Nft: che cosa spinge a pagare delle enormità per un file?

scritto da il 10 Marzo 2023

Non mi voglio avventurare nelle ragioni che spingono una persona a pagare decine di milioni di euro per un’opera d’arte, un quadro, una scultura. Nel 2022 Christie’s ha venduto pezzi della collezione di Paul Allen per 1,6 miliardi di dollari, 106 milioni sono stati pagati per per la “Maternità” di Paul Gauguin. Temo che mi perderei in un labirinto tra psicologia e mercato, con ipotesi prevalentemente psicologiche: status, piacere estetico,desiderio di segnalare la propria diversità o capacità di spesa, meccanismi ben noti e diffusi anche in altri mercati.

Tuttavia non riesco a non domandarmi  perché una persona spenda migliaia, centinaia di migliaia, o anche milioni di euro per un file digitale che rappresenta una immagine. Un file unico e non riproducibile perché incastonato in un mattoncino della blockchain, ma pur sempre un insieme di bit, non un oggetto tangibile.

File digitali non riproducibili

Qualunque sia la risposta alla mia domanda un NFT (Non Fungible Token) è proprio questo: una immagine digitale (opera d’arte, accessorio fashion ecc) , esclusiva e unica perché costruita su blockchain, ma pur sempre un insieme di bit, non una cosa materiale.

Nonostante la loro immaterialità gli NFT hanno un mercato rilevante: Jefferies stima che possa arrivare a 85 miliardi di dollari nel 2025.

Intanto Nike ha incassato 180 milioni di dollari vendendo NFT che riproducono i suoi prodotti, Dolce&Gabbana 23, Gucci 11. Ma prima di Nike Jeff Dorsey, fondatore di Twitter, aveva venduto il suo primo tweet a 3 milioni, prezzo che successivamente era  crollato quasi a zero a base d’asta. Curioso il caso di un artista che si è fatto un selfie ogni giorno per 5000 giorni vendendo poi l’NFT per decine di milioni di dollari. Anche nello sport gli NFT guadagnano mercato, specialmente negli USA, con immagini di campioni e di momenti salienti delle competizioni. Citiamo infine il famoso caso delle scimmie annoiate (bored apes) che hanno creato un club a cui molti milionari aspirano spendendo cifre considerevoli per avere una scimmietta digitale in esclusiva.

NFT

Refik Anadol-Fondazione Palazzo Strozzi (dal Sole 24 Ore)

NFT e copyright

Hermès, uno dei produttori più noti di accessori fashion, non ha capito in tempo la potenzialità di questo mercato e si è fatta sorprendere. Consideriamo che l’iconica borsa Birkin di Hermès può costare dai 10.000 dollari a 2 milioni grazie alla sua scarsità. Una riproduzione digitale della stessa borsa con tecnologia blockchain è stata creata e venduta da un artista  a prezzi tra 20.000 e 40.000 dollari. Hermès non ha gradito e ha portato l’artista in tribunale accusandolo di cyber squatting, una usurpazione digitale del marchio. La corte ha dato ragione a Hèrmes ma gli sviluppi non vanno necessariamente in questa direzione. Una linea di difesa solida dell’artista è la seguente: ognuno è libero di osservare il mondo e riprodurlo anche se nel mondo vi sono oggetti protetti da marchi e diritti, come fece Andy Warhol con le lattine di zuppa Campbell e con Marilyn Monroe.

Musei e copie NFT di opere

Più alla portata di comprensione di un comune mortale è invece la possibilità per i musei di autorizzare copie NFT uniche e non riproducibili di opere reali e venderle a collezionisti. Nelle case della gente comune un tempo si diceva “vieni, ti proietto le diapositive delle mie vacanze”. Mi immagino invece la scena a casa di un ricco che riceve ospiti: “Vieni, ti proietto la Venere di Botticelli nel salotto”.