Calo demografico: perché incentivi e immigrazione non basteranno

scritto da il 06 Giugno 2023

Il tema del calo demografico e del crollo del tasso di fertilità è oramai stabilmente all’ordine del giorno. I numeri sono inequivocabili, ma si tratta di un trend che non riguarda solo l’Italia e il Giappone, paesi notoriamente interessati dal fenomeno dell’invecchiamento progressivo della popolazione.

The Economist ha dedicato un lungo approfondimento sul tema, mostrando come il problema interessi sia i paesi occidentali, sia le nazioni più popolose come Cina e India. E presto potrebbe interessare anche l’Africa subsahariana, a differenza di quanto si è soliti pensare.

Le conseguenze di ciò sono abbastanza note ed intuitive. La diminuzione del numero delle persone in età da lavoro mette a rischio la sostenibilità dei sistemi pensionistici, dei servizi sanitari nazionali e, più in generale, del welfare state. Inoltre, meno nascite -a parità di produttività- significa necessariamente meno crescita economica e meno innovazione, con tutte le conseguenze del caso.

Calo demografico, soluzioni più in voga e relativi limiti

A questo problema, si contrappongono solitamente due visioni risolutive. Una  tradizional-conservatrice, che vorrebbe spingere verso una sorta di ritorno al passato, con la donna più devota al ruolo di madre che di lavoratrice. Magari accompagnando ciò con più tutele laburistiche e crescenti sussidi e incentivi fiscali.

L’altra visione, più liberale, punta maggiormente sull’immigrazione di giovani, quale rimedio al progressivo invecchiamento della popolazione.

Entrambe le visioni, che non dovrebbero essere alternative come a volte traspare dal dibattito politico, scontano dei limiti, come evidenzia il settimanale britannico

La visione conservatrice sembra ignorare il cambiamento di costumi che interessa le società occidentali, ma non solo, da decenni. Non si tratta affatto solo di un problema di soldi, considerato che il tasso di fertilità italiano, ad esempio, è diminuito nel tempo nonostante la crescita del reddito pro capite..Ecco perché i sussidi non bastano. A Singapore vengono erogati diverse migliaia di euro per nascita, che crescono dopo la nascita del secondogenito, oltre a notevoli agevolazioni per l’acquisto di abitazioni sussidiate. Eppure, il tasso di fertilità è pari a 1, lontanissimo dal tasso che eviterebbe il declino demografico (2.1).

Ma anche affidarsi unicamente all’immigrazione appare una scelta di corto respiro, considerato che il fenomeno è oramai globale e che, di conseguenza, i giovani in età da lavoro saranno sempre meno ovunque.

Il caso cinese come monito per la politica

I Governi fanno molta fatica a favorire la crescita del tasso di fertilità. Ma possono invece abbastanza agevolmente facilitarne la decrescita. Come noto, la Cina comunista ha per decenni limitato per legge il numero di figli procreabili per famiglia. Attualmente, è però alle prese anch’essa con un tasso di fertilità molto inferiore al 2.1. Un recente paper apparso sul Journal of the European Economic Association ha analizzato l’incidenza delle politiche del Governo cinese sul tasso di fertilità. L’elemento più interessante dello studio sembra essere un altro. Nonostante le limitazioni fossero rivolte alla popolazione Han, un effetto spillover ha interessato anche minoranze non soggette alle restrizioni che vivevano a stretto contatto con gli Han.

Tale effetto emulativo, che ha funzionato al ribasso, potrebbe funzionare anche al contrario? Se così fosse, l’aumento del tasso di fertilità in frange della popolazione potrebbe indurre anche altre coppier a puntare maggiormente alla procreazione. Tuttavia, ciò appare più difficile da raggiungere. Come scritto sopra, le risorse stanziate per erogare sussidi, incentivi, creare strutture per l’infanzia, sono necessarie, ancorché insufficienti. Paesi che siamo soliti pensare come molto più avanzati rispetto all’Italia in termini di welfare, hanno un tasso di fertilità sempre al di sotto del fatidico 2.1  e sono quindi destinati sempre più ad invecchiare. È il caso della Germania (1.6), della Svezia e della Danimarca (1.7).

calo demografico

Guardare il problema del calo demograico con occhi diversi

Tutti ricordiamo le previsioni sbagliate di Malthus sull’aumento della popolazione e sulle relative nefaste conseguenze. Se stessimo sbagliando ancora, eccedendo in pessimismo? I problemi derivanti dal declino demografico appaiono innegabili. Ma giustamente il The Economist enfatizza il ruolo della produttività e l’impatto su di essa dell’intelligenza artificiale. Siamo soliti pensare alle conseguenze negative dell’inverno demografico perché lo immaginiamo sempre a parità di condizioni attuali. Quindi se da tre lavoratori per pensionato si passa a due e, forse ben presto, ad un rapporto di uno a uno, diventa automatico pensare che ciò conduca il sistema ad una inevitabile insostenibilità. E da lì parte lo spauracchio delle città abbandonate, delle scuole chiuse, degli ospedali senza dottori ed infermieri.

Ma perché non pensare, invece, ad un aumento della produttività? Perché non a riforme del welfare più compatibili con la nuova piramide demografica?

Per il welfare forse abbiamo ancora un po’ di tempo per capire quale direzione debba prendere. Ma sulla produttività ne abbiamo ben poco. L’intelligenza artificiale, seppur con lati oscuri e con le note difficoltà di regolamentazione, può essere la risposta dell’intelligenza umana alle sfide del nostro tempo. E forse, per fare questo, le risorse maggiori dovrebbero essere dedicate al capitolo scuola e università.

Sarebbe un utilizzo più lungimirante delle scarse risorse pubbliche a disposizione, considerato che gli stanziamenti diretti ad incentivare la natalità sembrano funzionare come aiuto economico per le famiglie, ma non come fattore causale di incremento del tasso di fertilità.

Twitter @francis__bruno