Pubblica amministrazione verso il privato: le occasioni perse per il rilancio

scritto da il 27 Marzo 2023

Post di Renata Villani, Funzionario Amministrativo presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia e corsista EMBA Ticinensis – 

Proviamo a partire da una definizione e soprattutto dal contenuto. Quando parliamo di dipendente pubblico parliamo della maestra dei nostri figli, del medico di famiglia, del dottore che vi soccorre in pronto soccorso, del chirurgo che vi opera in ospedale, del dipendente comunale che vi prepara i certificati, del professore che si occupa della formazione universitaria dei vostri figli, del poliziotto di quartiere, dei vigili del fuoco che spengono gli incendi nella vostra città, dell’autista ATM che vi permette ogni giorno di raggiungere con il trasporto pubblico la vostra meta ecc…

Appare quindi evidente che ogni giorno ciascuno di noi ha bisogno, a vario titolo, di accedere ad un servizio pubblico. Tutti vorremmo ricevere un servizio di qualità, tuttavia spesso non è così.

Ci lamentiamo spesso, anzi quasi sempre, dei servizi pubblici e conseguentemente dei dipendenti pubblici ma che cosa è stato fatto e, soprattutto, che cosa si sta facendo per migliorare la situazione?

I mali storici del servizio pubblico

È noto che le criticità che affliggono la Pubblica amministrazione hanno radici profonde, fortemente connesse ad una politica di scarsa attenzione alla sua produttività e ad un’attitudine ad utilizzarne le assunzioni come strumento di sostegno al reddito o, peggio ancora, come merce di scambio a fini elettorali.

Negli ultimi decenni, peraltro, è emersa la consapevolezza che la spina dorsale dell’economia è costituita in massima parte da servizi pubblici la cui qualità è determinante ai fini del pieno sviluppo economico e sociale di una nazione. Per questo motivo, a partire dagli anni ’90, sono state avviate una serie di riforme allo scopo di migliorare la produttività ed efficientare i servizi della Pubblica amministrazione.

In realtà, nonostante e soprattutto in alcuni settori, si siano avuti significativi miglioramenti, rimangono irrisolte problematiche significative. Tra queste, in particolare:

a) gli enormi ritardi nel processo di trasformazione digitale dovuti alla scarsa qualità dei sistemi informativi in uso, spesso obsoleti;

b) la scarsa attrattività dovuta a livelli retributivi bassi rispetto alle mansioni svolte;

c) la mancata valorizzazione professionale delle competenze acquisite dal personale dipendente connessa a sistemi di formazione e di sviluppo di carriera molto lenti e del tutto inadeguati.

Il processo di selezione pubblica è di tipo sostanzialmente burocratico, con prove prevalentemente basate sulla conoscenza di aspetti normativi, che non danno alcuna garanzia di efficacia nel selezionare i candidati più idonei alle mansioni operative che dovranno svolgere.

I benefici della digitalizzazione forzata dalla Pandemia

Questo tipo di selezione, spesso effettuata senza una sufficiente attenzione ai profili di qualificazione e di capacità relazionale, viene aggravata dall’assenza di successivi percorsi formativi e di strumenti efficaci per premiare il merito così da farne conseguire organici pubblici demotivati e poco qualificati.

Tuttavia, si può osservare come la recente esperienza della Pandemia abbia indotto, anche nelle PA, significativi progressi dal punto di vista della Digitalizzazione, dei sistemi informativi e della propria organizzazione interna. Le difficoltà causate dall’impossibilità di fornire i servizi ‘in presenza’ ha necessariamente costretto una sostanziale revisione dell’organizzazione del lavoro e delle modalità di erogazione dei servizi trasformando una difficoltà in una grande opportunità di miglioramento.

Lo smart-working ha spinto l’innovazione nella Pubblica amministrazione

L’implementazione dello smart-working e dei servizi online ai cittadini hanno determinato infatti un’incredibile accelerazione del processo di informatizzazione e digitalizzazione nella maggior parte delle PA.

Sempre più servizi ai cittadini, infatti, sono diventati fruibili online, le procedure interne si sono snellite, consentendo maggiore flessibilità agli operatori e digitalizzando buona parte dei processi prima effettuati servendosi di supporti cartacei.

L’opportunità di evoluzione della Pubblica amministrazione causata dalla Pandemia verso organizzazioni più snelle e flessibili, peraltro, non è stata pienamente realizzata.

Al termine della Pandemia, infatti, il ricorso a forme di lavoro flessibili quali quelle dello smart-working è stato demandato alle singole amministrazioni che avrebbero dovuto implementare un sistema di contrattazione individuale con i dipendenti per definire modalità, obiettivi, risultati da raggiungere e condizioni contrattuali ad hoc.

Risultato? Nel 2022 i lavoratori da remoto sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella PA.

Ma la retromarcia sul lavoro agile è un’occasione persa

Non in tutte le PA ad oggi risulta possibile lavorare in modalità agile perché non si è creduto che vi potesse essere un effettivo miglioramento nelle PA grazie all’implementazione dello smart-working quale forma ordinaria di lavoro.

Al contrario, lo “smart-working” avrebbe permesso di monitorare maggiormente il lavoro svolto da ogni singolo lavoratore in termini quali-quantitativi, fissando obiettivi collegati a risultati più oggettivi e misurabili. Se correttamente implementata l’assegnazione di obiettivi individuali consentirebbe un importante sistema di monitoraggio della produttività del lavoro pubblico.

Legando la valutazione del lavoratore a performance oggettive e misurabili si potrebbe superare una modalità di controllo del lavoro basato sulla mera presenza fisica nell’orario previsto, attestata dalle timbrature del lavoratore, cosa che evidentemente non garantisce minimamente la sua produttività.

pubblica amministrazione

(Imagoeconomica)

Efficienza della Pubblica amministrazione e percorsi di carriera

La vera scommessa da vincere per poter considerare lo smart-working una modalità lavorativa efficace è la possibilità di dimostrare che esso non si pone più, solo e prevalentemente, come uno strumento di conciliazione ‘vita-lavoro’ ma che, se correttamente implementato, potrebbe diventare un mezzo per migliorare l’efficienza della Pubblica amministrazione.

Questo comporterebbe però la disponibilità di sistemi informativi in grado di rilevare, in modo costante e sistematico, la velocità dei processi, indicatori di performance e dati di ‘customer satisfaction’. In un contesto che dispone di solide rilevazioni delle performance, si potrebbe, inoltre, pensare di velocizzare anche i percorsi di carriera, oggi molto lenti e ancora troppo legati all’anzianità.

Quanto detto, peraltro, implica anche una capacità di gestione delle risorse umane e di organizzazione del lavoro che difficilmente può prescindere dalla qualità del management.

La capacità di lavorare in squadra, di motivare i propri collaboratori, di sostenerli nella loro crescita professionale e di creare occasioni di confronto e di condivisione delle informazioni risulta altrettanto fondamentale in un ambiente lavorativo, soprattutto se caratterizzato da modalità di lavoro agile o ibrido.

Formazione professionale e merito

Il fenomeno di “deprofessionalizzazione” del lavoratore pubblico, quindi, può essere combattuto solo riformando profondamente il sistema attraverso l’introduzione di formazione professionale continua, superando la quasi totale mancanza di premialità del merito e aumentando le soft skill dell’apparato dirigenziale pubblico. Perché la PA e la società possano avere veri vantaggi serve un modello coerente e sostenibile, incentrato sul lavoro per obiettivi e una digitalizzazione intelligente delle attività ma tutto questo difficilmente si può realizzare senza un management adeguato in grado anche di creare ambienti di lavoro positivi.

Dirigenza nella Pubblica amministrazione, la riforma mancata

Anche per la dirigenza pubblica, infatti, si può parlare di riforma mancata. Ad oggi, nei diversi settori pubblici, si osserva un’incredibile frammentazione del management a cui corrisponde una vera e propria giungla retributiva ed organizzativa ma ciascuno, pur a disagio per condizioni di lavoro spesso inadeguate, tiene stretto i propri piccoli o grandi privilegi e si oppone a cambiamenti sostanziali.

Occorre riportare equità, affermare l’indipendenza del manager pubblico dalla politica, sottolinearne il ruolo, la responsabilità, la professionalità e l’autonomia, aspetti ai quali corrisponde però anche un’inevitabile dimensione di rischio, propria di ogni manager, e di dipendenza dai risultati di outcome. In altri termini, il manager pubblico dovrebbe avere come primo compito quello di “creare valore pubblico”.

Il livello retributivo del settore pubblico difficilmente riuscirà ad essere competitivo ma il salario non è l’unica determinante nelle scelte lavorative delle persone. Ambienti di lavoro accoglienti, clima organizzativo privo di tensioni competitive portate all’eccesso, relazioni positive con i colleghi, possibilità di formazione e di crescita professionale creano motivazione e benessere organizzativo e possono ben compensare minori livelli retributivi.

La capacità di “creare valore pubblico” del manager si misura anche su questi aspetti e non può prescindere dalla sua capacità empatica, dalla voglia di crescere e di far crescere, dalla spinta all’innovazione mettendosi in gioco, anche rischiando di sbagliare. Tutto ciò invece non è mai un elemento fondamentale nelle selezioni pubbliche e non riesce ad esserlo neanche nei momenti di valutazione successiva.

(ASDF – stock.adobe.com)

La crisi del personale medico negli ospedali

Proviamo anche a considerare la situazione della sanità pubblica, che non è affatto entusiasmante a causa di orari estenuanti per il personale medico e sanitario, non adeguatamente remunerato e spesso vessato e bistrattato dall’utenza. Quanto detto, unitamente al ripensamento dei valori e del bilanciamento “vita professionale/vita privata” emersi in seguito alla Pandemia, hanno aumentato la percezione di un basso valore professionale attribuito al proprio ruolo anche in questo ambito, che ha ancora un forte profilo vocazionale, inducendo una continua ed allarmante fuga dal pubblico al privato del personale medico e sanitario più qualificato pur con forme di lavoro meno stabili ma più flessibili.

La preferenza di forme di lavoro più “flessibili” anche se meno stabili, generata dalla Pandemia in svariati settori, tanto da arrivare a parlare di “Grandi Dimissioni”, dimostra quanto sia cresciuta l’importanza attribuita dalle persone alla possibilità di gestire con maggior libertà i ‘tempi’ della propria vita.

Il fenomeno delle Grandi Dimissioni

“Si è assistito ad un incredibile aumento delle dimissioni volontarie. Il fenomeno riguarda i Paesi di tutto il mondo, Italia compresa. Secondo i dati del Ministero del Lavoro, elaborati in collaborazione con la Banca d’Italia e l’ANPAL, da luglio 2020 l’aumento delle dimissioni ha sospinto il numero delle cessazioni. Da quello che è emerso dal report, nel corso del 2021 le dimissioni sono gradualmente aumentate superando, nella seconda metà dell’anno, i livelli registrati nel 2020. I numeri relativi all’occupazione nel secondo trimestre 2021 evidenziano un aumento considerevole di lavoratori che si sono dimessi: +37% rispetto al trimestre precedente e addirittura +85% se paragonati allo stesso periodo nel 2020.”

Turnover elevato, perdita dei talenti o comunque di parte degli organici, picchi di lavoro inaspettati e non prevedibili per chi rimane hanno portato un significativo aumento dei livelli di stress (in particolare per tutto il comparto sanitario) inducendo, da un lato, una vera e propria “fuga” dal pubblico delle persone professionalmente più valide e, dall’altro, ulteriore demotivazione di chi, per motivi di età o situazione familiare o ragioni personali, non vuole lasciare un impiego sicuro quindi rimane riducendo al minimo l’investimento in energia dedicato al lavoro.

Grande piano PNRR e Pubblica amministrazione? Non pervenuto

In occasione dell’avvio del Piano Nazionale di Resistenza e di Resilienza (PNRR), erano stati fatti grandi proclami in tema di recupero della produttività e della professionalità dei lavoratori pubblici, ai quali però non sono seguite azioni davvero efficaci e determinanti per cambiare lo status quo.

Un reale, effettivo e dimostrabile miglioramento delle performance delle PA non è ancora intervenuto nonostante ormai sia a tutti evidente quanto questo sarebbe importante, anche e soprattutto nell’ottica di realizzare correttamente e nei tempi previsti i programmi di spesa pubblica finanziati dal PNRR.

Un servizio pubblico trasferito ai privati?

A questo punto, uno scenario realistico potrebbe essere davvero quello di rinunciare al servizio pubblico per molte prestazioni affidandole ai privati in grado di fornire un servizio di qualità realizzandone anche significativi profitti. Questo però aumenterebbe il divario tra ricchi e poveri, tra le varie aree geografiche e per lo Stato vorrebbe dire rinunciare alla politica di welfare gratuito imboccata molti anni fa. Purtroppo, in assenza di vere ed incisive riforme della PA e di investimento sulla professionalità dei lavoratori pubblici, difficilmente si potrà garantire un servizio pubblico di qualità ed accessibile a tutti.

FONTI:

Lo Smart Working nella PA: linee guida, iniziative, normativa e prospettive

Gli smart worker italiani scendono a 3,6 milioni, previsioni di crescita nel 2023

Smart working, non si torna indietro: come fermare le ‘Grandi dimissioni’