Diventare città sostenibili: cosa può insegnare Tricase alla grande Milano

scritto da il 22 Novembre 2021

Parole come “cambiamento climatico”, “transizione verde” “sostenibilità”, con i loro vari inglesismi, sono ormai all’ordine del giorno e l’autunno si annuncia ricco di appuntamenti: dagli eventi milanesi della Youth4Climate e della PreCOP, che hanno svolto il lavoro preparatorio della COP26 a Glasgow, alla European Sustainable Development Week, fino a eventi nazionali e locali come il Festival per lo Sviluppo Sostenibile promosso da ASviS. In questo quadro Yezers (1) ha organizzato l’incontro virtuale “Diventare città sostenibili: esperienze a confronto”, legato al Sustainable Development Goal (SDG) #11 dedicato a città e comunità sostenibili (2).

Il motivo dell’interesse di Yezers verso la questione urbana è trasparente: essendo un fenomeno di concentrazione di individui, attività e strutture, le città sono in linea di principio il soggetto “insostenibile” per eccellenza. La loro quotidiana domanda di risorse (energia, cibo, merci, servizi, informazione) non può infatti essere in alcun modo soddisfatta dal proprio ecosistema, e produce perciò uno squilibrio che può essere sostenuto solo con il ricorso a sistemi di flussi e di approvvigionamenti sempre più vasti e sempre più costosi in termini eco-eco (economici ed ecologici). Le città hanno inoltre raggiunto soglie di dimensione e di complessità tali da trasformare le economie di agglomerazione (i naturali vantaggi che si hanno dallo stare vicini) in diseconomie. La vita urbana ha infatti subito una brusca accelerazione negli ultimi secoli, e dalla seconda metà del Novecento in particolare: se la popolazione urbana non pesava più del 5% sul totale nel 1600 e non più del 10% agli inizi dell’Ottocento, adesso la quota è salita al 50% e l’Onu stima che sfiorerà il 70 nel 2050 (3).

Introdurre pratiche di sostenibilità è dunque essenziale e tocca problematiche molto articolate, come testimonia un semplice esame dei dieci obiettivi e dei quindici indicatori individuati dall’ONU per questo SDG: dalle condizioni di vita delle persone negli ambienti urbani alla protezione del patrimonio culturale e naturale, dall’accesso al trasporto pubblico alle politiche di inclusione e resilienza (4).

Questi aspetti sono complessi e hanno declinazioni assai diverse nel Mondo, in ragione del livello di sviluppo dei vari paesi e delle varie esperienze urbane. Nell’Unione Europea, sede di una rete urbana straordinariamente diffusa e antica, i cui nodi si sono enormemente ingigantiti a partire dal secondo dopoguerra, si sta piano piano affermando la consapevolezza che il progresso tecnologico e l’obiettivo del miglioramento delle condizioni di vita devono accompagnarsi a un drastico accrescimento della loro sostenibilità a lungo termine: There’s no planet B, come recita uno degli slogan più celebri del movimento Fridays for the Future.

Come vivere le città e come renderle più sostenibili, almeno in Europa, è diventato perciò un tema di grande attualità e un obiettivo delle politiche. Così il Comune di Barcellona ha lanciato già dal 2014 l’iniziativa FabCity (5), la municipalità parigina il progetto Paris ville du quart d’heure (6), la Svezia l’iniziativa progetto 1 minute city (7), ma si può dire che, almeno sulla carta, tutte le principali città del continente hanno predisposto agende per la sostenibilità.

Per un vero cambiamento di paradigma, però, è necessario coinvolgere tutti, anche le comunità più piccole, ed è per questo che abbiamo deciso di confrontare l’esperienza di una grande metropoli come Milano con quella di Tricase, piccolo comune salentino di circa 18mila abitanti, ma primo nella sua regione a definire un’Agenda partecipata per lo Sviluppo Sostenibile Locale. Un bellissimo esempio di coinvolgimento della comunità, e soprattutto d’iniziativa dei giovani, grazie anche alla collaborazione di Anna Piccinni, funzionaria dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) (8). Ce ne hanno parlato Piero Pellizzaro, Chief Resilience Officer del Comune Metropolitano di Milano e Antonio De Donno, sindaco di Tricase, e ne abbiamo discusso sia con ricercatori che lavorano su teoria e prassi della sostenibilità urbana, sia con attori della cosiddetta “società civile” che si occupano concretamente della “messa a terra” dei valori della nuova città sostenibile:

il professor Massimo Bianchini del dipartimento di Design e lab manager di Polifactory (il Fab Lab del Politecnico di Milano), il professor Pierluigi Musarò, sociologo dell’Università di Bologna e co-fondatore del festival per il Turismo sostenibile Itacà, Andrea D’Amore presidente di “Tu sei la città“, associazione no-profit palermitana che mira a rendere i cittadini motore del cambiamento della propria   città, e Samuele Nannoni, tesoriere di “Politici per caso”,  associazione promotrice dell’implementazione di assemblee cittadine in Italia.

Non è semplice ricondurre a poche righe la ricchezza del dibattito che si è sviluppato intorno alla narrazione dei due casi della grande Milano e della piccola Tricase. Ma se da un lato sono emerse le differenze naturali nei rispettivi contesti e nei rispettivi processi urbani, dall’altro si sono manifestate con chiarezza analogie forti e strutturali, che possono essere ricondotte ai tre temi cardine della Comunità, della Rete e della Responsabilità, tre aspetti il cui sviluppo sarà indispensabile per far realmente diventare la città, come recita la strategia dell’Agenda territoriale europea, smart, inclusive e sustainable.

Il primo parte dalla cultura della cittadinanza e, come sostiene il professor Musarò, è quello di Comunità, da coinvolgere e far crescere. È dalla percezione di essere parte di un soggetto collettivo più grande, dalla Comunità intesa come cittadinanza attiva, che deriva quella condivisione di interessi e di valori indispensabile per il mutamento. Questo è un passaggio che sta molto a monte della ricerca dell’individuazione e del finanziamento dei mezzi pratici con i quali il mutamento sarà realizzato: ruolo dei soggetti pubblici locali è quello di favorire le manifestazioni di questa Comunità, che ha bisogno di essere resa consapevole attraverso strumenti di partecipazione come la Convention Citoyenne pour le Climat in Francia (9).

Senza dubbio la ricchezza del tessuto sociale di una grande metropoli rende più probabili i processi partecipativi, ma l’esempio di Tricase mostra come siano proprio le specificità insite nelle piccole realtà locali a poter diventare forti vettori di senso comunitario, e come esse possano diventare autentici casi esemplari. Ma di sicuro occorre anche fornire alle Comunità, a maggior ragione se piccole, mezzi per formarsi e migliorarsi, come nell’esempio del distributed design market, un progetto del FabLab-Politecnico di Milano nell’ambito di Creative Europe, per la fabbricazione digitale per processi partecipativi.

Il secondo concetto emerso dal dibattito è quello di Rete. Fare Rete è infatti la capacità di passare da un’idea alla sua attuazione coinvolgendo diversi attori, dalle istituzioni ai privati, fino al terzo settore e ai cittadini.

Gli esempi citati dai partecipanti al dibattito hanno in comune la capacità di avere un impatto concreto sul territorio, migliorare la qualità della vita e rendere i cittadini più consapevoli. Raggiungono l’obiettivo, hanno sostenuto i nostri relatori, quelle iniziative che riescono a fare sistema, ad aumentare la partecipazione, e in questo modo anche la visibilità e l’impatto.

La descrizione dell’esperienza dei Cammini ha fatto toccare con mano un esempio chiarissimo della natura e delle potenzialità del concetto di Rete: cammini urbani, per vivere e riscoprire le città, come per l’abbazia di Chiaravalle a Milano, cammini che uniscono le città per apprezzare ogni secondo di una vita che ci porta a correre e raggiungere soltanto la destinazione, lunghi come la via Francigena o più brevi come la Via degli Dèi fra Bologna e Firenze, continuando con la Via della Lana e della Seta fra Bologna e Prato. Ma Rete significa anche creare nuove possibilità, come per le attività commerciali e turistiche lungo il cammino, raccontando al meglio il territorio e creando sinergie che alimentano un circolo virtuoso (10). E Rete significa anche condividere esperienze, problematiche e soluzioni, come accade con il Resilient Cities Network (11) di cui Milano è parte.

(tonefotografia - stock.adobe.com)

(tonefotografia – stock.adobe.com)

Infine, il concetto di Responsabilità è apparso comune nella logica di tutti gli interventi. E non c’è da stupirsene, perché la Responsabilità è alla base del processo di transizione ecologica. “Non c’è responsabilità senza sostenibilità”, recita il Manifesto del Festival bolognese sul turismo sostenibile (12) di cui il professor Musarò è uno degli organizzatori. Tutti devono sentirsi coinvolti, devono prendersi la propria responsabilità e contribuire al processo di transizione ecologica. La Responsabilità deve andare di pari passo con il pragmatismo, necessario per passare dalle parole ai fatti, come ben dimostrano i progetti di “Tu sei la città”, di cui ci ha parlato Andrea D’Amore., o il progetto pilota REFLOW sull’economia circolare, raccontatoci da Bianchini, che testa a Milano il concetto di Food Market 4.0 (13).

In questo senso il Piano Nazionale di Ripresa a Resilienza (PNRR) è un’occasione da non perdere. Oltre a grandi interventi e infrastrutture (decarbonizzazione, mobilità sostenibile, efficientamenti energetici), gli investimenti del Piano mirano ad aumentare cultura e consapevolezza dei cittadini su sfide ambientali come la resilienza delle città al cambiamento climatico o la salvaguardia della biodiversità in ambito urbano. Tutti sono coinvolti nella transizione ecologica, e ancor più a livello locale, dove l’azione del “singolo” può davvero fare la differenza: ciò significa che inevitabilmente il nostro modo di produrre, comprare, muoverci e soprattutto pensare dovrà evolversi, per rendere noi per primi migliori di come siamo adesso. Dobbiamo essere migliori per noi e per le generazioni future. Il primo passo per cambiare il mondo è cambiare in primis le nostre abitudini, come ci raccontava Pellizzaro che ormai ha abbandonato mezzi pubblici e privati per riscoprire a piedi la sua Milano.

E in fondo scoprire la città con nuovi occhi e cambiare la propria consapevolezza del tempo senza essere schiavi del traffico cittadino, non è un bel modo per essere liberi?

 

Diletta Dini
Studentessa di Scienze Politiche, indirizzo Studi Internazionali, all’Università di Firenze. In Yezers è membro del Team di Ricerca sull’economia circolare e scrive per la Redazione.

Stefano Longo
Alliance Manager in Reply. In Yezers membro del Team Sud e del team Sviluppo Sostenibile. Collabora con l’amministrazione di Tricase per la costruzione della Strategia dello Sviluppo Sostenibile Locale.

Nicoletta Palladino
Dottoranda in fisica (Heritage Science) all’Université Paris-Saclay, ex McKinsey. In Yezers responsabile del Team Forum Sviluppo Sostenibile.

 

Note

  1. Yezers
  2. Sustainable Development Goal
  3. Long-run history of urbanization
  4. Sustainable Development
  5. Fab City Global Initiative
  6. Paris ville du quart d’heure 
  7. 1 minute city 
  8. Agenda partecipata per lo Sviluppo Sostenibile Locale
  9. Convention Citoyenne pour le Climat
  10. Rete
  11. Resilient Cities Network
  12. Festival bolognese sul turismo sostenibile
  13. Reflow project; Food Market 4.0