Pensioni e riforme: la ragione del no dei francesi e un confronto con l’Italia

scritto da il 19 Aprile 2023

Post di Elisa Lupo, consulente del lavoro, autrice e host del podcast Previdenti

Nelle ultime settimane, la Francia è investita da mobilitazioni e scioperi dei cittadini contro la riforma delle pensioni varata a fine marzo dal governo Macron.

La riforma innalza il requisito minimo di accesso alla pensione (64 anni di età anziché 62, a partire dal 2030) ed elimina i cosiddetti regimi speciali (come quelli che consentono l’accesso anticipato alla pensione a determinate categorie di lavoratori), ma il sistema di calcolo resta retributivo e quindi il sistema previdenziale continua ad essere un sistema a ripartizione (chi lavora paga con i suoi contributi le pensioni).

Come mai i francesi si stanno mobilitando tanto contro la riforma delle pensioni di Macron?

Il governo francese ha realizzato questa riforma spinto dalla necessità di far fronte all’aumento dell’aspettativa di vita e quindi al conseguente aumento del numero dei pensionati e della durata dell’erogazione della pensione. Bisognava varare una riforma che rendesse il sistema previdenziale più sostenibile.

I francesi, però, non ci stanno: la Francia da decenni attua delle politiche di sostegno alla genitorialità che l’ha portata ad essere il Paese europeo con il più alto tasso di natalità, e questo contrasta l’invecchiamento della popolazione, rendendo di per sé il sistema francese più sostenibile di quello italiano; inoltre, il rapporto debito pubblico su PIL  francese è sensibilmente inferiore a quello italiano.

La popolazione francese può fare già affidamento su un buon welfare, che contribuisce ad alimentare e a cui non è disposta a rinunciare.

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Proteste contro la riforma delle pensioni a Parigi (Ansa/Afp)

Perché gli italiani non sembrano batter ciglio di fronte all’aumento dell’età pensionabile?

L’ultima riforma delle pensioni in Italia risale al 2011 – la legge Fornero – e fu varata in un momento molto difficile della nostra economia da un governo “tecnico” chiamato a mettere in ordine i conti. La riforma modificò in maniera sostanziale il sistema pensionistico. I requisiti per la pensione di vecchiaia salirono da 65 anni a 67 anni e quelli di pensione di anzianità dai 40 anni ai 41 e 10 mesi per le donne e 42 e 10 mesi per gli uomini. La riforma legò i requisiti alla speranza di vita, destinando quindi questi numeri ad aumentare. Pose uno stop ai vari accessi anticipati a pensione previsti fino a quel momento. Introdusse il metodo di calcolo contributivo per tutti, andando a sostituire quello retributivo fino ad allora vigente per chi aveva una lunga anzianità contributiva.

All’epoca anche in Italia vi furono scioperi e mobilitazioni (si contarono 7 scioperi generali e numerose mobilitazioni nel biennio 2011-2012). Ma era chiaro a tutti che per far fronte al debito che pesava sul Paese anche i cittadini avrebbero dovuto fare dei sacrifici. Una riforma “lacrime e sangue”, così viene ricordata e così viene vissuta ancora oggi dalla popolazione italiana.

Pensioni liquidate, l’inversione di marcia con “quota 100”

Nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della riforma (biennio 2013- 2014) si è assistito effettivamente ad una forte restrizione nel numero di trattamenti pensionistici liquidati. Però, a partire dal 2017 il trend si è invertito. Nel 2019 per effetto dell’introduzione della pensione anticipata “quota 100” e del blocco, fino al 2026, dell’aumento dell’anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento anticipato, il numero delle pensioni liquidate è risultato più elevato della fase “pre-Fornero”.

Nei fatti l’introduzione di misure temporanee poste in atto successivamente alla riforma Fornero rischia di neutralizzare l’impatto positivo di quest’ultima sulla tenuta del sistema previdenziale. Vale la pena ricordare che secondo l’ultima relazione della Corte dei Conti sulla Gestione Inps riguardante l’anno 2020, il 22% della spesa in pensioni è stata coperta da trasferimenti a carico dello Stato.

Stop a “quota 41” nel DEF

In questo scenario, la mancanza di coperture di spesa corrente ha reso impossibile inserire nel DEF (il documento di economia e finanza, principale strumento di programmazione economica e finanziaria) la misura “quota 41” (accesso a pensione anticipato indipendentemente dall’età anagrafica) proposta dall’attuale governo.

Tra l’altro, la popolazione italiana continua ad invecchiare, diminuiscono le nascite e nel 2022 si è registrato per la prima volta un numero di pensioni erogate leggermente superiore a quello degli stipendi.

Un nuovo approccio mirato per le pensioni in Italia

La sfida che attende il Paese sul fronte pensioni è dunque complessa e richiede un approccio mirato con soluzioni non temporanee, visto che queste ultime non risolvono il problema e sembrano avere il solo effetto di generare incertezza nei cittadini sul momento in cui potranno accedere a pensione.