Pandemia e sostenibilità: l’economia post-Covid sarà davvero più green?

scritto da il 23 Febbraio 2022

La pandemia sembra aver aperto gli occhi a politici e cittadini su come una crisi globale possa portare conseguenze drammatiche, sia sul piano economico che sociale. Questa volta si è trattata di una crisi sanitaria, ma in futuro potrebbero insorgere nuove crisi legate al cambiamento climatico. Di conseguenza, la Banca Centrale Europea si sta oggi occupando di finanza sostenibile, nonostante le numerose polemiche di chi dice sia una materia al di fuori della sua area di competenza. La preoccupazione principale della BCE nel medio periodo è la gestione del rischio di transizione, cioè la perdita finanziaria che può derivare dallo spostamento verso un’economia a basse emissioni. Questo rischio ha un impatto immediato e, non appena si innesca, procede molto rapidamente.

In questo contesto emergono i green bond, obbligazioni a reddito fisso emesse da enti (pubblici o privati) che vogliono raccogliere capitale per finanziare i loro progetti di salvaguardia dell’ambiente. Seppur sul mercato già dal 2007, le obbligazioni green solo negli ultimi anni hanno catturato l’interesse degli investitori, in quanto strumenti innovativi e utili a finanziare la transizione. Essendo create per il finanziamento del debito, possono permettere di suddividere il costo della transizione in maniera efficiente tra generazioni, così che l’onere non ricada interamente sulla generazione attuale o su quella futura.

Alla svolta green della BCE hanno fatto seguito diversi studi finalizzati a valutare quanto i suoi programmi abbiano effettivamente aiutato le aziende che puntano sulla sostenibilità o se, al contrario, la maggior parte dei finanziamenti vengano ancora indirizzati verso le grandi società inquinanti. Nel 2016 il Corporate Europe Observatory ha analizzato la lista dei beneficiari dei fondi del Quantitative Easing, il piano finanziario della BCE di acquisto di titoli da parte delle banche dell’area Euro avente l’obiettivo di immettere liquidità nel sistema economico.

I risultati di questo studio mostrano una tendenza della BCE ad investire in settori ad alta intensità di carbonio. In particolare, emergono numerose aziende legate al settore petrolifero (Shell e Repsol) e dell’automobile (Daimler AG, Volkswagen e BMW), ma il settore più finanziato in assoluto è quello di luce e gas. La Banca Centrale avrebbe veicolato ingenti somme di denaro, per un ammontare stimato di 46 miliardi di euro.

Uno studio recente (Dafermos et al., 2020) dimostra che più della metà dei corporate bond detenuti dalla BCE a fine luglio 2020 sono stati emessi da imprese ad alta intensità di carbonio, per un ammontare di oltre 120 miliardi. Pertanto, sembra emergere un’inclinazione della BCE ad investire in aziende poco sostenibili; un trend che potrebbe essere motivato dal fatto che i settori inquinanti presentano maggiori rendimenti e inferiori coefficienti di rischio sul mercato finanziario. Considerando che la Banca Centrale ha il dovere di rispettare la neutralità del mercato, cioè minimizzare il più possibile le fluttuazioni dei tassi di interesse, e non di agevolare le imprese green, appare evidente perché le aziende carbon intensive, aventi rating creditizi migliori e maggiore affidabilità, vengano avvantaggiate.

Nel luglio 2020, Christine Lagarde ha dichiarato che la Banca Centrale avrebbe esplorato ogni possibilità al fine di rendere le sue operazioni più green. Di fianco al piano di investimento obbligazionario corporate, approvato sotto la presidenza Draghi, è stato implementato un nuovo programma (Pandemic Emergency Purchase Programme) che prevede una promettente crescita degli investimenti green da parte della Banca Centrale nel periodo di ripresa post-pandemia. Sembra pertanto ragionevole pensare che la BCE stia ponendo le basi per un’economia sempre più green e climate-friendly.

La crisi innescata dalla pandemia ha mostrato chiaramente come l’economia europea, e in generale quella mondiale, siano estremamente vulnerabili. Il piano di ripresa deve pertanto essere improntato alla costruzione di un’economia più stabile, più rispettosa dell’ambiente e della salute delle persone, al fine di evitare l’insorgenza di una futura crisi ambientale. È fondamentale supportare la crescita di nuove imprese che guardano al futuro con progetti innovativi, permettendo loro un più agevole accesso al mercato.

La transizione verso un’economia più sostenibile, però, non si può limitare alla sola Unione Europea. I paesi più inquinanti al mondo (in termini di emissioni di CO2) sono infatti Cina, Stati Uniti e India. Il piano della Cina è chiaro: nel 2020 Xi Jinping ha annunciato l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, dichiarazione poi confermata alla conferenza Cop26 di Glasgow tenutasi a inizio novembre 2021. Tuttavia, stando ai dati attuali e agli insufficienti sforzi conseguiti, la comunità scientifica si dichiara scettica sulla possibilità che il colosso asiatico rispetti quanto promesso. In ogni caso il 2060 appare un termine troppo lontano, vi è urgenza di agire in maniera più celere.

Quello che appare evidente dalla conferenza di Glasgow è che l’Europa e l’America non sono in grado di fare grandi pressioni sulla Cina e il presidente cinese, nemmeno presente a Glasgow, non sembra avere intenzione di accelerare il suo piano quarantennale.

Ulteriormente preoccupante è il progetto dell’India, che alla Cop26 ha dichiarato il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2070. Di nuovo, la comunità scientifica ha espresso forte disaccordo, soprattutto perché il primo ministro Narendra Modi non ha specificato quali siano i provvedimenti pensati per diminuire le emissioni.

In fondo poco importa chi inquini maggiormente e chi invece rispetti le regole: il globo è interconnesso, climaticamente, socialmente ed economicamente. Tutti sono incentivati nel breve termine a continuare ad inquinare, ma questa noncuranza nel lungo periodo si ritorcerà sia contro i grandi inquinatori come Stati Uniti, Cina e India sia contro i paesi più rispettosi ed avvertiti. Il percorso verso un’economia a zero emissioni è incerto, ma il contributo del settore finanziario è senza dubbio necessario: servono impegni concreti e un cambiamento strutturale.

Elisa Armaroli

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