Luglio 2021

Post di Gianluigi De Marchi, consulente finanziario indipendente, giornalista e scrittore –

È stata la prima nazione al mondo ad adottare il bitcoin come “valuta nazionale”.
Molti non sanno neppure dove si trovi El Salvador, lo stato che, con una decisione improvvisa ed inattesa, ha “sdoganato” la principale delle criptovalute facendola assurgere a moneta con valore legale.

La cosiddetta “Ley bitcoin” è stata emanata il 9 giugno 2021 e prevede che chiunque possa pagare beni e servizi, aprire conti correnti o pagare debiti usando il bitcoin anziché il dollaro USA. Ricordiamo en passant che El Salvador da venti anni non ha più una moneta nazionale e che il colon viene utilizzato solo come riferimento nozionale; situazione simile a quella di Panama (che da oltre un secolo usa il dollaro) e dell’Ecuador (che lo ha adottato dal 2000).

La notizia ha fatto il giro del mondo, suscitando grande entusiasmo tra i fan delle criptovalute, che vi hanno visto l’inizio della rivoluzione monetaria che predicano da anni; lo stato centroamericano non pesa quasi nulla nel mondo finanziario mondiale, ma sicuramente è un passo importante verso un’eventuale istituzionalizzazione delle “monete non nazionali”.

Facciamo qualche considerazione in merito per pesare l’effettivo rilievo della decisione.

Una moneta a corso legale è quella che è usata in un paese (o in un gruppo di paesi, come l’euro), con potere liberatorio (chi paga con essa può estinguere i debiti), potere acquisitorio (comprare beni o servizi), potere trasformatorio (investire in titoli, in immobili, in beni rifugio). E soprattutto una moneta a corso legale dà a chi la possiede la certezza di poterla usare in tutto il territorio, perché nessuno può rifiutarsi di accettarla.

Le criptovalute, al momento, questa caratteristica non la posseggono, perché rappresentano una forma di “moneta privata” che può essere accettata, ma nessuno ha l’obbligo di accettarle. Basta fare un giro sui vari siti Internet per rendersi conto che in Italia non sono più di 1.000 i punti vendita che accettano bitcoin (e poche decine quelli che accettano le criptovalute minori…); molto poco per poter avere il “bollino ufficiale” da parte dello stato che le farebbe uscire dalla “clandestinità” nella quale finora circolano.

el-salvador-bitcoin

La questione è delicata, perché espone tutti coloro che operano in bitcoin e simili a rischi legati proprio all’assenza di regole, norme e garanzie che invece sussistono nei mercati ufficiali.

Si pensi ad esempio alla diversità tra le conseguenze del fallimento di una banca rispetto al fallimento di una piattaforma di trading: nel primo caso esistono norme ben precise di tutela dei risparmiatori adottate sia a livello di singoli stati sia a livello di sistema finanziario mondiale; nel secondo caso nessuno offrirà un sostegno alle vittime del dissesto.

L’idea di una valuta staccata dagli stati, circolante in tutto il mondo senza vincoli o condizionamenti della politica ed affidata alla libera forza del mercato è affascinante ma si scontra con un mondo popolato da persone e congregazioni di vario tipo il cui scopo è quello di sottrarre i risparmi al prossimo.

Da alcuni anni le autorità monetarie dei principali paesi hanno cominciato a studiare il problema di cosa fare per evitare le conseguenze dell’anarchia monetaria.
In Italia il 28 aprile 2021 le due massime autorità di vigilanza e controllo italiane, Consob (responsabile della regolarità dei mercati finanziari) e Banca d’Italia (responsabile del sistema bancario) hanno ritenuto opportuno lanciare un avvertimento al pubblico, con la diffusione di un comunicato stampa congiunto (primo in assoluto, segno significativo dell’importanza annessa al tema), dal titolo chiarissimo: Consob e Banca d’Italia mettono in guardia contro i rischi insiti nelle cripto-attività.

Nel testo le due autorità richiamano l’attenzione della collettività, e in particolare dei piccoli risparmiatori, sugli elevati rischi connessi con l’operatività in cripto. Nel testo si legge, fra l’altro, quanto segue: “Da tempo si registra sul mercato un interesse crescente, a livello europeo e internazionale, verso le cripto-attività, come per esempio il Bitcoin.

In assenza di un quadro regolamentare di riferimento, l’operatività in cripto-attività presenta rischi di diversa natura, tra cui: la scarsa disponibilità di informazioni in merito alle modalità di determinazione dei prezzi; la volatilità delle quotazioni; la complessità delle tecnologie sottostanti;

l’assenza di tutele legali e contrattuali, di obblighi informativi da parte degli operatori e di specifiche forme di supervisione su tali operatori nonché di regole a salvaguardia delle somme impiegate. Si segnala, altresì, il rischio di perdite a causa di malfunzionamenti, attacchi informatici o smarrimento delle credenziali di accesso ai portafogli elettronici.

Tali rischi assumono ora una maggiore rilevanza in relazione al diffondersi di forme di offerta attraverso il canale digitale che facilitano l’acquisto di cripto-attività da parte di una platea molto ampia di soggetti.

(omissis)

Conseguentemente anche l’adesione a offerte di prodotti finanziari correlati a cripto-attività, quali ad esempio i cd. digital token, è un investimento altamente rischioso, tanto più qualora, come spesso riscontrato, le offerte siano effettuate da operatori abusivi, non autorizzati, non regolati e non vigilati da alcuna Autorità.”

Intervento dovuto, visto che la difesa e la tutela del risparmio costituiscono uno dei valori fondanti della Repubblica: all’articolo 47 della Costituzione si afferma solennemente che: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.”

La domanda inevitabile che ci si pone è: l’Italia potrebbe seguire l’esempio di El Salvador? Sicuramente no, perché una decisione del genere spetterebbe comunque alla BCE (come autorità monetaria dell’unione europea), ed inoltre non basta dichiarare una criptovaluta “moneta nazionale” per darle lo stesso peso del dollaro o dell’euro. Lo stesso El Salvador sembra a metà del guado, perché deve ancora definire dettagli importanti: occorre che la banca centrale s’impegni a cambiare il bitcoin in dollari in qualunque momento e per qualunque quantità, occorre definire con chiarezza il ruolo della nuova moneta (al momento, ad esempio, ai fini contabili la moneta di riferimento resta il dollaro!), e soprattutto occorre fornire formazione alla popolazione sul nuovo modo “duale” di gestire la finanza, in un paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione è informaticamente tagliata fuori non possedendo un computer e non avendo cultura finanziaria. Insomma, la tappa di giugno è sicuramente significativa, ma non è certo una garanzia che l’avanzata delle criptovalute nel mondo diventi una marcia trionfale.

e-mail demarketing2008@libero.it

LEGGI ANCHE: El Salvador: tutti abbagliati dal bitcoin? Facciamo un po’ di chiarezza