I misteri della moneta? Sono le banche centrali a guidare le danze

scritto da il 10 Giugno 2022

Post di Giovanni di Corato*, Amministatore Delegato Amundi RE Italia SGR –

Se vent’anni fa mi avessero chiesto con l’inflazione al 4% a che livello si sarebbero posizionati i rendimenti delle obbligazioni governative a 10 anni avrei risposto sicuramente: al 6%.

Perché? Semplicemente perché il tasso d’interesse reale nel lungo termine si è storicamente aggirato in prossimità del 2% in molteplici contesti storico / economici e pertanto che i mercati avrebbero richiesto una simile “remunerazione” reale.

Sulla base di tale prospettiva interpretativa, se l’inflazione all’istante t fosse al 2% e all’istante t+1 salisse al 4%, il “lavoro dei mercati”, attraverso dinamiche di acquisto, vendita e arbitraggio fra titoli, spingerebbe i rendimenti obbligazionari e in generale la struttura a termine da livelli prossimi al 4% in direzione del 6%.

Ça va sans dire che la logica sottesa a questo ragionamento è che i mercati “guidano le danze” determinando le condizioni di finanziamento dell’economia, ottenendo “ciò che vogliono”.

Tutto quanto occorso dalla crisi del 2008 in poi falsifica decisamente quanto sopra descritto sebbene assolutamente in linea con ciò che si insegnava nella facoltà di economia negli anni ‘80 del secolo scorso.

Oggi in tutto il mondo le obbligazioni governative e le strutture a termine dei tassi d’interesse scontano rendimenti reali, al netto dell’inflazione, pesantemente e persistentemente negativi.

Ciò che tutti abbiamo imparato, forse sarebbe meglio dire re-imparato, post 2008 è che i mercati non “guidano nessuna danza”, ma che al contrario le “danze” le guidano i policy makers e in particolare, su questo fronte, le banche centrali. Sono pertanto esclusivamente scelte politiche, per i palati più fini, di politica economica, quelle che determinano il costo reale del debito ed i mercati ad esse si adattano, cercando, semplicemente, di anticipare / scontare le scelte future delle banche centrali in merito al livello delle condizioni di finanziamento di ultima istanza del sistema creditizio.

Fin qui nulla di particolarmente originale o significativo nelle mie parole che, in fondo, non fanno che prendere atto di una semplice evidenza. Il punto interessante sarebbe invece quello di capire perché la realtà si conforma a questo e perché i “mercati” non pretendono e non ottengono ciò che sarebbe “ragionevole” pretendere e ottenere.

immagine di Mika Baumeister per Unsplash

immagine di Mika Baumeister per Unsplash

Una possibile risposta è che i “mercati” sono del tutto subordinati alle condotte del blocco rappresentato dalle banche centrali e dagli istituti di credito. Essi congiuntamente determinano gli indirizzi di politica monetaria e i suoi meccanismi di trasmissione, definendo, sempre congiuntamente, le condizioni di finanziamento dell’economia e partecipando, altresì, come attori, al gioco dei “mercati” in quanto acquirenti importanti, entrambi, di strumenti obbligazionari pubblici e privati.

Il punto è che la chiave è il tasso di finanziamento di ultima istanza del sistema creditizio – il tasso di sconto – e che da esso tutto discende. Nella misura in cui esso è tenuto, credibilmente, basso dalla banche centrali (oggi in Europa, sebbene forse ancora per poco, negativo) gli istituti di credito saranno disponibili a erogare ed a comprare obbligazioni, ammesso che non sappiano come impiegare più profittevolmente il denaro, a rendimenti solo marginalmente superiori al suddetto tasso, senza alcuna sostanziale dipendenza dal livello dell’inflazione.

Perché? Semplice, la funzione obiettivo degli istituti di credito è la redditività del proprio capitale investito, return on equity si dice in inglese. Tale variabile non è che il prodotto fra il livello di leva finanziaria al quale gli istituti di credito lavorano, strutturalmente molto elevato, e il differenziale fra la redditività degli impieghi e il costo della raccolta, meglio noto come margine d’interesse.

In assenza di particolari situazioni d’insolvenza / default a livello sistemico con un margine d’interesse nell’ordine dell’1/2% il sistema creditizio riesce tranquillamente a generare una redditività del capitale investito superiore al 10%, peraltro valori, per esempio oggi, comunque superiori all’inflazione.

Pertanto, in presenza d’inflazione ciò che deve succedere affinché le condizioni di finanziamento dell’economia esprimano un costo del denaro positivo in termini reali è che le banche centrali conducano a tale livello il tasso di finanziamento di ultima istanza del sistema o che si verifichino situazioni d’insolvenza tali, anche in presenza di una politica monetaria accomodante, da spingere il sistema creditizio a ricostituire i propri margini di profitto richiedendo una più alta remunerazione dei propri impieghi e quindi generando condizioni di finanziamento dell’economia particolarmente restrittive.

I “mercati” non decidono nulla e soprattutto non esiste una remunerazione adeguata del capitale finanziario in termini reali a cui essi tendono.

*Le opinioni qui espresse sono di esclusiva responsabilità dell’autore