Equo compenso, così la legge dimentica i giovani professionisti

scritto da il 18 Aprile 2023

Mentre le discussioni sul salario minimo possono durare in eterno senza produrre alcun risultato diverso dal consumo d’inchiostro, in pochi mesi di legislatura è stata approvata la legge sull’equo compenso per i professionisti. Un testo che appare un po’ sproporzionato rispetto alle intenzioni. Difatti, anziché provare a prevenire degli abusi perpetrati da alcune grandi imprese nei confronti dei liberi professionisti, la legge approvata ricostruisce una difesa della categoria, ma a discapito dei giovani che si affacciano sul mercato, per i quali non è prevista alcuna tutela specifica.

Equo compenso, a chi si applica

In merito all’ambito di applicazione, dal lato della domanda riguarda imprese bancarie o assicurative, nonché aziende con almeno 50 dipendenti o con fatturato annuo superiore a 10 milioni di euro. Fa sorridere, amaramente, l’esclusione degli agenti della riscossione. Per riscuotere le tasse, si possono tranquillamente sottopagare gli avvocati.

Dal lato dell’offerta, riguarda gli avvocati ed altri liberi professionisti, anche non iscritti ad un ordine professionale.

Cosa prevede

A livello di merito, in caso di convenzione tra un’impresa e – ad esempio – uno studio legale, saranno considerate nulle le clausole riguardanti i corrispettivi qualora gli stessi fossero inferiori a quanto previsto dai cosiddetti parametri forensi (recentemente aggiornati, ad ottobre 2022). Il messaggio paternalistico di fondo mira a proteggere quella che sarebbe la parte contrattuale debole. Ma siamo sicuri che sia davvero così?

Può darsi in molti casi, ma qualcosa non convince. Ad esempio, non si comprende perché vi sia una limitazione soggettiva dal lato della domanda (le piccole imprese sono escluse), ma non dal lato dell’offerta. La grande law firm che fattura più di 100 milioni di euro l’anno avrà la stessa protezione del piccolo studio legale di provincia o di un giovane professionista. Molti grandi studi legali sono delle imprese di fatto a loro a volta, con complesse strutture organizzative. Gli stessi possono essere quindi ben più forti a livello negoziale rispetto ad un’azienda che fattura 11 milioni di euro.

Dieci ipotesi di clausole nulle

La legge poi prevede ben dieci ipotesi di clausole nulle qualora presenti nella convenzione impresa-professionista. Molte non convincono (soprattutto se si pensa al fatto che -almeno nel caso degli avvocati- gli stessi siano in grado di negoziare al meglio qualsiasi contratto o convenzione senza l’aiuto di una legge, ma tant’è). Ad esempio, sarà nulla qualsiasi clausola che preveda tempi di pagamento superiori a 60 giorni. Fa un po’ sorridere, visto che quelle imprese a cui si chiede di rispettare ciò, magari ricevono i pagamenti dalla pubblica amministrazione dopo 120 giorni. Nulla anche la previsione sull’anticipazione delle spese da parte del professionista, come se non potesse avere una normale natura pattizia.

Vi è poi una tutela processuale in caso di violazioni. Ciò che suscita perplessità riguarda la possibilità per il professionista di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui appartiene un parere di congruità sul compenso e che, tale parere, emesso da un organo che non si può certamente dire terzo o imparziale, possa fungere anche da titolo esecutivo (come una sentenza, per capirci!).

Le sanzioni

E chi non si adegua? Per le imprese, ci può essere la condanna a restituire differenza tra importi versati ed equo compenso. Oltre ad una condanna risarcitoria fino al doppio della differenza di cui sopra. Per i professionisti, sanzioni deontologiche se accettano compensi inferiori.

equo compenso

(Blue Planet Studio – stock.adobe.com)

Equo compenso, le vittime sono i giovani professionisti

Come in tutti i mercati, il prezzo svolge un ruolo fondamentale. Chi è nuovo in un settore già dominato da professionisti con grande esperienza, dovrebbe avere il diritto di provare a farsi strada anche usando la leva del prezzo minore. Senza il rischio di incorrere in sanzioni disciplinari.

A tal proposito, come aveva scritto l’AGCM un po’ di tempo addietro, “In quest’ottica, l’effettiva presenza di una concorrenza di prezzo nei servizi professionali non può in alcun modo essere collegata ad una dequalificazione della professione, giacché, come più volte ricordato dall’Autorità, è invece la sicurezza offerta dalla protezione di una tariffa fissa o minima a disincentivare l’erogazione di una prestazione adeguata e a garantire ai professionisti già affermati sul mercato di godere di una rendita di posizione determinando la fuoriuscita dal mercato di colleghi più giovani in grado di offrire, all’inizio, un prezzo più basso. (…) Sarebbero proprio i newcomer ad essere pregiudicati dalla reintroduzione delle tariffe minime in quanto vedrebbero drasticamente compromesse le opportunità di farsi conoscere sul mercato e, in definitiva, di competere con i colleghi affermati che dispongono di maggiori risorse per l’acquisizione di clientela, anche di particolare rilievo.” (enfasi aggiunta)

Gli squilibri all’interno dell’avvocatura

Il rapporto Censis 2023 sull’avvocatura conferma il calo degli iscritti ed una leggera risalita dei redditi, ma pone l’accento sul problema dei giovani e, ancor più grave, delle donne. I numeri sono emblematici di una situazione inaccettabile, che la legge appena approvata potrebbe anche peggiorare..

Sulle cause di questi squilibri, giovani e professionisti con maggiore esperienza hanno a volte diverse opinioni.

Equo compenso, tra avvocato e avvocato non vale

Stupisce come gli avvocati senior ritengano poco rilevante il fattore dei bassi compensi ai collaboratori quale motivazione dei redditi bassi.

In pratica, solo il compenso da cliente ad avvocato deve essere equo, non quello da avvocato ad avvocato.

Twitter @francis__bruno