Elezioni, non c’è più l’affluenza di una volta. Come va cambiato il voto

scritto da il 04 Novembre 2022

Le elezioni dello scorso 25 settembre hanno presentato un dato molto grave nel panorama politico sia italiano che europeo. L’affluenza alle urne ha subito un calo a livello nazionale di 9 punti percentuali, attestandosi al 63,9% degli aventi diritto. Il dato rappresenta il maggior crollo di partecipazione nella storia repubblicana. E rientra tra i dieci maggiori cali di affluenza nella storia europea dal 1945 a oggi.

Le regioni con il maggior calo si concentrano nel Meridione e includono Molise (-15 punti percentuali), Campania (-14,9 p.p.) e Calabria (-12,8 p.p.). Le regioni che hanno invece resistito maggiormente a questa presa di distanze sono Sicilia (-5,3 p.p.), complice una bassa affluenza di partenza, Emilia-Romagna (-6,3 p.p.) e Lombardia (-6,7 p.p.).

Il “primo partito” in questa tornata è stato quindi quello di chi ha deciso di non presentarsi ai seggi. Comprendere le motivazioni e le cause che hanno prodotto questo risultato è fondamentale. Lo scopo è analizzare i risultati elettorali e definire il percorso che i partiti devono intraprendere. Va riconsolidato il rapporto con i cittadini, non limitandosi a una sterile lamentela post-elettorale.

Questo articolo indaga alcune delle possibili motivazioni sottostanti questa scelta: dal peso elettorale di ogni singolo individuo ai costi che gli elettori devono sostenere per votare. Considerando anche l’attuale stato di salute delle istituzioni e dei partiti italiani.

L’apparente ininfluenza del voto

Uno dei fattori che possono aver causato un maggiore astensionismo è lo squilibrio di consensi tra le forze politiche. Più precisamente, un argomento comune in scienze politiche è quello per cui l’incentivo dei cittadini a votare aumenta all’aumentare della loro percezione di essere determinanti. Dunque, è plausibile pensare che, all’aumentare del divario tra i partiti nei sondaggi preelettorali, diminuisca la probabilità che il proprio voto sia determinante, e dunque l’affluenza.

A suffragare questa ipotesi sono i dati sulle passate elezioni. In particolare, guardando alle politiche, dal 2013 l’astensionismo è cresciuto di pari passo con lo scarto tra le principali coalizioni in gioco. Partendo da 9 punti di distacco percentuale nei sondaggi del 2013, con astensione al 25,8%, si è passati per i 10 punti di scarto del 2018, con il 27,1% di astenuti, fino al voto del 25 settembre, con 18 punti di distacco e astensione al 36,27%.

Più interessante è il confronto con le elezioni per il parlamento europeo del 2019, che videro il minimo storico di affluenza ai seggi (54,5%). Nelle settimane immediatamente precedenti, tutti i principali sondaggi prevedevano una differenza percentuale tra la Lega e i concorrenti PD e M5S di circa il 10%. Tuttavia, è importante contestualizzare: la partecipazione alle europee si è da sempre attestata su livelli inferiori rispetto alle elezioni politiche nazionali. Probabilmente a causa di una minore rilevanza percepita dagli italiani.

L’appiattimento della proposta politica

La crescente somiglianza dell’offerta politica tra i partiti dell’arco parlamentare ha portato a un minore attaccamento degli elettori al proprio partito di appartenenza. Ne è conseguita una diminuzione del beneficio che gli elettori si aspettano di ottenere con la vittoria del partito politico di cui sono sostenitori, vista la minore differenziazione rispetto alle proposte politiche avversarie.

Nonostante la pandemia abbia portato a un incremento momentaneo delle iscrizioni ai partiti, è indubbio che la partecipazione alla vita politica sia diminuita, così come l’identificazione e la fiducia nei confronti dei partiti: tra i giovani, per esempio, quasi una persona su quattro non prende parte alla vita politica. A pesare maggiormente sul dato sono la sfiducia e il mancato legame con i corpi intermedi, come dimostra una ricerca di SWG.

Secondo il Rapporto sul benessere equo e sostenibile condotto da Istat, la fiducia dei cittadini italiani nei confronti dei partiti politici è particolarmente bassa, attestandosi ad appena 3,3 punti su un massimo di 10. La crisi dell’attuale sistema politico si concretizza quindi nell’astensione. Secondo un’indagine dell’Istituto Cattaneo, nel 2018 circa il 50% degli astenuti citava come motivazione la sfiducia o il disinteresse verso l’attuale classe politica.

Questa disillusione potrebbe essere ulteriormente alimentata dalle numerose alleanze (coinvolgenti in varie forme il 90% dei deputati e l’86% dei senatori nell’ultima legislatura) che si sono susseguite nelle ultime legislature, anche tra partiti opposti ideologicamente.

Come evidenzia la Supermedia dei sondaggi di YouTrend, inoltre, l’unica forza di costante opposizione, Fratelli d’Italia, ha osservato la maggiore crescita rispetto al dato rilevato alle precedenti elezioni politiche.

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Quando votare non è una scelta

Anche il costo fisico di recarsi a votare nel proprio seggio il giorno delle elezioni non può essere ignorato quando si esaminano le cause dell’astensionismo. In termini generali, il cittadino deve esprimere il proprio voto nel seggio assegnatogli in base al proprio comune di residenza. Il voto in un seggio diverso da quello assegnato viene garantito solo ad alcune categorie specifiche di cittadini, come militari o persone ricoverate in ospedale. Inoltre, i cittadini temporaneamente o stabilmente residenti all’estero possono usufruire del voto per corrispondenza.

Tuttavia, si stima che circa 5 milioni di giovani tra i 18 e i 35 anni, ossia attorno al 10% del corpo elettorale, incontrino ostacoli a causa del tempo e dei costi da sostenere per tornare nel proprio comune di residenza. Come è stato affermato più volte in seguito al voto del 25 settembre, questa situazione rappresenta una delle cause più dirette della grande astensione in Italia, anche se probabilmente non ne giustifica le variazioni più recenti.

Infine, esistono fattori contingenti che, sebbene possano sembrare banali, influenzano la decisione di andare a votare. L’esempio più ovvio riguarda le condizioni atmosferiche nel giorno delle elezioni, che possono rendere gli spostamenti verso i seggi più complessi. Questo è probabilmente ciò che è successo lo scorso 25 settembre, quando la Protezione Civile ha diramato un bollettino di allerta meteo gialla e arancione in 11 regioni italiane.

Elezioni e incentivi al voto

Pensare a politiche che possano invertire questa tendenza è complesso. D’altro canto, pare necessario introdurre incentivi che risolvano una questione che mina i valori democratici della Repubblica. In primo luogo, è opportuno attrezzarsi per permettere a chiunque di votare più agevolmente. La strada giusta è riammodernare la burocrazia legata alla votazione e abbandonando il voto nel solo seggio di residenza.

Affiancare a una semplificazione burocratica una vera e propria misura deterrente è invece delicato. Si rischia di intaccare quell’equilibrio che i costituenti hanno delineato definendo il voto “diritto” e “dovere civico e morale”.