Startup, più investitori e meno consulenze. Il vero cambiamento in 9 mosse

scritto da il 23 Maggio 2023

Post di Andrea T. Orlando, Managing Partner di Startup Wise Guys Italy – 

Negli ultimi anni la transizione digitale e i modelli di lavoro post-Covid hanno accelerato l’evoluzione dei mercati e dei modelli di business delle imprese, favorendo lo sviluppo e la crescita delle startup italiane. L’emergenza Covid-19 ha, infatti, determinato cambiamenti nelle abitudini di consumo e nei modelli operativi delle imprese: in risposta alle nuove esigenze di mercato molte startup e scaleup hanno ridefinito il proprio posizionamento e la propria strategia di crescita e per questo sono state premiate dal mercato e dagli investitori.

Nonostante nel 2023 si sia registrato un generale rallentamento dovuto a fattori esogeni all’ecosistema (SVB, Credit Suisse, inflazione, macro incertezze), se si guarda al Venture Capital gli investimenti nel 2022 avevano registrato 370 operazioni (initial e follow on)[1], erano 317 l’anno precedente (+17%); Per quanto riguarda l’ammontare investito sia da operatori domestici che esteri in startup italiane, il valore si attestava, sempre nel 2022, a poco meno di 1,9 miliardi di euro distribuiti su 349 round, in aumento rispetto ai 992 milioni per 291 operazioni del 2021.

La raccolta fondi richiede tempo ma l’esito è spesso positivo

Il 2022 ha dato segnali positivi anche nel segmento della raccolta Seed e Pre-Seed che è quella iniziale e sicuramente più a rischio; la tendenza è stata confermata anche da una nostra ricerca interna, condotta tra più di 200 startup appartenenti al nostro network e realizzata con l’obiettivo di approfondire case history, tempistiche e modalità di successo per le neo imprese italiane in fase Seed e Pre-Seed[2]. Lo studio ha restituito di fatto una fotografia interessante per il mercato di settore. Pur essendo complesso e lunga, la raccolta fondi ha buone probabilità di avere un esito positivo.

Secondo quanto riportato nell’indagine, 1 fondatore su 2 del campione analizzato ha affermato di aver raccolto nell’anno 2022 capitali da investitori professionali. Per quello che concerne la fase Pre-Seed, i dati salienti più interessanti evidenziano che il 34% degli intervistati ha parlato con non più di 10 investitori prima di ottenere finanziamenti. Un dato molto positivo per un ecosistema poco servito come l’Italia, che testimonia la fiducia e il tasso di conversione ottimale. L’importo medio raccolto in un anno, nel campione analizzato, è stato di 350mila euro, con una media di 6 investitori partecipanti al round. Il 30% degli intervistati ha impiegato tra 2 e i 3 mesi di tempo per raccogliere i capitali.

Startup e fondi seed e pre-seed

Allo stesso tempo è stato riconosciuto come la raccolta di fondi Pre-Seed in Italia possa essere ancora complessa, soprattutto rispetto all’estero, a causa di due fattori preminenti: la disponibilità limitata di investitori (in generale, ma anche e soprattutto interessati a startup pre-seed e seed), in quanto rispetto ad altri Paesi l’Italia ha un interesse al Pre-Seed da parte di investitori professionali (e non) ancora marginale, e la mancanza di una cultura delle Startup. A fronte di un vivace ecosistema imprenditoriale, il mercato non è ancora così ben consolidato come all’estero, con gli investitori italiani che tendono ad essere più conservatori e “avversi” al rischio, il che può rendere più difficile per le startup ottenere finanziamenti, in particolare nelle fasi iniziali quando è presente un livello di rischio più elevato.

I dati relativi alla fase Seed hanno rilevato che all’interno del campione analizzato il 35% dei fondatori ha contattato più di 50 investitori per completare il proprio round, mentre il 45% ha parlato con non più di 20 investitori; l’importo medio raccolto nell’arco di un anno è stato di 1,4 milioni di euro, con una media di 5 investitori partecipanti al round; la durata di un round Seed appare abbastanza omogenea: quasi la totalità degli intervistati ha trascorso almeno 3 mesi per raccogliere capitali.

Da dove arrivano i finanziamenti

Abbiamo, inoltre, analizzato la provenienza dei finanziamenti, differenziando i capitali raccolti tra i “Business Angel” (professionisti con disponibilità finanziaria e interesse verso il mondo venture) e Venture Capitalist (fondi  regolati di capitale di rischio), approfondendone pro e contro. La prima categoria, da cui è stato raccolto un importo medio di 385mila euro, appare ai fondatori delle startup come meno formale e burocratica, più incline al supporto, con una grande captable – e più investitori da gestire – e con un network, però, meno esteso rispetto ai VC.

Dai Venture Capitalist, invece, sono stati raccolti in media 1,9 milioni di euro, contestualizzati all’interno di un rapporto più “rigido” e dispendioso in termini di tempo, con clausole di investimento rigorose – con poche opzioni per i Round Seed – e una governance complessa, ma sempre all’insegna di una grande expertise e consigli molto utili per i founder, un network molto esteso e un focus sulla scalabilità del business.

La chiusura della ricerca lascia spunti interessanti per tutti coloro che intendono lanciarsi in un nuovo business nel 2023. Ai founder del network è stato, infatti,  chiesto quali siano gli attributi chiave per potersi mettere in gioco e rimanere sul mercato: 84% perseveranza, 66% il proprio network, 45% pazienza, mentre meno del 30% dice business seniority (25%) o grinta (20%).

Una chiara idea di business

Uno dei mantra che ripetiamo sempre ai founder è quello di presentarsi  davanti a potenziali finanziatori con un elevator pitch ben preparato: un discorso chiaro e conciso relativo all’idea di business, alle potenzialità di crescita, anticipando le domande difficili che si potrebbero ricevere e spiegando come si investirà il capitale richiesto, poche slide ed esposte in modo lineare, coerente e con una buona capacità narrativa; è importante, inoltre, valorizzare le metriche di crescita in base al modello di business: visite al sito Web, numero di utenti, basso tasso di abbandono del carrello nel caso di un marketplace. Bisogna spiegare perché la propria startup è così diversa dai competitor sul mercato, non solo dal punto di vista del prodotto, ma anche dal punto di vista del team e del servizio offerto. Bisogna far tesoro di tutti i feedback negativi per migliorarsi e avere successo negli incontri successivi con i potenziali investitori.

Il quadro internazionale 

E il futuro? Nonostante gli scenari stiano evolvendo velocemente, soprattutto a causa di variabili sui mercati finanziari internazionali, sembra che il momentum per le startup Pre-Seed e Seed si stia confermando e che il successo riscontrato da imprenditrici e imprenditori nel 2022 – nel raccogliere i loro primi fondi – possa essere confermato anche per l’anno in corso. La strada però complessivamente è ancora lunga. L’attuale situazione internazionale potrebbe infatti causare un momentaneo rallentamento a causa del perdurare della crisi economica che sta allontanando i flussi di capitale dai finanziamenti con un tasso di rischio più elevato.

I governi europei stanno investendo elevate quantità di capitale per promuovere le startup regionali del settore deeptech, ma l’evidente mancanza di capitali nelle fasi finali (late-stage) e la propensione al rischio impedirebbero la nascita di nuovi leader nazionali del settore. Se si guarda, ad esempio, al settore dell’AI e dell’apprendimento automatico, l’anno scorso le società di VC hanno investito circa 38 miliardi di euro in startup statunitensi, mentre quelle europee hanno raccolto “solo” 10 miliardi di euro.[3]

startup

(Coloures-Pic – stock.adobe.com)

In Italia, inoltre, per innescare un vero e proprio cambio di rotta nell’ecosistema delle startup, avremmo bisogno di cambiamenti e riforme concrete. Alcuni esempi?

Istituire l’identità digitale attraverso la blockchain opzionale

Tra i numerosi paesi che stanno investendo nella tecnologia blockchain, l’Estonia ricopre un ruolo di rilievo, soprattutto nella digitalizzazione della pubblica amministrazione. Per comprendere l’efficacia dell’E-Government estone, basta guardare i numeri: l’intero territorio nazionale risulta fornito di una connessione internet, oltre il 99% dei servizi pubblici sono online e il 98% della popolazione è dotato di una carta d’identità digitale, tanto che è stato adottato il motto «only getting married or divorced and selling real estate cannot be done online». Istituire una carta d’identità digitale permetterebbe a startup e imprenditori di accedere facilmente a tutti i servizi della PA e di ridurre molti dei processi burocratici obsoleti.

Promuovere e indirizzare la voglia di imprenditorialità dei giovani

Si tratta, innanzitutto, di un lavoro a lungo termine: bisogna individuare role model che siano intercettabili da parte dei giovani, condividere storie di successo per creare valore all’interno della comunità. Le startup, ad esempio, una volta raggiunto un adeguato livello di crescita,  possono diventare dei casi di successo in grado di ispirare e coinvolgere molti giovani. Questo approccio, però, non può essere demandato alla sola iniziativa privata delle aziende e al loro lavoro di comunicazione; è necessaria la spinta da parte delle istituzioni per sponsorizzare nuovi role model, in grado di guidare i futuri imprenditori.

Nel breve termine bisogna, invece, puntare sull’ingaggio e il coinvolgimento diretto: ad esempio per testare l’appetito dei giovani verso il percorso imprenditoriale andare nelle scuole e creare una cultura dell’imprenditorialità, organizzare dei campi estivi per attirare i futuri giovani imprenditori oppure si potrebbero stanziare degli sgravi fiscali destinati alle famiglie per attività di formazione mirata.

Più investitori e meno consulenze

Se è vero che  le startup early stage rappresentano il potenziale inespresso della nostra economia, è fondamentale che gli investitori mettano a loro disposizione i propri fondi e non solo i loro servizi di consulenza, in questo modo avranno l’opportunità di costruire un portafoglio diversificato e aumentare la propria credibilità.

Eventi e arene internazionali

Partiamo da un dato di fatto: non ci sono eventi in lingua inglese per startup early stage in Italia. Questo si traduce in una maggiore difficoltà ad accogliere i player internazionali che potrebbero giocare un ruolo importante nella crescita dell’ecosistema italiano.

Snellimento (digitale)

Per esempio, eliminerei la PEC per le startup (ma in generale per tutte le aziende) in modo da garantire loro una modalità di costituzione digitale più snella (per esempio una casella di posta digitale collegata allo SPID), oltre a semplificare i processi burocratici che permetterebbe anche di risparmiare sulle spese legali che per le aziende in early stage risultano gravose e, soprattutto, dirottano fondi altrimenti destinati agli investimenti iniziali.

Riformare il codice civile aggiungendo una nuova sezione

Il codice civile è obsoleto e a tratti criptico e capzioso. Con l’intento di garantire diritti alle parti coinvolte in un negoziato, a volte rallenta, confonde e dissuade. Anche quando si è tentato di modificarlo non si è mai riusciti pienamente nell’obiettivo di modernizzarlo e di utilizzare un linguaggio che ne frattempo è cambiato e sta cambiando. Chi avrà l’audacia di riformarlo e aggiornarlo pensando alla società e l’economia del XXI secolo e non più allo spunto, seppur prezioso, di Napoleone?

Revisionare lo Startup visa

Il Programma Italia Startup Visa è uno strumento strategico per attrarre talenti e innovazione nel nostro Paese: si rivolge, infatti, agli imprenditori provenienti da Paesi extra-UE che intendono avviare in Italia, individualmente o in team, una nuova startup innovativa, ed offre l’opportunità di richiedere un visto d’ingresso di un anno per lavoro autonomo nel nostro Paese. Il problema è che troppo sottoutilizzato. Se si guardano i dati, gli individui unici coinvolti dal Programma sono circa 433, non sono numeri di un Paese che si confronta con l’ambizione di diventare un punto di riferimento in ambito imprenditoria digitale e startup.

Pensare a forme di visto digitale/ la E-residency

Anche in questo caso l’Estonia rappresenta il caso maestro: la residenza elettronica consente a chiunque, in tutto il mondo, di presentare domanda per diventare un residente elettronico del paese e creare una società sul posto, consentendo anche alle persone residenti in Stati extra UE di ottenere un facile accesso al mercato italiano ed europeo.

Abbattere l’Inps per le startup salary

Attualmente il peso fiscale dell’INPS sulle startup è ancora troppo alto: molte giovani imprese, in Italia, decidono di non assumere i propri founder, ma di pagare un minimo di salario base in modalità Partita IVA. Se l’imponibile ai fini del calcolo IRPEF non è così elevato e quindi non costituisce un gran problema, i contributi INPS raggiungono quota 27%. Si tratta, infatti, di  una cifra troppo alta per imprenditori che devono ancora iniziare a generare utili e che si trovano costretti, tra i tanti rischi di una startup in early stage, ad accollarsi anche il costo relativo al  mantenimento INPS. In Danimarca, per esempio, i lavoratori autonomi e dipendenti possono o non possono pagarsi i contributi INPS.

[1] Rapporto di ricerca 2022 del Venture Capital Monitor – VeM

[2] Per semplicità abbiamo definito pre-seed i Round inferiori a 500K e seed quelli compresi tra 500K e 2 mln.

[3] Pitchbook.