Cina, patriottismo e moda occidentale: il nostro stile di vita cambierà?

scritto da il 19 Agosto 2021

Se osserviamo la Cina del 1983 (Banca Mondiale ‘83) e la Cina oggi, comprendiamo la sua veloce evoluzione. La Cina, in 40 anni, è passata da un sistema socio-economico per lo più agricolo ad uno industriale, con una forte urbanizzazione, e, non meno importante, una rapida digitalizzazione della popolazione.

Ottimismo e potere di acquisto

I cinesi di oggi hanno, mediamente, il potere d’acquisto degli italiani negli anni ’60-‘70. Aspetto ancora più rilevante, sono molto ottimisti. L’ottimismo è un fattore molto importante, quando si parla di consumi: il consumatore ottimista spende. Il consumatore pessimista risparmia e taglia sul “non essenziale”. All’ondata di ottimismo cinese corrisponde un crescente orgoglio patriottico e una riscoperta dell’epoca d’oro: un fenomeno che si riflette sul consumo di prodotti e servizi.

Ottimismo + orgoglio = patriottismo e consumi nazionali

Nelle aree urbane c’è una concentrazione di fattori positivi per i consumi: forte penetrazione digitale, crescente disponibilità economica, volontà di indebitarsi, volontà di spesa a cui si aggiunge il suddetto patriottismo. Ricordiamo che il cinese medio urbano è in continua crescita sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi (capacità di spesa personale e/o d’indebitamento).

schermata-2021-07-28-alle-12-12-58

Negli anni ‘90 il giovane cinese urbano considerava l’Occidente il riferimento culturale, politico e sociale a cui ispirarsi. Oggi i giovani cinesi (Generazione Z e Millennials, in particolare) sono orgogliosi della loro nazione e, in casi estremi, la proteggono da chi la offende, a suon di attacchi social devastanti (vedi Dolce & Gabbana). L’era Trump ed altri eventi ad essa associati, come la feroce critica occidentale alla politica nazionale cinese (in fatto di sviluppo economico nelle regioni dell’ovest), hanno ulteriormente esacerbato e polarizzato la percezione che i cittadini/consumatori cinesi hanno dell’Occidente (e dei suoi marchi). Il tutto a favore dei brand nazionali che sono cresciuti in termini di brand awareness e vendite.

Hanfu & Guochao: specchio del patriottismo cinese

Quando il patriottismo cinese incontra il mondo dei consumi la cosa si fa interessante: diviene un fattore pratico che influenza i consumatori. Tra le tendenze storiche (5+ anni) ci sono Hanfu e Guochao. Il mercato dell’Hanfu ha raggiunto i 21 (yuan) miliardi di valore, e il trend è in continua crescita. Consideriamo, per avere un idea, il numero di negozi digitali che vendono questo tipo di moda su TaoBao: dal 2015 al 2019 il loro numero è cresciuto mediamente del 23% anno su anno.

bulgari-1

(Fonte Statista)

L’Hanfu è uno stile che ricorda quello usato dai cinesi durante la dinastia Han (un’epoca d’oro per i cinesi). Per chi vuole avere un’idea dello stile dell’epoca consiglio il film “Red Cliff”. Un piccolo paragone estetico tra i costumi storici della dinastia Han (nel film Red Cliff) e l’Hanfu street style, sia per uomo che per donna, lo potete osservare qui sotto.

donne-hanfu

uomo-hanfu

I brand occidentali che vogliono entrare in questo mercato devono comprendere che azione diretta non è auspicabile. La soluzione più adatta è un approccio Guochao (letteralmente eccitazione nazionale): adottare degli stilisti locali, che sono già percepiti come ambasciatori della visione patriottica. In questo modo il brand occidentale non rischierà di essere ricusato o, anche peggio, essere etichettato come “ladro di identità nazionale”.

La Cina conta per il made in Italy

Piccolo particolare da non dimenticare: la Cina è uno dei maggiori partner commerciali europei e italiani. Giusto per avere un’idea dello scenario import export Italia-Cina possiamo osservare la tabella del Maeci sottostante.

Cliccare sulla figura per ingrandire

Cliccare sulla figura per ingrandire

 

Se una nazione di queste dimensioni inizia a seguire stili di vita differentii. Se le aziende occidentali di lifestyle (moda, design, gioielli etc) vendono alla Cina prodotti per il 10-20% del loro fatturato. È plausibile ipotizzare che questo pozzo gravitazionale di consumi possa alterare radicalmente intere filiere e stili di vita anche in Occidente?

Ho pensato di parlarne con il Ceo di uno dei più famosi brand italiani del lusso. Jean-Christophe Babin, che dal 2013 guida la casa Bulgari, parte dell’universo del colosso transalpino LVMH. Sua la visione che ha plasmato il gruppo e lo ha portato al successo di oggi.

“Se consideriamo il mondo dei gioielli già oggi possiamo affermare che i leader di mercato in Cina sono produttori locali – spiega Babin, che ha doppia nazionalità, francese e italiana -. I brand nazionali sono molto riconosciuti, hanno fatturati importanti e una competenza nella lavorazione delle pietre che soddisfa a pieno il gusto cinese. Oggi c’è  una coesistenza pacifica tra questi gioiellieri locali e realtà internazionali come noi. Abbiamo uno stile internazionale, tuttavia questo non ci ha impedito di creare orologi con quadranti cinesi.”

La percezione del “lusso” internazionale è qualcosa che i cinesi comprendono bene. Si può ipotizzare che alcuni marchi, se parliamo del lusso, siano percepiti come tali a prescindere dalla loro nazionalità. Una conferma arriva da Babin stesso.

“Cartier, Tiffany, Bulgari sono sempre considerati marchi leader, con tassi di crescita media intorno al 7-8%. Il possedere un’oggetto di moda di un marchio globale non è una semplice questione di stile: è un’affermazione economica legata allo status sociale e l’essere un cittadino del mondo. I marchi globali devono mantenere una posizione equilibrata tra i mercati principali. Essere troppo etnico rischia di rendere un brand internazionale troppo esposto e sbilanciato”.

Stante la crescente domanda di lusso “alla cinese” è necessario comprendere se i brand internazionali dovrebbero “spostarsi”, allineandosi a questo stile. In termini pratici resta da comprendere come, o se, la supply chain dei brand internazionali possa modificarsi.

“Se osserviamo la supply chain, parlando dei gioielli, possiamo già oggi notare come essa sia internazionale”, chiarisce Babin. “Le nostre pietre non provengono dall’Italia, sono tagliate fuori dall’Italia, in nazioni che non le producono. Il cliente di oggi sa che un buon prodotto va fatto con i migliori materiali e con le migliori tecnologie e maestranze. Sul tema borse acquistiamo dell’ottima pelle italiana lavorata dai nostri artigiani che operano nella nostra fabbrica di Firenze. Tuttavia siamo molto fluidi anche nella supply chain. Consideriamo il mercato cinese. Se volessimo produrre una borsa fall-winter che parla maggiormente al mercato cinese, con temi o design che richiamino la Cina, come il serpente, potremmo coinvolgere stilisti cinesi.”

Ipotizziamo che un brand del lusso (moda, design, auto etc..) debba allinearsi con lo stile cinese. Mantenendo una singola struttura di produzione è plausibile pensare che diventi, esso stesso, un’ambasciatore dello stile cinese verso gli occidentali?

Un esempo pratico: se sono una azienda occidentale che fa auto, e il mio cliente/nazione primario è la Cina, allora dovrò allinearmi in termini di gusti che corrispondono a supply chain. Indirettamente diventerò ambasciatore di uno stile cinese (producendo auto che piacciono prima di tutto ai cinesi). Ovviamente, al momento, questa è un ipotesi. Tuttavia è un rischio plausibile “di perdersi” per molti brand occidentali.

“La fusione di stili non è una cosa nuova”, spiega Babin. “Se pensiamo al mobile già da anni importiamo stili indonesiani. In seguito sono stati assorbiti nella cultura e negli stili occidentali diventandone parte. Già negli anni ‘30 e ‘40 i fratelli Bulgari si fecero ispirare da stili non italiani. Quando sono arrivato in questa azienda, nel 2013, abbiamo deciso di applicare un taglio a delle pietre preziose che ricordava i tetti delle pagode (taglio takhti Nda).”

Il ceo di Bulgari, Jean-Christophe Babin

Il ceo di Bulgari, Jean-Christophe Babin

C’è da considerare che la moda, come molte altre industrie del lifestyle, vive di contaminazioni, come mi conferma Babin. “Moda e lusso vivono di creatività e assorbono input da culture diverse. Io vedo questo aspetto come un’opportunità: per chi sa gestirlo in modo intelligente, è una questione di equilibri. Abbiamo avuto modo di ispirarci alla maestosità francese e la sua gioielleria dei primi ‘900, poi abbiamo trovato un nostro stile molto distintivo e più legato al colore e ai volumi.”

Una cultura che continua a contaminarsi e influenzarsi non è solo un fatto legato all’industria del lifestyle. “Consideriamo Roma dalla sua fondazione ad oggi”, continua Babin, che vive nella capitale. “Ventitré secoli di architettura: siamo partiti dallo stile repubblicano, imperiale, passando per il Rinascimento e giungendo oggi alla nuvola di Fuksas. Il tutto ha lasciato opere come il Colosseo e l’Eur. E tuttavia, se si osserva Roma dall’alto non esistono delle note fuori armonia. Roma è nata come capitale di un impero, gigante, maestosa e il suo gigantismo è continuato nei secoli. La grandezza dell’Impero Romano ci influenza ancora oggi. Il mondo del lusso non è da meno. L’ambizione di noi operatori del lusso è di fare lo stesso percorso che ha fatto Roma. All’inizio i cabochon erano ispirati all’architettura romana, ma oggi possiamo essere ispirati dal Taj Mahal o dallo stile imperiale architettonico Han. Il cabochon resta come concetto, che sia più orientale o occidentale cambia poco, resta la sua maestosità nel tempo, come è successo per Roma”, conclude il ceo di Bulgari.

La crescita che la Cina avrà nei prossimi decenni sarà importante. Non da meno l’influenza culturale e sociale sul resto del mondo. Comprendere come il Dragone si evolverà può aiutare i brand occidentali a capire come valorizzare questo cambiamento, a tutto vantaggio dell’export di qualità.

Vuoi parlarne con me?

Sono @EnricoVerga su Twitter oppure trovami su LinkedIn