Progettare città intelligenti è possibile se si perdono i giovani?

scritto da il 23 Giugno 2023

Post di G. Tiziana Gallo, progettista e pianificatrice esperta di rigenerazione urbana; Ottavia D’Agostino, ingegnera per l’ambiente e il territorio, analista di Legambiente Campania –  

Le città, in questo momento, stanno affrontando quella che potremmo definire una POLI-CRISI:

Siccità e desertificazione (in particolare al Nord non preparato a mitigare gli effetti);

Forti, intense e devastanti piogge (il caso Emilia-Romagna);

Crescita dell’inquinamento e della produzione di CO2, concentrati soprattutto nell’area padana;

Aumento della povertà;

Incremento della povertà sociale.

Su questo ultimo punto, la povertà sociale riguarda soprattutto l’abbandono dalle grandi città da parte di giovani famiglie e più in generale giovani, le più esposte sono le donne, per un aumento indiscriminato e incontrollato degli affitti delle case, ma finanche delle stanze, rendendo estremamente impegnativo dal punto di vista economico poter frequentare l’università.

Capite bene che l’effetto che si produce è anche un enorme aumento della forbice sociale e un sostanziale blocco dell’ascensore sociale.

La rinascita di Milano ha escluso i giovani

Viene naturale chiedersi: “Una città si sta sviluppando in maniera intelligente se ha molti capitali finanziari ma perde la sua vera energia, ossia i giovani?”

A tal fine è estremamente interessante analizzare il caso Milano, che è fra le città più impegnate in progetti di rigenerazione urbana, con un taglio molto legato ai temi dell’adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici, ma che sta affrontando il tema “ABITAZIONI TROPPO COSTOSE”, un problema, va detto, comune anche alle grandi capitali europee.

Una città che tende all’ecosostenibile di fascia alta

Infatti, in una città in cui vi è una enorme possibilità di investire capitali e in cui vi è una forte spinta alla partnership pubblico-privata, che ha avuto uno dei momenti più rilevanti con l’Expo 2015, la scelta si è molto orientata verso la costruzione di edifici e quartieri prestigiosi, soprattutto con una forte spinta all’eco-sostenibilità.

In tal senso la risposta più iconica e riconosciuta a livello internazionale è il BOSCO VERTICALE dell’architetto Boeri.

Come è facile comprendere, il modello della Ri-nascita di Milano è rivolto ad un target di clienti estremamente alto, poco rispondente a quelle che sono le necessità di abitazione delle giovani famiglie o dei giovani in generale.

L’alternativa delle comunità energetiche

A tal fine è estremamente interessante immaginare di affiancare al modello Bosco Verticale una interessantissima esperienza di “comunità energetica solidale”, ossia attenta alle fasce più deboli della popolazione, sviluppata nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, Napoli.

Quello delle comunità energetiche è uno strumento relativamente recente, introdotto dall’articolo 42-bis del Decreto Legge 162/2019 “Milleproroghe”, che permette alle persone (ma anche a PMI, amministrazioni, enti del terzo settore e altri ancora) di unirsi per produrre e condividere energia da fonti rinnovabili.

Anche se non si ha un impianto, si può comunque utilizzare energia pulita: ecco uno dei cardini delle comunità energetiche. Si costruisce un impianto da fonti rinnovabili (il fotovoltaico è la tecnologia che quasi sempre viene scelta perché di facile installazione in contesti urbani), che produce energia elettrica. Una parte di questa energia viene autoconsumata dall’edificio sul cui tetto si trova l’impianto, mentre la restante parte va ai membri che fanno parte della comunità, che la utilizzano in maniera “virtuale”, in quanto non c’è un collegamento fisico tra loro e i pannelli fotovoltaici.

Soluzioni per fare fronte alla povertà energetica

Uno strumento che può avere una forte connotazione sociale, se si aggiunge all’acronimo di “CER” (comunità energetica rinnovabile) la “esse” di solidale, come è stato fatto nella periferia est di Napoli. Questa comunità, frutto della collaborazione tra Fondazione con il Sud, Legambiente Campania e Fondazione Famiglia di Maria, utilizza l’energia elettrica prodotta da un impianto fotovoltaico di 53 kilowatt, con sistema di accumulo di 13 kilowattora. L’impianto si trova sul tetto dell’educativa territoriale Famiglia di Maria e a comporre la comunità sono 40 famiglie in condizioni di povertà energetica. Cosa vuol dire povertà energetica? È un fenomeno complesso da definire, individuare e mappare: per cercare di dirlo con poche ma efficaci parole, una persona in condizioni di povertà energetica ha serie difficoltà nel pagamento delle bollette e/o non riesce a scaldare adeguatamente la propria abitazione.

Quando si dà vita a una comunità energetica, è importante non perdere di vista il percorso di costruzione della comunità stessa. Nel caso di Napoli Est, c’era già un punto di partenza interessante e stimolante, quello dell’educativa territoriale Famiglia di Maria, un posto che già aveva in sé il senso di comunità. È lì che Legambiente Campania è potuta intervenire, organizzando incontri informativi per spiegare le potenzialità delle comunità energetiche, raccogliendo adesioni e portando avanti laboratori di educazione energetica sia per i ragazzi e le ragazze che per i loro genitori. Il tutto è stato possibile grazie alla donazione di Fondazione con il Sud, che ha coperto le spese di installazione dell’impianto, le spese notarili etc.

citta

Si può fare a meno dell’ISEE?

Non si è voluto portare avanti un criterio di selezione rigido per individuare le famiglie, un qualcosa che magari prendesse in considerazione ad esempio l’ISEE. Si è piuttosto parlato alle persone e ci si è affidati anche al passaparola per poter vincere gli iniziali timori che nascevano di fronte a uno strumento così nuovo e di non immediata comprensione. Dove magari non poteva arrivare la voce di Legambiente Campania, poteva arrivare quella di una persona che aveva capito le potenzialità di una CER e che la raccontava al vicino di casa.

Svariati sono i benefici del far parte di una CER. Non solo utilizzo di energia pulita, ma anche un compenso economico. Dalla condivisione di questa energia, ne deriva infatti una tariffa premio: per ogni megawattora di energia condiviso, si corrisponde una somma pari a 110 euro, a cui si aggiunge un’altra aliquota di circa 8 euro (dovuta al fatto che non si sta utilizzando tutta una parte della rete elettrica, proprio perché si sta producendo energia localmente, senza aver bisogno di una lontana centrale a gas).

Questi soldi vanno con un bonifico al rappresentante legale della comunità e sono i membri della comunità stessa a decidere come utilizzarli. Nel caso della comunità energetica di Napoli Est, la somma si ripartisce tra le 40 famiglie come una forma di supporto al pagamento delle bollette. Dal progetto di fattibilità dell’impianto è emersa una stima di circa 200 euro di “risparmio” a famiglia.

Una nuova visione della città: transizione ecologica inclusiva

Una possibilità per portare la cultura delle rinnovabili tra le persone, per abituarle a un paesaggio che deve necessariamente cambiare, se vogliamo preservarlo. Un tassello del puzzle della giusta transizione energetica.

Questa bellissima esperienza, qui condivisa, può far comprendere come non solo il pubblico, ma i privati che vogliano risolvere i loro problemi di “povertà energetica” possono attivarsi per costituire una comunità energetica, così come può farlo il pubblico, così come possono farlo delle aree commerciali o industriali.

La CONDIVISIONE, la PRODUZIONE IN LOCO, e l’uso di IMPIANTI AD ENERGIE RINNOVABILI, in una sola parola le CER, possono essere al centro di una “nuova visione della città” (a Napoli, come a Milano, a Bologna, Roma, dove il costo degli appartamenti è in continua crescita e sta espellendo soprattutto i più giovani dal mercato della casa), perché fondata su una transizione ecologica, certamente, ma inclusiva.

Decisioni per città davvero intelligenti

Come ha sostenuto il compianto professor Bernardo Secchi, professore di urbanistica allo IUAV di Venezia e urbanista di fama internazionale, nel libro “La città dei ricchi e la città dei poveri”, NON ESISTONO DECISIONI NEUTRE in ambito di politiche pianificatorie.

Di ogni azione va valutato l’impatto sulla popolazione e i target di riferimento, perché (e questo lo aggiungiamo noi) nessuno resti indietro o non venga considerato.

Perché, se le città generano progetti, fanno girare i capitali, ma perdono i loro giovani, che futuro hanno e quali prospettive? Le possiamo considerare “città intelligenti”?