Come sarà il 2022 delle crypto, tra inflazione e voglia di regolamentazione

scritto da il 03 Maggio 2022

Il 2021 è stato un anno da record per il mercato delle crypto, che ha raggiunto e superato l’incredibile traguardo di 2000 miliardi di capitalizzazione. I meno esperti associano la performance di Bitcoin allo stato generale di salute del mercato crypto, considerando il risultato anno su anno (+67%) sì buono ma non sensazionale, soprattutto se confrontato agli anni precedenti, seppur nettamente superiore a quello dell’oro o del Nasdaq.

Allora perché definire il 2021 anno da record per le criptovalute? La risposta è nella performance delle cosiddette “altcoin”, ossia tutto ciò che non è Bitcoin e che, guardando i numeri, dovrebbe portare a riflettere sulle potenzialità delle altcoin stesse.

In effetti, se è vero che Bitcoin resta il precursore, asset di riferimento del mondo crypto, la cui fluttuazione spesso trascina tutto il mercato, è pur vero che la sua “dominance” (capitalizzazione di BTC rispetto a quella di tutto il mercato) è crollata dal 70% di inizio anno allo scarso 40% di inizio 2022. Il restante 60%, valente oggi oltre 1000 miliardi di capitalizzazione è appannaggio delle altcoin, nate su blockchain alternative, più efficienti, più veloci, meno impattanti sull’ambiente e soprattutto che hanno sviluppato le più svariate applicazioni durante l’anno. Gran parte del merito di ciò è della tecnologia “proof of stake”, contrapposta alla “proof of work” delle crypto di prima generazione come Bitcoin, Litecoin ed Ethereum. Quest’ultima, seconda nel ranking crypto e con una capitalizzazione di circa 330 miliardi, ha avuto una crescita superiore al 400% nel 2021 e nel suo ecosistema vivono gran parte delle altcoin più famose.

Ethereum passerà entro pochi mesi alla sopra menzionata tecnologia “proof of stake” che dovrebbe rendere la rete più fluida, abbassare le commissioni sulle transazioni, oggi molto alte, e portarla addirittura a insidiare il primato del più celebre “oro digitale”. Questo termine non è casuale ma è bensì il ruolo che gli esperti del settore stanno attribuendo a Bitcoin col passare del tempo. In effetti, nonostante i miglioramenti sulla blockchain di BTC sembra che il sogno di Satoshi Nakamoto, misterioso fondatore di Bitcoin che sognava, in seguito alla crisi del 2008, un’alternativa al sistema finanziario tradizionale, sarebbe presumibilmente realizzato non da Bitcoin ma da una delle altcoin, o un insieme di esse. Infatti, se è possibile oggi realizzare pagamenti sulla blockchain di Bitcoin, è altrettanto vero che per i motivi accennati in precedenza, ad oggi le transazioni sono più rapide ed efficienti su altre reti. Ecco che dunque, nel medio termine, il ruolo di Bitcoin potrebbe essere prevalentemente quello di “oro digitale”.

È infatti un asset scarso, (oggi il 90% della supply di Bitcoin è già in circolazione), facilmente liquidabile sulle numerosissime piattaforme exchange e trasferibile (in questo momento forse anche più dell’oro), e rappresenta dunque sulla carta un perfetto hedge contro l’inflazione. Inflazione che è il tema del momento dell’economia mondiale. Dopo essere rimasta al di sotto delle aspettative negli ultimi anni, è prepotentemente tornata, in seguito a quello che è stata, per ammissione dello stesso Jerome Powell (chairman della Federal Reserve, confermato dall’amministrazione Biden), “un’inondazione di denaro nell’economia”. Ne conseguono dati, in Europa e negli Stati Uniti, davvero elevati, non transitori, come erroneamente dichiarato in tempi non sospetti dagli esperti della BCE. Figure che diventano molto preoccupanti soprattutto se accompagnati da una crescita non adeguata dell’economia e che dopo cinquant’anni riportano nell’aria lo spettro della stagflazione.

Se l’inflazione dovesse confermarsi non transitoria, la FED continuerà con una politica monetaria restrittiva ed oltre ad accelerare il già annunciato “tapering”, il taglio agli acquisti di titoli, già a maggio potrebbe ritoccare al rialzo il tasso di riferimento di un altro mezzo punto percentuale. In uno scenario del genere per molte aziende, ma anche moltissimi governi che hanno accumulato debito extra in seguito alla pandemia, Italia in primis, il rischio default aumenterebbe significativamente.

Tornando ai mercati, ciò che storicamente ha sempre accompagnato il rialzo dei tassi di interesse è la fuoriuscita dei soldi degli investitori da mercati considerati “rischiosi”, ma che offrono buoni rendimenti in periodi di tassi bassi a prodotti meno rischiosi come i bond. Se era dunque lecito aspettarsi una correzione nel mercato azionario, che ha conosciuto un’ascesa senza precedenti a partire da marzo 2020, è meno chiaro cosa aspettarsi dal mercato crypto. Il flusso in uscita dei fondi dai mercati “rischiosi” suggerisce che probabilmente, almeno nel breve periodo, è lecito aspettarsi altri di quei pesanti crolli ai quali il mercato crypto ci ha abituati negli ultimi anni e anche negli ultimi mesi. A conferma di ciò, in questo periodo di guerra e incertezza, la correlazione tra il mercato crypto e l’azionario è vicina ai massimi storici.

Sulla sua evoluzione a medio/lungo termine, banalmente essa dipende da chi prevarrà tra quel gruppo di investitori nel mercato solo a fini speculativi, e quindi pronti ad abbandonarlo, contrapposti a quelli effettivamente coinvolti nell’uso delle DApps, della DeFi (finanza decentralizzata), i frequentatori del mercato NFT e quelli interessati all’evoluzione del famoso “Metaverso” lanciato dall’ex Facebook solo pochi mesi fa, concetto fortemente legato alla blockchain.

immagine di Art Rachen per Unsplash

immagine di Art Rachen per Unsplash

Altro fattore importante, se non il più decisivo, è il ruolo dei governi e dei regolatori, non più disposti ad accettare l’assenza di norme a regolare l’industria e soprattutto di leggi in materia fiscale verso “miners” e piattaforme crypto in generale. Potrebbe essere infatti questo uno dei motivi che hanno spinto investitori e speculatori a gettarsi il prima possibile in questo mondo e dunque una stretta potrebbe portare molti di essi ad abbandonare il mercato. In seguito alla diffusione delle linee guida delle FATF (Financial Action Task Force), creata dal G7 a Parigi nel 1989 e che si occupa di norme anti-riciclaggio e della tutela del sistema finanziario internazionale, regolatore di fatto in materia finanziaria, la Cina ha bandito tutte le attività crypto-relative e la Russia, prima dello scoppio della guerra sembrava pronta a fare lo stesso. Se la Cina può essere considerata un caso a parte, ci si aspetta in ogni caso da molti altri Paesi un giro di vite verso tutto il mondo crypto. Va in questa direzione la recentemente approvata “Infrastructure Bill” americana (seppur soggetta ancora a numerosi emendamenti) che prevede di finanziare parte dell’enorme pacchetto di stimoli all’economia americana con una stretta importante alla “DeFi” e alle attività di miners e broker. Non è inoltre da tralasciare l’interesse di molte banche centrali del mondo allo sviluppo e allo studio preliminare delle rispettive monete digitali, o CBDCs (Central Bank Digital Currencies), tra le quali anche la stessa FED, che ne ha parlato in un report pubblicato qualche mese fa.

Per concludere, la blockchain sembra comunque avere un potenziale molto promettente e a conferma di ciò c’è il massiccio ingresso di aziende e istituzioni nel mondo crypto nell’anno appena conclusosi, a partire dal celebre esempio di Elon Musk e Tesla. Il testa a testa tra finanza tradizionale e decentralizzata è solo all’inizio, quello che è certo è che il percorso che potrebbe portare la finanza decentralizzata a rimpiazzare, o affiancarsi, a quella tradizionale non sarà un percorso lineare e che l’adozione di massa sarà sicuramente preceduta da altri scontri, questioni politiche e battute d’arresto.

Giulio Imbastaro