Ma davvero essere contro lo smart-working è luddismo?

scritto da il 20 Ottobre 2021

Post di Ludovica Di Ridolfi, giornalista freelance

Il dibattito è aperto: il salotto o lo studio di casa sono l’ufficio del domani? Il tema dello smart-working divide il mondo politico e accademico. Chi ha le idee ben chiare è Savino Balzano, sindacalista, saggista e studioso di diritto del lavoro, autore del libro “Contro lo smart-working” (edito da Laterza, 2021).

Il Dpcm del 23 settembre scorso ripristina il lavoro in presenza nelle pubbliche amministrazioni come “modalità ordinaria”. La reputi una notizia positiva?
Ritengo che il fatto che i lavoratori abbiano la possibilità di condividere uno spazio fisico sia essenziale per il funzionamento delle dinamiche democratiche e sindacali.

Chi difende lo smart working spesso si appella al suo impatto ambientale, evidenziando come evitare gli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro ridurrebbe la CO2 emessa quotidianamente.
A questo punto siamo ambiziosi: rinunciamo ad andare al ristorante, al cinema, a teatro, a scuola. Non possiamo pensare che per combattere il problema dell’inquinamento nel nostro Paese si debba colpire il lavoro; ci vogliono politiche pubbliche indirizzate alla tutela dell’ambiente. Certo, nell’immediato lo smart-working produce esternalità positive; ma bisogna provare a spezzare la narrazione dominante in materia di lavoro, che distorce la realtà. Ad esempio, si dice che “con lo smart-working lavori dove vuoi”: in piscina, al mare, in montagna. Io sono reduce da vacanze molto belle e lunghe, sono andato in tutti questi posti. Credetemi: non ho incontrato neanche uno smart-worker. Dove sono, dove si nascondono?

Il World Economic Forum stima che l’adozione dello smart-working aumenterà la produttività del 4,6% (1). Non ti sembra un’ulteriore argomentazione a favore della misura?
Voglio fare una premessa: attorno al tema della produttività si pone troppa enfasi. Negli accordi sindacali di maggiore importanza si parla sempre di produttività, competitività e ottimizzazione dei costi, ma non trovo mai le parole “dignità”, “eguaglianza”, “libertà”, “salute” e benessere delle persone. E poi bisogna capire come questa produttività viene misurata: aumenta la produttività oraria, o aumenta la produttività perché i lavoratori fanno gli straordinari non pagati ma le ore registrate restano sempre le stesse?

Questa modalità di lavoro favorisce i nativi digitali, ma allo stesso tempo li porta a cominciare una professione in un contesto di isolamento. Stiamo formando una classe lavorativa che sarà disabituata a lavorare con gli altri?
Se lo smart-working diventasse il paradigma generalizzato della prestazione lavorativa, le conseguenze sarebbero gravissime per tutti, ma lo sarebbero infinitamente di più per chi entra nel mondo del lavoro. Chi è già inserito, in qualche modo, può contare su un network di relazioni; chi si affaccia adesso alla sua prima occupazione, invece, non entra in nessun mondo, e il paradosso è che nemmeno esce, perché rimane fisicamente a casa. E in momenti di tensione, di conflitto con il lato datoriale? Lavorando da solo finisci per non conoscere i tuoi colleghi né il tuo rappresentante sindacale, e soprattutto perdi la consapevolezza oggettiva, visiva, plastica del fatto che ciò che ti affligge, affligge anche altri. Mini il sentimento fondamentale e alla base di qualsiasi azione collettiva: la solidarietà.

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Il modello misto adottato ad esempio da Assicurazioni Generali, che alterna giorni in presenza e giorni da remoto, aiuterebbe a risolvere queste criticità?
Potrebbe. A condizione che venga accompagnato da nuove leggi, che intervengano sul pagamento degli straordinari, sul riconoscimento delle indennità e dei buoni pasto, sul diritto alla disconnessione: con il lavoro agile l’uscio di casa viene sfondato e le esigenze della produzione ti entrano fin dentro casa, fin dentro il letto.

Non ritieni che la legge 81/2017, che tornerà in vigore a gennaio (2), sia sufficiente a tutelare chi adotta lo strumento?
La legge che regola lo smart-working ha dei punti fragili sui quali bisogna intervenire. Ad esempio, c’è un problema relativo alla salute e sicurezza sul luogo di lavoro (3): il datore di lavoro è tenuto unicamente a informarti sui rischi. Come quando da bambino andavi a giocare al parco, e tua madre si raccomandava di stare attento a non farti male: puntualmente tornavi a casa con le ginocchia sbucciate. Perché non devi fare raccomandazioni, devi dare le ginocchiere.

C’è chi potrebbe accusarti di luddismo.
E infatti succede spesso. In generale, la comunicazione in materia di lavoro è abilissima nel farti sentire inadeguato: ricordo quando Renzi disse che parlare ancora di articolo 18 equivaleva a voler “mettere i gettoni nell’iPhone”. Un’immagine più che vincente, che ha fatto sentire idioti i difensori della norma. Io vorrei scardinare questa logica: credo fermamente nella tecnologia, ma declinata in modo giusto, al servizio della giustizia sociale, dell’uguaglianza tra le persone. Con lo smart-working c’è chi lavora nel monolocale, con il cane e i figli che schiamazzano, e chi lavora dal loft: così erigiamo barriere, anziché abbatterle.

 

NOTE

New study shows how much more productive a hybrid workforce can be

Che cosa dice il Ministero del Lavoro

3 Normattiva, il portale della legge vigente