Le 10 università unicorno: dove laurearsi per sfondare (e cosa fare dopo)

scritto da il 11 Agosto 2021

Gli unicorni in finanza sono aziende private che hanno raggiunto una valutazione di mercato superiore al miliardo di dollari (in proposito l’analisi di Accademia Politica pubblicata su Econopoly).

Il nome utilizzato per definirle conferma l’eccezionalità dell’impresa: a fronte di un guadagno medio di 276.000 dollari per il founder (dati Crunchbase), una startup ha solo lo 0,000006 per cento delle possibiltà di aggiudicarsi questo mitico status (Adonopoulos, 2021).

In Italia, secondo il report MISE, Unioncamere e InfoCamere, le startup innovative sono in diminuzione (-1,4 per cento rispetto al trimestre precedente), il loro reddito operativo complessivo è negativo per 96,8 milioni di euro e, nella maggior parte dei casi (52,6 per cento), si tratta di società in perdita. Volendo invece ambire a migliorare personalmente la situazione nazionale, come ci si può muovere? Anzitutto analizzando la biografia dei giovani startupper di maggior successo. Ad esempio, quale percorso di studio hanno seguito?

A partire dai dati di Dealroom, Sifted ha stilato una ideale classifica delle università europee in base appunto al numero ivi laureatosi di fondatori di società unicorno (o prossime a divenirlo perché detengono una valutazione tra 200 e 800 milioni di dollari).

Sul podio salgono così, al primo posto, l’Università di Cambridge, che annovera tra gli ex-allievi il maggior numero di fondatori di unicorni (tra cui Starling, Bulb, Ada); seguono Insead (Francia/Singapore) con oltre 200 founder (ad esempio di Wise, Oda, Sennder, Dott e Curve) e la Technical University of Munich, dove hanno studiato i fondatori di Lilium, Monzo, Kaia Health e Tado.

La biblioteca dell'Università di Cambridge (dal sito dell'ateneo)

La biblioteca dell’Università di Cambridge (dal sito dell’ateneo)

Nella Top10 (in calce all’articolo il dettaglio) si trovano poi anche la London School of Economics and Political Science (con 17 tra attuali e futuri unicorni, come ManoMano e OakNorth); l’Università Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera (dove una società fondata da ex-allievi su 14 raggiunge la valutazione di un miliardo di dollari, come ad esempio Trade Republic e Tier) e l’Università di San Gallo (Svizzera) che ha laureato i fondatori di N26, SumUp, GetYourGuide e GoStudent.

Seguono la WHU – Otto Beisheim School of management (Germania) tra i cui ex-allievi si trovano i fondatori di Forto, FlixBus, Enpal e Clark; l’Università di Oxford, definita “il focolaio di innovatori fintech” (GoCardLess, Lendable, Smart Pension e 10x); il KTH Royal Institute of Technology (Stoccolma) che ha laureato i fondatori di Kry, Sinch e King. Al decimo posto si colloca invece la London Business School, che ha formato i fondatori di HelloFresh, Glovo WorldRemit.

L’analisi di Sifted identifica anche alcune altre candidate allo status di università unicorno, che -sebbene non rinetrino ancora nella Top10- appaiono promettenti e potrebbero guadagnare terreno in tal senso. Si tratta ad esempio dell’Harvard University e dell’Harvard Business School (con 2 unicorni, Omio e Interactive Investors, e 8 futuri unicorni); della Hec Parigi (con 4 unicorni, tra cui ai Tractable e Doctolib) e dell’Università di Amsterdam (con un unicorno, Adyen, e un futuro unicorno, Bux).

Conclusi gli studi, poi qual è il percorso per far emergere la propria startup?

Volendo sempre muoversi analizzando esperienze pregresse di successo, si può ad esempio ricorrere allo studio di Deloitte-THNK (basato su 900.000 imprese nel mondo), dove risultano tre passi fondamentali: continuare la propria attività (vi riesce solo una startup su 2, perchè la metà delle nuove imprese fallisce entro i 5 anni); diventare una scale-up (ovvero fatturare almeno 10 milioni l’anno, un traguardo raggiunto da una sulle 200 “sopravvissute”) e quindi un unicorno (un’impresa che all’interno del campione è riuscita ad una startup su 10.000).

Occorrono anche doti personali (essere pazienti e capaci di leadership) ed è necessario che il modello di business sia valido e tale da crescere rapidamente, anche a livello internazionale. Dai dati risulta inoltre cruciale che il capitale venga investito soprattutto in acquisizioni, per eliminare la concorrenza e ampliare il portafoglio con innovazioni di prodotto/servizi e applicazioni (in media gli unicorni analizzati nella ricerca Deloitte-THNK hanno investito circa 4 miliardi di dollari ciascuno). Non risulta invece che il luogo di origine o il settore di attività siano molto determinanti.

Se è utile analizzare i percorsi di successo, si possono trarre istruzioni anche dagli errori e chiedersi perché le startup falliscono. Secondo una ricognizione di CBInsight, i due motivi principali sono l’esaurimento dei fondi (per differenti motivi, tra cui l’incapacità di raccogliere finanziamenti aggiuntivi) nel 38 per cento dei casi e l’assenza di un mercato (ovvero incapacità di risolvere un problema o di soddisfare un bisogno di un numero sufficiente di persone o aziende) nel 35 per cento dei casi. Dato che si tratta di aspetti sostanzialmente ascrivibili ad una mancanza di preparazione iniziale, vi si può cogliere un invito alla riflessione e alla precisione nella fase di progettazione.

Cosa fare allora operativamente? Ad esempio Benedetti (2019) ha illustrato alcune fasi dell’ideale ciclo di vita di una startup. 

L’avvio avviene con una Business Idea (accertare l’esistenza nel mercato di un bisogno e di una potenziale di crescita, dotarsi di un team con competenze eterogenee che crede nel progetto e studiare in modo dettagliato il settore di riferimento).

Segue la fase Bootstrapping o Pre-Seed con Business Model Canvas (individuare le attività chiave, gli obiettivi da raggiungere, i partner giusti ed il segmento di mercato a cui puntare) e con Business Plan (strutturare le risorse da impiegare, i costi e le fonti di ricavi per la realizzazione del progetto), attingendo al capitale proprio o delle 3F (Family, Friends and Fools) oppure affidandosi a incubatori o acceleratori di impresa.

Poi è il momento di Seed Stage (testare la “traction”, ovvero l’interesse del mercato per il proprio progetto e raccogliere investimenti anche attraverso Business Angels o crowdfunding (su Econopoly ne abbiamo parlato qui) e di Early Stage (raccolta di capitale affidandosi al Venture Capital)

Quindi, ci si concentra su Later Stage (dove si lavora sul piano marketing e sulla strategia commerciale per espandersi a livello sia nazionale che internazionale) e su Sustained Growth (con i round di finanziamenti a basso rischio e basso ritorno, finalizzati al consolidamento, che in genere precedono l’IPO).

Affinchè si arrivi, infine, all’ Exit (con l’uscita degli investitori dalla startup per un’acquisizione o con il riacquisto delle quote della startup da parte dei fondatori stessi).

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LE 10 UNIVERSITÀ UNICORNO (dettaglio dei risultati)

1/ Università di Cambridge
Unicorns: 9
Future unicorns: 16
Startups: 374
Founders: 347

2/ Insead
Unicorns: 9
Future unicorns: 12
Startups: 216
Founders: 204

3/ Università Tecnica di Monaco (TUM)
Unicorns: 8
Future unicorns: 9
Startups: 173
Founders: 209

4/ London School of Economics and Political Science
Unicorns: 7
Future unicorns: 10
Startups: 229
Founders: 200

5/ Università Ludwig Maximilian di Monaco (LMU)
Unicorns: 7
Future unicorns: 9
Startups: 100
Founders: 94

6/ Università di San Gallo
Unicorns: 6
Future unicorns: 6
Startups: 128
Founders: 119

7/ WHU – Otto Beisheim School of Management
Unicorns: 6
Future unicorns: 6
Startups: 122
Founders: 113

8/ Università di Oxford
Unicorns: 4
Future unicorns: 13
Startups: 332
Founders: 283

9/ KTH Royal Institute of Technology
Unicorns: 4
Future unicorns: 8
Startups: 173
Founders: 175

10/ London Business School
Unicorns: 4
Future unicorns: 8
Startups: 165
Founders: 116

(fonte: Sifted, 2021)

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