Donne, uomini, lavoro: cinque misure per contrastare l’inverno demografico

scritto da il 06 Luglio 2023

Post di di Francesco Baroni, Country Manager di Gi Group Holding Italia –

L’attenzione al tema della crisi demografica nel nostro Paese sembra ritornare ciclicamente ogni volta che viene sollecitato il dibattito pubblico con l’aggiornamento delle rilevazioni Istat che ci pongono di fronte alle gravi dimensioni del problema: si stima ci siano meno di 7 neonati e più di 12 decessi per 1.000 abitanti con un record negativo delle nascite, sotto la soglia delle 400mila unità.

Invecchia così la popolazione: l’età media è passata da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023. In particolare, gli individui in età attiva (15-64) scendono da 37 milioni 489mila (63,5%) a 37 milioni 339mila (63,4%).

La situazione è conosciuta da lungo tempo così come lo sono i drammatici effetti sull’intera società, ma, ciò nonostante, il problema non viene ancora affrontato con la giusta priorità aggravandosi così di anno in anno. L’allarme è risuonato forte anche nella cornice dei recenti Stati Generali della Natalità, dove si è sottolineato, e condivido, come i figli siano un investimento che deve coinvolgere l’intero Sistema Paese.

La maternità è ancora percepita come un costo aggiunto

Purtroppo, non è così e lo si riscontra soprattutto nel mondo del lavoro dove, come emerge dal nostro studio “Women4: superare le disparità di genere per un futuro del lavoro sostenibile”, ancora oggi la maternità viene percepita come un costo aggiunto.

In primis, dalle madri. Dal rapporto di Save The Children “Le equilibriste – la maternità in Italia 2023“, emerge infatti che, nonostante il sentimento di gioia per la maternità sia quello prevalente nella grandissima maggioranza dei casi, il 43% delle madri dichiara di non essere in condizione di fare figli. Tra le cause segnalate la fatica (40%), la difficile conciliazione lavoro/famiglia (33%), la mancanza di supporto (26%) e la scarsità dei servizi pubblici (26%).

Lo svantaggio occupazionale e il lavoro familiare asimmetrico

La maternità è dunque vissuta come uno svantaggio occupazionale, soprattutto se le donne hanno figli in età prescolare. Se c’è un figlio minore, infatti, il tasso di occupazione delle mamme nella fascia di età 25-54 anni si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali. A pesare sulla scelta di mantenere o cercare occupazione è spesso l’asimmetria nel lavoro familiare, che è ancora ampia: se gli uomini dedicano alle attività di cura in media 9 ore alla settimana, le donne lavoratrici ne dedicano 22.

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Altre asimmetrie: part-time e congedo parentale 

Questa disparità si riflette anche nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro e nella diffusione dei contratti part-time: 1 madre su 3 riduce le ore di lavoro retribuite per richiedere un part-time, mentre solo 1 padre su 10 fa lo stesso. E questo accade nonostante la normativa italiana preveda un congedo obbligatorio anche per i padri o i partner, proprio al fine di favorire la condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne. Peccato che, solo il 37% dei genitori sia a conoscenza di tale obbligatorietà.

Inoltre, come è risaputo, il numero dei giorni di congedo riservati ai padri è estremamente limitato rispetto a quello dalle madri ed è anche poco utilizzato: se le donne hanno a disposizione 5 mesi, gli uomini solo 10 giorni nei primi 5 mesi dalla nascita o dall’adozione dei figli, ma a usufruirne nel 2021 sono stati circa 156 mila padri, poco più della metà dei beneficiari potenziali, prevalentemente lavoratori dipendenti di aziende di grandi dimensioni e al Nord.

Il lavoro “meno produttivo” delle mamme

E per le imprese? Nella ricerca Women4 abbiamo realizzato un focus sulla gestione della maternità delle lavoratrici da parte delle organizzazioni e abbiamo rilevato come la temporanea assenza della donna per congedi di maternità (5/12 mesi) rappresenti ancora un problema, soprattutto per le imprese più piccole. Se infatti è maggiormente gestibile da parte delle aziende di grandi dimensioni, risulta più difficile nelle PMI, dove persiste il timore di una “minor produttività” delle mamme e dove si riscontra la percezione di maggior rischio per la possibile scelta di “abbandono” dell’attività lavorativa da parte delle neomamme.

Ricerca di personale: il doppio binario ai colloqui

Una difficoltà che porta ad un atteggiamento difensivo anche in sede di ricerca e selezione. Il 60% delle aziende intervistate ammette di rivolgere domande diverse a candidati e candidate e 1 donna su 5 dichiara che le è stato richiesto, in modo più o meno esplicito, se intendesse avere figli.

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Quanto sopra esposto fa emergere chiaramente come il ruolo del Lavoro – inteso come fonte di reddito, ma anche e soprattutto come esperienza che conferisce dignità e indipendenza – sia assolutamente centrale e riguardi sia la singola donna che riusciamo a mantenere attiva e occupabile sia la società di oggi e quella futura.

Chi deve fare la propria parte: istituzioni e aziende

Chi può e deve agire per invertire la rotta? Governo e Istituzioni devono concentrare le risorse a disposizione per le misure di welfare su politiche di sostegno alla natalità e alle famiglie con figli, ma anche le aziende devono fare la propria parte. Che cosa possono fare?

Ecco cinque misure possibili

Innanzitutto, contribuire a una cultura più inclusiva diffondendo informazioni circa i congedi parentali, sui tempi e modi di distanziamento e rientro al lavoro, così come sulle voci welfare connesse a genitorialità e carichi di cura.

Personalizzare i percorsi di gestione della maternità, perché oggi nei diversi ambiti del welfare bisogna saper rispondere a specifici bisogni e non intervenire in modo standardizzato.

Sensibilizzare e formare i manager, il team e la persona in vista del periodo di “assenza dal lavoro” e anche di quello di rientro.

Creare policy aziendali ad hoc per i congedi, come ad esempio la paternità più lunga e prevedere l’utilizzo del part-time gender free anche a livello manageriale.

Aderire a percorsi di riqualificazione o di reinserimento mirato di donne fuoriuscite dal mondo del lavoro in seguito alla maternità.

Un mercato del lavoro e un Paese non sostenibili

La contrazione delle nascite e la limitata partecipazione delle donne al mercato del lavoro si inseriscono in un contesto complesso anche per il crescente candidate shortage, ma pensare di invertire la tendenza dello skill mismatch escludendo metà della popolazione e non avendo una prospettiva di lungo termine per contrastare l’inverno demografico significa operare per un mercato del lavoro e un Paese non sostenibili.