La crisi globale e la necessità di un nuovo ruolo strategico dell’Italia

scritto da il 13 Giugno 2022

Post di Diego Possamai (studente di Studi Storici all’Università di Torino) e Federico Volpi (laureato in International Economics and Finance all’Università Bocconi e attualmente studente di Data Science and BI all’Università di Pisa) –

“Se pensate che abbiamo avuto l’inferno in terra fino ad ora, preparatevi al peggio”. Così David Beasley, direttore del World Food Programme, presentava a marzo 2022 il report delle Nazioni Unite sulle ripercussioni del conflitto russo-ucraino per la sicurezza alimentare globale. Le sanzioni della comunità internazionale, il restringimento delle esportazioni russe ai soli paesi alleati e l’inagibilità di parte del Mar Nero potrebbero risultare disastrose per un mercato già pienamente in difficoltà a causa della pandemia e della crisi climatica.

La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) ha calcolato un aumento del 17,1% del valore dei cereali (livello più alto dal 1990) e del 23,2% di quello degli oli vegetali, attraverso lo studio mensile degli indici di prezzo dei singoli alimenti e basandosi sugli scambi nel mercato mondiale. Bisogna considerare, inoltre, che tutti i settori hanno risentito di una forte inflazione, dovuta all’accrescimento del prezzo del carburante.

È a rischio la sicurezza alimentare mondiale

Questi costi, stando al report di marzo 2022 del World Food Programme, diverranno insostenibili per i paesi che dipendono dalla Russia e dall’Ucraina. Il conflitto rischia infatti di sconvolgere non solo le zone di guerra, ma di destabilizzare intere aree geografiche che da tempo lottano contro la siccità e la carenza alimentare e che subiranno in pieno l’incremento degli oneri per l’importazione.

Russia e Ucraina contribuivano, nel 2020, a più del 25% dell’esportazione di grano, a quasi il 20% dell’esportazione di granturco e complessivamente fornivano al mercato 1/3 dell’orzo disponibile, secondo i dati raccolti ed elaborati da Al Jazeera. Inoltre, con il 60% della produzione e il 75% dell’export, Kiev è il principale coltivatore di girasoli al mondo, di cui l’ Italia importa derivati per il 46%. Analizzando i dati forniti dall’Observatory of Economic Complexity sull’export di grano russo-ucraino nel 2019-2020, notiamo come la quasi totalità delle vendite è concentrata tra l’Africa e l’Oriente, destinazioni privilegiate rispetto ai paesi del blocco occidentale, anche se troviamo alcune eccezioni, come la Spagna e, in misura minore (meno dell’1%), l’ Italia.

Esaminando meglio i dati, possiamo constatare che gli stati del Nord Africa sono tra i principali clienti dell’export di cereali e non può passare inosservata la posizione che occupa l’Egitto in questa classifica: è, in termini assoluti e per entrambi i paesi, il primo acquirente di grano e dipende per ben il 58% del suo import annuale da Russia e Ucraina. Una posizione commerciale estremamente scomoda, che ha costretto il regime di Al-Sisi ad un’apparente neutralità geopolitica, portandolo a schierarsi contro le sanzioni imposte alla Russia.

Rimanendo nell’area del Maghreb, notiamo inoltre la presenza di Tunisia e Marocco: nel 2020 hanno complessivamente importato, dalla sola Ucraina, quasi 2 milioni di tonnellate di frumento, per affrontare la carestia che ha colpito il Sahel e parte del Nord Africa. Questi disastri, uniti a un’instabilità politica senza precedenti, hanno spinto migliaia di immigrati verso l’Europa.

Dalla fine del 2021 e fino ai primi mesi dell’anno corrente, l’area del Mediterraneo occidentale (Penisola iberica, Marocco, Tunisia e Algeria in particolare) ha infatti registrato una gravissima carenza di precipitazioni, i cui effetti saranno pienamente visibili nelle prossime settimane e in estate. La mancanza di una stagione delle piogge potrebbe provocare effetti devastanti dal punto vista economico e sociale, considerato che larga parte delle zone rurali del Maghreb sono estremamente dipendenti dall’utilizzo dell’acqua piovana e che una siccità come quella stimata dagli esperti avrà un notevole impatto negativo se non verrà affrontata in tempi stretti e con maggiore cooperazione.

immagine di Mauricio Artieda per Unsplash

immagine di Mauricio Artieda per Unsplash

Instabilità politica alle porte dell’Europa e dell’ Italia

Al fine di comprendere pienamente le possibili conseguenze di questo shock e le implicazioni per l’ Italia, bisogna analizzare le conseguenze che avrebbe per il Nord Africa. Innanzitutto, è importante indagare la relazione tra prezzo globale del cibo e stabilità politica.

Come riportato dall’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo), c’è un legame tra un aumento generalizzato dei prezzi del cibo e i mutamenti politici: un rilevante esempio è quello delle “Primavere arabe” del 2011, che si sono verificate a seguito di un picco globale. La relazione è complessa, per i diversi fattori storici, culturali ed economici che possono condurre ad un conflitto civile. Tuttavia, come riportato da un influente paper pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale, nei paesi a basso reddito, un incremento dei prezzi mondiali del cibo può causare un significativo deterioramento delle istituzioni democratiche e un incremento dell’incidenza di dimostrazioni antigovernative.

Intimamente legato a ciò, c’è il discorso dell’immigrazione internazionale. In generale, il fenomeno è caratterizzato da push factors e pull factors. I primi sono fattori presenti nelle aree di origine del migrante, come la disoccupazione, i conflitti, la criminalità. I secondi, invece, sono determinati dal paese di destinazione, come la percezione di una migliore qualità di vita. L’aumento globale dei prezzi del cibo e più in generale la sicurezza alimentare, è un push factor fondamentale, come lo sono altri fattori economici e politici: in particolare l’instabilità politica.

La relazione tra migrazione internazionale e reddito tende ad essere ben definita, con tassi di migrazione bassi, per chi vive al livello di sussistenza nel paese d’origine, alti, per chi vive appena sopra e di nuovo bassi, per le classi più abbienti. La ragione di ciò è legata agli inevitabili costi che l’immigrazione oltre il proprio confine implica, ma che sono ridotti nel caso di rotte migratorie ben rodate.

Analizzando le nazionalità degli immigrati sbarcati in Italia da inizio anno fino al 29 aprile 2022, nel cruscotto statistico pubblicato dal Ministero dell’Interno, possiamo vedere come le tre nazionalità più diffuse siano le seguenti: egiziana, bengalese e tunisina. Come abbiamo già evidenziato, Egitto e Tunisia sono largamente dipendenti dal grano russo ed ucraino; inoltre, la rotta mediterranea è storicamente radicata in Libia, un paese che dopo due devastanti guerre civili sta tentando di formare un governo stabile, anche se ancora in fase embrionale.

Se l’immigrazione internazionale coinvolge chi ha un reddito, seppur minimo, durante le crisi economiche le migrazioni interne al paese sono un terzo canale di importanti mutamenti e coinvolgono anche chi vive sotto il livello di sussistenza. La migrazione verso i centri urbani è vista come un modo per il mondo rurale di assicurarsi un reddito, nei momenti in cui l’inevitabile volatilità legata all’agricoltura si manifesta.

Questa naturale caratteristica di cambiamento strutturale delle economie, se non ben governata, è in grado di scatenare profondo malcontento, spesso seguito da mutamenti sociali e politici. Una larga migrazione interna può ridurre la manodopera nel settore agricolo, riducendo la produttività e creando ostacoli allo sviluppo rurale. Allo stesso tempo, il mercato del lavoro delle città potrebbe non essere in grado di assicurare occupazione creando nelle periferie importanti problematiche sociali, una fra tutte la disoccupazione.

Un esempio lampante è la disoccupazione giovanile in Tunisia, che già oggi coinvolge per il 66% giovani delle periferie, con il record negativo di Tunisi, mentre il dato è più basso nelle campagne (33%), la cui situazione è stata studiata in dettaglio dalla FAO. Il rischio è che possano diffondersi fenomeni pericolosi per la tenuta dell’ordine democratico recentemente affermatosi nel paese: una fra tutte, l’estremismo islamico.

L’urgenza di una nuova strategia

È evidente che la proiezione dell’ Italia nel proprio estero vicino è di fondamentale importanza: sia per la sicurezza nazionale, sia per prevenire catastrofi umanitarie che la crisi globale può innescare.

Un passo in questo senso potrebbe anche essere una maggiore assertività del nostro paese nel Maghreb. Farsi garanti di un’iniziativa europea per aiutare i paesi del Terzo Mondo ad evitare una brutale recessione dovuta all’incremento dei prezzi del cibo è più che mai necessario. Il collasso socioeconomico dei paesi dell’area sarebbe una catastrofe umanitaria, nonché un disastro per la nostra sicurezza nazionale.

Tale assertività può materializzarsi anche nel sostenere, materialmente e con decisione, la transizione democratica della Libia; nel promuovere un serio partenariato strategico con la Tunisia al fine di sostenere il paese nel suo cammino di costruzione di istituzioni democratiche e in un forte rilancio degli storici rapporti italo-algerini, anche in funzione energetica.

Infine, è necessario mettere in discussione la retorica securitaria che ha pervaso il dibattito pubblico sull’immigrazione nel nostro paese, al fine di comprenderne le reali cause. L’elaborazione di strategie di lungo termine che permettano di rendere le stragi nel Mediterraneo un terribile ricordo, potrà fare anche in modo di rendere il fenomeno una risorsa per il rilancio politico ed economico dell’Italia. Oggi più che mai necessario, di fronte alle numerose sfide.