Mafia, tra meme e gag soffoca l’economia. Ecco la versione di Elena Ferraro

scritto da il 08 Febbraio 2023

A un covo segue l’altro; le scatole predisposte dai ROS si riempiono rapidamente: scarpe, gioielli, profumi, orologi; la cronaca si arricchisce a dismisura, a tal punto che se ne origina un’elencazione parallela, virtuale e, talora, comica, ma, soprattutto, che oltrepassa, di forza, i confini della storia luttuosa che, anni addietro, ci è stata raccontata. La comunità civile, sui social network, mostra sempre feconda ed eccentrica creatività e nessuno si chiede più, di fatto, quale sia il significato d’un qualsivoglia meme in cui Matteo Messina Denaro, indiscusso protagonista dei motti di spirito, sia raffigurato ripetutamente, accanto a ogni genere di personaggio e in relazione a tutti gli oggetti della nostra sfera relazionale.

Da Johnny Stecchino a Ficarra e Picone

La mafia è stata spesso tema di sferzanti e convincenti parodie: celeberrimo è il caso di Johnny Stecchino, ma nessuno potrà mai dimenticare il Mafioso di Alberto Sordi o, più tardi, quello di Corrado Guzzanti o, ancora, le inimitabili gag di Ficarra e Picone. Il fatto è che motti di spirito, forme varie di umorismo, parodie e trovate esilaranti anche non immediatamente classificabili, nel ridisegnare la realtà in modo burlesco o grottesco, molto di frequente, la rendono ridicola e possono rivelare grandi disagi e lacune incolmabili.

Insomma, in questo modo, si comunica qualcosa che, altrimenti, la collettività non sarebbe disposta ad accettare. Allora, il popolo si divide presto e nettamente in due categorie: gl’incolti e sanguinari forcaioli, il più delle volte ignari di leggi e implicazioni sociali e, per l’appunto, i rapsodi dell’irrisione. Alla prima delle due categorie si sostituiscono, di tanto in tanto, i predicatori della rettitudine e della conversione, grafomani delle commemorazioni. Non si tratta, dunque, di due categorie separate, giacché l’una si nasconde dietro l’altra per poi riapparire al momento opportuno. A ogni modo, coloro che popolano ogni categoria hanno bisogno di simboli e idoli, senza i quali lo scimmiottamento risulterebbe vano e improduttivo.

Imprenditoria a Trapani, come in una bolla

E le aziende? Di là dal ritrovamento di scarpe, gioielli, orologi, profumi e tanto altro, che gl’investigatori hanno il dovere di catalogare e che, indubbiamente, appartengono a un circuito economico occulto, sarebbe appena il caso d’interrogarsi sul circuito piccolo e medio-imprenditoriale della provincia di Trapani, che al momento vive dentro una sorta di bolla. Ebbene? Non se ne parla molto, anzi – diciamolo senza giri di parole! – non se parla proprio e, se, qualche volta, si fa, lo si fa in modo sensazionalistico: di nuovo: o per cercare qualcuno da mandare al patibolo o per esaltare incondizionatamente qualcun altro.

L’ingerenza della mafia, la testimonianza di Elena Ferraro

Elena Ferraro, però, propone una vera e propria argomentazione logica e bisogna rendersi conto che la sua interpretazione del rapporto tra criminalità organizzata e imprese non ha precedenti. Qui, occorre fermarsi per un attimo e fare alcune precisazioni al fine di non generare equivoci. Quando scriviamo che “la sua interpretazione non ha precedenti”, intendiamo dire non già che gl’inquirenti non sono mai stati in grado di produrre ipotesi di tal fatta, bensì che nessun imprenditore che abbia subito l’offensiva mafiosa sia mai stato in grado di riesaminare in questo modo l’esperienza di contatto. Elena Ferraro è, anzitutto, la testimonianza del fatto che un’impresa può sopravvivere ai tentativi d’ingerenza mafiosa. Ma è anche molto altro. Noi l’abbiamo incontrata e abbiamo tentato di analizzare i suoi argomenti, che qui ci accingiamo a rielaborare e riproporre. “I suoi argomenti”: lo ribadiamo.

Laureata in filosofia con una tesi sulla scuola di Chartres, ritiene che la mafia abbia sviluppato un modello di business basilare. Ella è talmente audace da affermare pure che “la mafia non chiede il pizzo e non ammazza più”. Sulle prime, in effetti, si fa un po’ di fatica ad accettare il contenuto delle sue dichiarazioni o, per lo meno, non è difficile mostrare scetticismo. A poco a poco, tuttavia, ci si rende conto che il suo discorso è ben strutturato.

Le vittime preferite: le imprese con bassi fatturati

In sostanza, il modello di business summenzionato esclude, pur se in parte, il ricorso a pratiche economico-estorsive e all’omicidio. Ciò dipenderebbe unicamente dalla finalità e dal raggiungimento di altri scopi, che ne sarebbero o alterati o definitivamente inficiati. La perplessità è legittima, poiché la lista dei delitti è lunga, ma la dottoressa Ferraro argomenta più o meno in questo modo: il loro obiettivo è quello di infiltrare le piccole imprese, quelle che hanno bassi fatturati e, per ciò stesso, possono essere facilmente manipolate.

L’imprenditore che vive di stenti, in effetti, può essere molto esposto alla tentazione, ovverosia all’idea di superare quegl’impedimenti che derivano prevalentemente dall’imposizione fiscale e che non gli consentono di far crescere gli utili. Per alcuni di loro, cominciare ad operare in consorzio con un gruppo criminale vuol dire, il più delle volte, ottenere un volume d’affari esentasse, poterlo riciclare e, soprattutto, estendersi attraverso i vari livelli di collusione.

La mafia e e la vicenda Hermes s.r.l.

Nel 2013, la Hermes s.r.l, ambulatorio radiologico di cui la dottoressa Ferraro è tuttora amministratrice e di cui possiede una quota del 50%, non a caso, aveva un fatturato di € 58.114,00 ed era addirittura priva di un budget sanitario. In apparenza o secondo l’opinione comune, si trattava di un’attività che non avrebbe dovuto destare l’interesse d’un qualsivoglia sodalizio criminale . Eppure, in quei giorni, Mario Messina Denaro, cugino dell’allora latitante Matteo, si recò in via Sapegno 24, a Castelvetrano, per incontrare Elena e farle l’irrinunciabile proposta.

La Hermes s.r.l avrebbe dovuto fare un accordo con un altro centro sanitario, il cui nome non venne fatto e, in funzione di questa sorta di joint venture, avrebbe ricevuto un certo numero di pazienti. Questi, tuttavia, avrebbero pagato la prestazione sanitaria non già alla Hermes, bensì all’ignoto centro sanitario che, a propria volta e in seconda istanza, avrebbe provveduto a saldare il conto. Anzi, oltre a saldare il conto, avrebbe permesso alla ricevente di far crescere notevolmente l’imponibile in fattura, così da compensare adeguatamente la Hermes per la disponibilità.

elena ferraro

L’imprenditrice trapanese Elena Ferraro

Elena Ferraro denuncia di Mario Messina Denaro

A questo punto, si sarebbe dovuta manifestare l’abilità della dottoressa Ferraro, la quale avrebbe dovuto restituire a Mario Messina Denaro una certa sommetta, naturalmente in contanti. Da destinare al mantenimento delle famiglie dei detenuti. Il proponente lo disse chiaramente. Il condizionale adottato nella narrazione è legato all’esito della vicenda: com’è ormai noto, Elena Ferraro denunciò Mario Messina Denaro e decise di andare avanti da sola. Fece la scelta di continuare con le proprie forze, senza aiuti illeciti né scorciatoie di alcun tipo. Oggi, la Hermes s.r.l ha un fatturato di poco meno di € 130.000,00 e fa del proprio meglio per crescere. Le difficoltà, indubbiamente, restano.

Lo Stato, Falcone e gli effetti sulla vita dell’imprenditrice

Ma resta anche, per contro, un modello economico, che è, a ben vedere, una proiezione di quel “follow the money” di Falcone che, d’altronde, ha trovato ampia conferma. Adesso, cosa dovremmo fare? Abbandonarci in lodi sperticate verso Elena Ferraro? Sì, giova allo spirito e consolida le mode, ma… fino a che punto gioverà a lei? In che misura lo Stato sarà presente nella vita dell’imprenditrice Elena Ferraro?

Cos’altro si prospetta, di là dall’efficace azione giudiziaria e dalle brillanti ‘ospitate’? Per usare un linguaggio prossimo ai filosofi e ai teologi di Chartres, qual è la ricompensa terrena per i giusti? Si potrebbe obiettare fermamente facendo notare che il rispetto della legge non comporta ricompense; dovrebbe essere connaturato in ciascuno di noi: è vero, com’è altrettanto vero che i segnali forti da parte dello Stato generano fenomeni di grande valore psicopedagogico.

Sequestro e chiusura della società Gruppo 6

Poco più di quindici anni fa, a Castelvetrano, in seguito all’arresto di Giuseppe Grigoli, considerato il cassiere di Matteo Messina Denaro, fu sequestrata una società che operava nella grande distribuzione organizzata, il Gruppo 6. Negli anni successivi, purtroppo, l’amministrazione giudiziaria non fu in grado di salvare l’azienda e circa 300 persone rimasero senza un lavoro. In una città di 30.000 abitanti, come Castelvetrano, un evento di tale portata causa l’erosione del reddito pro capite per l’1% della popolazione.

Perché le fiaccolate non possono bastare

Dunque, cortei, fiaccolate, commemorazioni, celebrazioni et similia fanno parte d’un processo di partecipazione emotiva, ma, se non si affrontano ora la questione delle agevolazioni e della detassazione delle imprese ora quella della disoccupazione, la teoria della Ferraro, quantunque ostica, è da considerarsi valida e pure predittiva.

Alle radici del fenomeno mafioso

Come avevamo scritto in passato e, soprattutto, in tempi non sospetti, sempre su Econopoly24 (il virgolettato, più oltre, è ripreso fedelmente da quel contributo), la genesi del fenomeno mafia si ebbe in una dimensione storico-sociale ed economica in cui gli apparati statali erano del tutto assenti, ovverosia verso seconda metà del XIX secolo. All’epoca, i grandi feudatari assoldavano i campieri per difendere le proprie terre dalle scorrerie. I contadini, che non avevano le risorse economiche per opporsi ai banditi, si rivolgevano, a propria volta, al feudatario, il quale, in cambio di prestazioni e prodotti, offriva la protezione richiesta.

Lotta alla mafia, dov’è (stato) l’errore?

“Chiusura, inevitabilità e incrollabilità portarono il latifondista al potere. Tuttavia, nell’atto di nascita, questo sistema non poteva essere considerato ‘illegale’. Non esisteva, infatti, un vero e proprio concetto di legalità rispetto al quale esso avrebbe potuto essere giudicato. Quando, a un certo punto, fu avvertito il bisogno di ‘riformare’ questo modello socio-economico, non si fece altro che tentare la pratica del contrasto irrazionale, dello schiacciamento o dello sradicamento, sebbene sradicare dall’ambiente qualcosa che non si distingue dall’ambiente stesso possa implicare due cose: o annientare l’ambiente stesso – il che è impossibile – oppure generare e rigenerare o semplicemente rafforzare ciò contro cui si combatte”.

“Dunque, la prima considerazione doverosa è la seguente: il fenomeno malavitoso avrebbe dovuto essere affrontato col piglio dell’antropologo, del sociologo, dello scienziato e, soprattutto, con quello dell’economista, non solo con quello del ‘poliziotto’. Si tratta di una legge scientifica inalienabile: coi sistemi si deve interagire, non si possono annientare di colpo”.

L’interazione avrebbe portato alla rigenerazione graduale del tessuto sociale. L’intervento dello Stato, fatto principalmente di politiche attive per il lavoro e i servizi pubblici avrebbe garantito il resto. Ma nulla di tutto questo è accaduto.

Twitter @FscoMer

francescomercadante.it

Per approfondire la questione della lingua dell’economia leggi “Le parole dell’economia Viaggio etimologico nel lessico economico”