Chi rischia oggi il licenziamento?

scritto da il 15 Marzo 2023

Post di Alessandro Ielo, vicepresidente di AISO, Associazione Italiana Società di Outplacement –

Affrontare il cambiamento continuo di questa fase storica, o meglio contrastarne la naturale resistenza di ciascuno, è oggi un bisogno crescente. La gestione della ristrutturazione aziendale negli ultimi anni è sempre meno un evento straordinario. Le grandi transizioni industriali in essere – green, digital e circular – avranno impatti significativi sulla vita di tutti noi: delle imprese e, conseguentemente, del mondo del lavoro. McKinsey in un recente studio sugli effetti della Net Zero Transition ha stimato una perdita di 185 milioni posti di lavoro a fronte di una crescita di 200 milioni di posti da qui al 2050 nei principali Paesi industrializzati.

Per l’Italia un quadro peggiore di altri grandi Paesi

Praticamente uno sconvolgimento di cui ancora poco si parla in maniera organica e non legata ai singoli casi di crisi. Anche perché la buona notizia, +15 milioni di posti netti, supplisce solo in parte alla brutta, ovvero che nei prossimi anni saranno molto più i posti persi di quelli creati, e che chi perderà il posto saranno le figure con seniority più elevata.

L’Italia non farà certo eccezioni, anzi: stante l’età media dei nostri occupati e la scarsa conoscenza nelle nuove tecnologie probabilmente i dati netti a tendere saranno peggiori delle medie di altri Paesi industrializzati.

Se da una parte le nuove tecnologie rappresentano la vera opportunità di sviluppo, dall’altro rappresentano la barriera culturale su cui si scontra la media dei lavoratori italiani, categoria di cui io faccio ovviamente parte. Quella nata col gettone della SIP, per intenderci, e che oggi guarda a ChatGPT come a uno strumento scontato, ma senza capirci granché.

Moltiplichiamo il caso per 100 pensando a quante macchine autonome le aziende ed i loro addetti dovranno gestire nel prossimo futuro con l’intelligenza artificiale ed il problema diventa evidente: licenziamento per qualche centinaia di migliaia di lavoratori non specializzati, nel giro di pochi anni. Solo nell’automotive, settore in cui si aggiungono i temi di green transition, si parla – secondo ANFIA – di circa 75.000 posti di lavoro in Italia che verranno persi entro il 2035.

Chi rischia di più il posto (manager inclusi)

Il lavoratore che maggiormente rischia il licenziamento è colui che non beneficia delle opportunità di cambiamento che sono in atto o che non riesce a coglierle. I manager non ne sono affatto esclusi, anzi: le figure manageriali, spesso le più senior, saranno forzate ad affrontare questa trasformazione prima di altre. Il tema della propria spendibilità sul mercato sarà centrale: l’employability si modifica rapidamente e, in molti casi, si riduce drasticamente. Ciò accade principalmente a coloro che non hanno una specializzazione professionale aggiornata alle richieste del mercato e che quindi non si sono adattati al cambiamento. Il punto sta quindi nel voler e saper affrontare questo ipotetico periodo di futura insicurezza economica con un mindset aperto al cambiamento e all’esplorazione anche di strade nuove.

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(snowing12 – stock.adobe.com)

Prevenire questo sconvolgimento potrebbe essere la strada: penso all’indagare quanto si può essere realmente spendibili sul nuovo mercato del lavoro e quanto questo possa essere sostenibile (economicamente, ma non solo).

Le competenze invecchiano e il cambiamento tecnologico costringe chiunque a utilizzare strumenti e metodi sempre nuovi e quindi ad aggiornarsi e ad acquisire nuove competenze. Le aziende, a loro volta, dovrebbero sentire l’impegno di garantire l’employability riposizionando le persone all’interno dell’organizzazione o offrendo sempre un servizio di supporto alla ricollocazione professionale (Outplacement) a chi purtroppo viene escluso dalla azienda. Chi risulta inadeguato è destinato anche ad avere poche prospettive di crescita se non ricorre alla formazione specializzata (reskilling / upskilling), che di fatto sarà sempre più il percorso obbligato per molte categorie professionali per evitare il licenziamento.

Licenziamento: le aziende e il sostegno ai lavoratori in uscita

La sfida per le aziende è dunque quella di adattarsi ai cambiamenti sempre più veloci, anche con riferimento alla propria popolazione aziendale. Da qui nasce la necessità di assecondare le transizioni di carriera. Sarà sempre più importante il supporto nel reinserimento nel mondo del lavoro, adottando percorsi di Outplacement che offrano un sostegno concreto ai lavoratori in uscita o proponendo percorsi virtuosi di reindustrializzazione per i casi più drastici nei quali un’unità produttiva debba cessare definitivamente.

Casi peraltro che penso potranno essere sempre più frequenti, basta guardare – per non citare sempre le ristrutturazioni forzate legate alla crisi del motore endotermico – a quello che sta avvenendo nel mondo del cosiddetto “bianco” (che comprende molti elettrodomestici di uso comune e che impiega, solo in Italia, circa 150.000 lavoratori, indotto compreso) dove anche colossi stanno subendo le attuali condizioni di mercato e/o attuando partnership strategiche che potranno comportare ridondanze sul nostro territorio.

Outplacement e politiche attive

Reindustrializzazione ed Outplacement sono dunque strumenti potenti di politiche attive, talvolta complementari, a disposizione delle imprese per mitigare la crisi nel segno della sostenibilità sociale. Sostenibilità sociale che sempre più è un’esigenza e non solo appannaggio di grandi gruppi multinazionali che ormai da anni considerano indispensabile adottare comportamenti socialmente responsabili. Nella mia esperienza ho più volte constatato che, anche all’interno dei tavoli di crisi aperti presso il MIMIT (ex MISE), questi strumenti hanno portato a soluzioni virtuose.

In un clima di instabilità economica e in uno scenario del lavoro sempre più “liquido”, l’Outplacement diventa dunque uno strumento indispensabile per lavoratori e aziende. Per poter continuare a competere, quindi, molte aziende avranno bisogno di pianificare sempre di più la formazione, sia per mantenere le figure professionali all’interno dell’organizzazione, sia per accompagnare le transizioni di carriera.

L’elaborazione di un nuovo progetto professionale di ricollocazione permetterà alla persona di riproporsi al mercato in modo realistico e mirato, con l’obiettivo di colmare le eventuali lacune tecnico-professionali individuate. Avvalendosi delle conoscenze acquisite tramite una specifica formazione, il candidato dovrà personalmente attivarsi per svolgere una vera e propria azione di marketing di se stesso.

Non solo licenziamento, c’è anche la great resignation

Oltre il rischi licenziamento, ci sarebbe poi da parlare dei problemi delle aziende che rischiano di perdere le proprie persone, ovvero anche legati agli aspetti di great resignation post pandemici. Tra i motivi per cui i lavoratori cambiano lavoro rientrano soprattutto: crescita professionale/migliore opportunità di lavoro, ristrutturazione aziendale, demansionamento, difficoltà a comunicare il proprio valore all’interno dell’azienda. Cresce, inoltre, la tendenza a cercare la crescita professionale in altre aziende piuttosto che internamente.

Il lavoratore che deve cercare un nuovo lavoro guarda quindi soprattutto alla proposta economica, ma non solo: lo stipendio è centrale per scegliere un posto di lavoro, ma contano sempre più altre condizioni a contorno, soprattutto per le nuove generazioni. Il lavoro è sempre più attrattivo se genera un percorso di sviluppo professionale gratificante e di responsabilità, ma nel segno della flessibilità: lo smart working è diventato per molti ormai un requisito irrinunciabile. Una volta si chiedeva la macchina, oggi si chiede di non doverla usare, anche assecondando una crescente sensibilizzazione alle questioni climatiche.