Fisco, dal caos bonus alle Entrate a gamba tesa: i problemi e una proposta

scritto da il 21 Febbraio 2022

Post di Francesco M. Renne, commercialista e revisore, faculty member CUOA Business School, formatore in materie finanziarie e fiscali –

Tre esempi, sintomatici del problema. Non nuovo, ma progressivamente ampliatosi come nei fumetti una palla di neve si trasforma a poco a poco in slavina. Tre esempi, recentissimi, che evidenziano la tortuosità e le incomprensioni – sostanziali, prima ancora che giuridiche – che attanagliano il nostro mondo fiscale e i suoi effetti finanziari. Con cui tutti i cittadini e tutte le imprese, non solo gli addetti ai lavori, devono confrontarsi.

Il primo, sotto gli occhi di tutti, è costituito dal caos dei bonus edilizi, stretti ora tra la necessità di contrastare le frodi (tutte vere o alcune anche solo presunte?) e il giusto (ma è davvero giusto? e, soprattutto, equo?) sostegno ad un segmento dell’economia. Per combattere le prime, non essendo stati previsti, in alcuni casi, dei (doverosi) meccanismi di certificazione (professionali) “a monte”, il Governo è dovuto (frettolosamente) intervenire con una stretta “a valle” sulle cessioni (cosiddette “successive”) dei crediti d’imposta, senza alcuna distinzione fra operatori finanziari – che le adottavano per ragioni di rifinanziamento della raccolta – e soggetti non vigilati, di fatto così riducendo l’accesso al credito della filiera dell’edilizia. Che, però, era il (vero) obiettivo dei bonus stessi. E ora (altrettanto frettolosamente) deve correre ai ripari “modificando la modifica” (a prescindere, qui, dal “come”) appena introdotta. Davvero tutto molto confuso, si dirà; ma soprattutto metodologicamente errato, nel processo decisionale pubblico, sottolineerei.

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Il secondo, meno evidente ai più, è il tentativo – sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, come misura per il contrasto all’evasione – di rendere “esecutive” (i.e. “titolo idoneo per la riscossione”) le “lettere di compliance”, ovvero quelle comunicazioni di semplice (fino ad ora) moral suasion, inviate ai contribuenti per invitarli a verificare eventuali discordanze tra quanto dichiarato e quanto risultante al fisco, pur non necessariamente ancora “verificato” compiutamente. Con ciò “saltando” la recente introduzione del contraddittorio obbligatorio sugli avvisi di accertamento e, ancor più, la specificità dell’obbligatorietà della motivazione degli atti impositivi. Tentativo, peraltro, che segue a ruota il provvedimento sulla “non autonoma impugnabilità” degli estratti dei ruoli (a date condizioni). Mosse per contrastare gli evasori, si dirà; o, invece, accettazione di un eccesso di sproporzione a favore di un sistema accusatorio, per mere ragioni di cassa?

Il terzo, oggetto di dibattito ormai non più solo fra gli addetti ai lavori, è costituito dal regime fiscale applicabile alle “attività patrimoniali virtuali” (variamente denominate come criptovalute, criptoassets, nft, tokenizzazioni, digital assets o e-coin che dir si voglia). L’assenza (purtroppo) di una normativa specifica (auspicata già anni or sono da chi qui scrive), lascia il campo a (mere) interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate che le assimilano a “valute estere” (e non lo sono, giuridicamente ed economicamente argomentando) facendone così derivare obblighi ai fini RW, cioè relativi al monitoraggio delle attività patrimoniali estere (e non lo sono, a ben vedere, “estere”, secondo la tesi del collega Deotto sulla loro sostanziale “aterritorialità”), oltre che ai fini della tassazione dei proventi, con le regole (e le esenzioni, a date condizioni) proprie delle valute (che non sono, come già accennato ed essendo forse, per analogia, più assimilabili ad “asset class” patrimoniali di investimento). Incertezza interpretativa, come in tanti altri casi, si dirà; ma, per certo, incertezza che espone ad errori, omissioni e rischio di sanzioni (non banali), ovvero che costringe ad adeguarsi supinamente all’interpretazione (discutibile) del fisco, per evitarle. Con buona pace della previsione costituzionale dell’art. 23 (i.e. “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla Legge”), aggiungerei.

Tre esempi che non hanno trovato argine nelle pur puntuali e ispirate previsioni contenute nello Statuto dei Diritti dei contribuenti. Né lo hanno trovato nella figura, con armi spuntate nell’attuale perimetro di intervento, del Garante del contribuente. Né lo hanno trovato nella (a volte manchevole) opinione pubblica e negli organi di stampa (con qualche lodevole eccezione).

Il titolare delle Finanze, Daniele Franco

Il titolare delle Finanze, Daniele Franco

Il problema esiste. E, certo, non si limita solo ai tre esempi enunciati. Ma (almeno) questi tre casi evidenziati (ma non solo questi, per la verità) si sarebbero potuti evitare se fosse già stata realizzata la proposta (avanzata da tempo da chi scrive e rilanciata recentemente assieme ad altri Colleghi, in un tavolo interdisciplinare sulla riforma fiscale) – ovvero se venissero accolti gli emendamenti (i.e. numero 8.04 e 8.06) presentati nella discussione in Parlamento sulla Legge delega di Riforma Fiscale – di un’Authority di Garanzia Fiscale (AGF).

Questa agirebbe in posizione “terza” rispetto al binomio MEF/Agenzia, che oggi – certo, nell’esercizio di poteri legittimi e necessari – nei fatti (i) legifera (surrettiziamente), (ii) elabora la normativa (secondaria), (iii) interpreta (le disposizioni normative) e poi (iv) accerta, (v) media, (vi) escute, (vii) transa con (sostanzialmente) la medesima struttura organica, oltre a (viii) coordinare i «Garanti dei contribuenti», e interverrebbe nelle fasi antecedenti ad eventuali processi (quella endoprocedimentale e quella promulgativa), con effetto deflattivo e di minori costi complessivi di difesa a carico del contribuente.

All’Authority così istituita verrebbero infatti attribuiti

(a) i poteri (e relativo personale già ora in organico) su interpelli preventivi (ampliandone l’istituto e dando maggiore certezza ex ante ai contribuenti);

(b) il coordinamento dei Garanti del contribuente (ottenendone terzietà di valutazione) attualmente in essere (istituto comunque anch’esso da potenziare) e

(c) la valutazione preventiva del rispetto dello Statuto del Contribuente nella produzione legislativa (principio di «bollinatura» preventiva). Non è superfluo affermare con forza che per combattere seriamente l’evasione (e ce n’è bisogno, nel nostro Paese), occorre (prima) tutelare davvero i contribuenti onesti (e ce ne sono, eccome).