Regole sul consumo di suolo come segno del progresso. E l’Italia?

scritto da il 20 Dicembre 2023

Post di Giuseppe Fabrizio Maiellaro[1] e Paolo Costantino[2]

Nelle ultime settimane l’attenzione dei media è tornata a concentrarsi su un problema annoso ed endemico del nostro Paese: il consumo di suolo quale preoccupante e crescente minaccia per gli equilibri e lo sviluppo del già fin troppo fragile ecosistema italiano. È di questi giorni la notizia dell’indomabile avanzare della cementificazione delle aree urbane ed extraurbane, con Roma, Torino e Milano a contendersi il primato del fenomeno in termini assoluti.

Come noto, il consumo di suolo è monitorato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) – istituito dalla legge 28 giugno 2016, n. 132 – che ogni anno realizza il Rapporto nazionale “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. Questo documento riporta dati e analisi sull’evoluzione del territorio e del consumo di suolo, all’interno di un più ampio quadro di analisi delle dinamiche delle aree urbane, agricole e naturali ai diversi livelli, attraverso indicatori utili a valutare le caratteristiche e le tendenze del consumo, della crescita urbana e delle trasformazioni del paesaggio, ma anche dell’evoluzione, della distribuzione e delle caratteristiche della vegetazione, fornendo valutazioni sull’impatto della crescita della copertura artificiale del suolo, con particolare attenzione alle funzioni naturali perdute o minacciate.

Il consumo di suolo si è fermato? No

Orbene, dalle risultanze dell’ultimo rapporto (cfr. Delibera del Consiglio SNPA del 10 ottobre 2023, Doc. n. 218/23), emerge ancora una volta un quadro allarmante “(…) dei processi di trasformazione del nostro territorio, che continuano a causare la perdita di una risorsa fondamentale, il suolo, con le sue funzioni e i relativi servizi ecosistemici” (v. presentazione del rapporto SNPA del 2023 appena citato).

Il tema è tutt’altro che nuovo e, storicamente, si lega a doppio filo con le istanze di crescita e produzione economica che assillano, oggi più che mai, il progresso delle società moderne, con costante esposizione delle stesse a cedimenti di natura corruttiva e criminosa e, di conseguenza, nocive e persistenti ricadute ambientali e sociali.

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La cementificazione al tempo di Calvino

In tal senso, sono assai significative le diffuse sensibilità e riflessioni sollecitate dal problema nel contesto nazionale, persino in ambito letterario e cinematografico, in un periodo di assoluto rilievo sotto questi profili, ovverosia quello degli anni della ricostruzione e del “boom” economico conosciuto dall’Italia tra il 1950 e il 1970 – si pensi al romanzo “La speculazione edilizia” di Italo Calvino (1963) oppure al film “Le mani sulla città” di F. Rosi (1963) – che hanno imposto all’attenzione delle istituzioni e della società civile, in diverse occasioni, le delicate e complesse questioni ambientali e di ordine pubblico connesse all’incedere inarrestabile di frequenti abusi edilizi e violazioni dei principi e delle norme vigenti in materia.

Scriveva Calvino, con plastica e vivida efficacia, raccontando la cementificazione della riviera ligure di quegli anni: “Nelle cittadine in salita, a ripiani, gli edifici nuovi facevano a chi monta sulle spalle dell’altro, e in mezzo i padroni delle case vecchie allungavano il collo nei sopraelevamenti. (…) ora le scavatrici ribaltavano il terreno fatto morbido dalle foglie marcite o granuloso dalle ghiaie dei vialetti, e il piccone diroccava le villette a due piani, e la scure abbatteva in uno scroscio cartaceo i ventagli delle palme Washingtonia, dal cielo dove si sarebbero affacciate le future soleggiate-tricamere-servizi” (La speculazione edilizia, cit.).

Mezzo secolo fa la Carta europea del Suolo

Fermo quanto sopra, nella seconda metà del ‘900 il tema del consumo di suolo è stato oggetto di specifica attenzione anche in ambito sovranazionale e, in particolare, presso le istituzioni comunitarie. Risale infatti al 1972 la “Carta Europea del Suolo” adottata dal Consiglio d’Europa, dotatosi in tal senso di un documento programmatico – oggi divenuto “Carta per la protezione e la gestione sostenibile del suolo” – in cui il suolo è considerato risorsa in larga misura non rinnovabile, le cui funzioni devono essere tutelate in ragione del fatto che costituisce elemento fondamentale del paesaggio, del patrimonio culturale e dell’habitat, e il cui utilizzo presenta importanti ricadute ambientali e socioeconomiche. La questione dunque, già in quegli anni, è stata opportunamente collocata su un piano anzitutto strategico, per delineare adeguate misure di tutela e assicurare uno sviluppo sostenibile.

Una definizione di sviluppo sostenibile

Come già accennato, al pari delle altre risorse ambientali, anche l’approccio normativo nei confronti dell’utilizzo del suolo si traduce in misure tese a riparare – o prevenire, se possibile – una gestione dei contesti ambientali e territoriali rivelatasi frequentemente disinvolta e spregiudicata. Questo approccio, peraltro, è comune a tutte le azioni politiche guidate da criteri di sostenibilità, intendendosi con questo termine l’utilizzo delle risorse attuali senza pregiudizio per gli analoghi bisogni delle generazioni future, attraverso forme e modalità di sviluppo economico che garantiscano e rispettino queste fondamentali indicazioni.

Il criterio guida, nel contesto qui in riferimento, è quello dello “sviluppo sostenibile”, quale sancito nel celebre Rapporto Brundtland presentato in sede di Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo (WCED) del 1987 (presieduta, per l’appunto, dall’allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland), alla cui stregua “lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”. Un criterio di assoluto valore e tutt’altro che scontato, sebbene assimilabile a principi di buon senso e antica saggezza che, ad esempio, i Masai – pur disponendo di mezzi scientifici assai più limitati – compendiavano in una affermazione di incontestabile portata: “il mondo non ci è stato donato dai nostri genitori ma prestato dai nostri figli”.

Ciò posto, di tutta evidenza la tutela e la sicurezza dei nostri territori passano in primo luogo da un corretto utilizzo e consumo del suolo, che in tal senso assume una pregnante rilevanza sociale, quale bene comune e da preservare in un’ottica di sviluppo sostenibile; ciò impone un’analisi del suo utilizzo e del processo di urbanizzazione, da valutarsi in merito alla dimensione ambientale ed urbana.

Il corretto consumo di suolo e il grado di civiltà di un Paese

Il consumo del suolo, come ricordato dagli studi sopra menzionati, è un fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, dovuta all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale. Il fenomeno si riferisce, quindi, a un incremento della copertura artificiale di terreno, legato alle dinamiche insediative. Trattasi di un processo prevalentemente dovuto alla costruzione di nuovi edifici e infrastrutture, all’espansione delle città, alla densificazione o alla conversione di terreno entro un’area urbana, all’infrastrutturazione del territorio. In quest’ottica, il concetto di consumo di suolo si sostanzia in una variazione da una copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato).

consumo di suolo

Al riguardo, l’obiettivo generale non è impedire in assoluto l’occupazione di nuovo territorio, ma piuttosto di rimeditarne l’uso, riqualificando e ripensando il territorio urbanizzato e rendendolo così compatibile con il bene ambiente e il paesaggio, nella prospettiva di un migliore e ponderato equilibrio tra siffatte realtà e il contesto e le risorse naturali in cui le stesse si collocano. Ciò anche in considerazione delle notevoli ricadute delle questioni in esame sull’habitat naturale, sul patrimonio culturale e sulla stessa qualità di vita delle persone.

In questa direzione, la corretta regolamentazione del suo utilizzo, così come l’attenzione normativa e sociale aventi ad oggetto il suo consumo, costituiscono senza dubbio indicatori di rilievo sulla cultura civile e sul progresso di un Paese.

Consumo di suolo: irrompe l’Agenda Onu 2030

Non possono trascurarsi, a tal proposito, gli impegni assunti per rispettare l’obiettivo di azzeramento del consumo di suolo netto previsto dall’Agenda ONU 2030 e dai piani europei, in coerenza con i principi e criteri sovranazionali e nazionali già ricordati.

Nell’epoca dell’economia circolare, del recupero di rifiuti, della valorizzazione dei sottoprodotti e del riutilizzo di prodotti, i concetti di consumo di suolo e rigenerazione urbana assumono un’importanza sempre maggiore, all’attualità, in ragione della ormai improrogabile necessità di preservare il territorio su cui abitiamo e lavoriamo evitando tutte quelle ulteriori trasformazioni che potrebbero pregiudicarne l’integrità.

La tutela del suolo in quanto risorsa ambientale e l’aspirazione al suo utilizzo sostenibile hanno difatti frenato l’idea dell’urbanistica di espansione, favorendo invece un’ottica di riqualificazione e rigenerazione urbana.

Il ruolo della rigenerazione urbana (e delle comunità)

Va detto, in proposito, che allo stato non è data una definizione giuridica di rigenerazione urbana, ma con l’ausilio della dottrina formatasi in tema possiamo definire tale concetto come l’insieme delle azioni necessarie e utili a contrastare il degrado urbano, non solo fisico ma anche sociale (v. G. Cartei, P. Carpentieri).

La rigenerazione urbana è dunque qualcosa di più del mero riutilizzo dell’esistente, giacché guarda oltre la riqualificazione e implica un processo di trasformazioni urbane che tengano conto dell’assetto territoriale dal punto di vista socio-economico, culturale, occupazionale, ambientale, con un focus sull’inclusione sociale. In buona sostanza, si afferma una lettura del territorio in termini di eliminazione del degrado fisico e sociale, di sicurezza, di recupero dei valori identitari e di rinnovazione. Tutto ciò implica anche una partecipazione collaborativa da parte del cittadino, onde valorizzare i bisogni della comunità di riferimento e coinvolgere attivamente i destinatari degli interventi.

Mancano normative organiche, in Italia e in Europa

Tanto chiarito, occorre segnalare che il nostro ordinamento non si è ancora dotato di una disciplina nazionale organica in materia di rigenerazione urbana, rinvenendosi semmai, allo stato, talune prescrizioni di legge in singoli interventi normativi dovuti a leggi regionali e regolamenti comunali.

Invero, anche a livello comunitario non si dispone ancora di una normativa organica sulla rigenerazione urbana, anche alla luce della mancata approvazione, nel 2006, di una direttiva quadro sul consumo del suolo che era stata approntata.

Ad ogni modo, vale ricordare che il Testo Unico Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) prevede diverse tipologie di intervento rigenerativo, senza però che queste trovino una puntuale disciplina organica nazionale, emergendo così sul punto una frammentazione normativa, con regole delegate alle Regioni e agli Enti locali – cfr. l’introduzione, basata sul principio di sussidiarietà orizzontale, di misure di agevolazione in termini di premialità, defiscalizzazioni (detassazione dei microprogetti di arredo urbano o di interesse locale operati dalla società civile) o baratto amministrativo (delibere comunali per la riduzione o esenzione di tributi in cambio di attività dei cittadini aventi ad oggetto la pulizia, la manutenzione, il recupero e il riuso di aree e beni inutilizzati, etc.).

Stop al consumo di suolo: eppur si muove

Nella cornice di indubbia complessità e urgenza in cui si colloca la questione qui trattata, oggi si registrano comunque alcuni interessanti e meritevoli passi avanti.

In primis, una rinnovata sensibilità dell’opinione pubblica, testimoniata da recenti iniziative scientifiche e culturali di pregio, quali il Festival della Rigenerazione Urbana tenutosi a Roma dal 13 al 17 dicembre 2023.

Inoltre, vale segnalare che risulta all’esame del Parlamento un (nuovo) disegno di legge (DDL), presentato alla Camera dei Deputati il 26 maggio 2023 (A.C. 1179, in discussione dal 3 ottobre 2023 presso la Commissione VIII Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici) e intitolato “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana” (dato da tenere in debito conto, in merito, è che i disegni di legge presentati sulla materia  nelle precedenti legislature sono tutti decaduti per ragioni strettamente politiche).

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Tra l’altro, giova evidenziare che il disegno di legge in discussione ha il merito di apparire ben calibrato, laddove stabilisce ad esempio esami approfonditi e valide motivazioni per la programmazione di interventi che potranno comportare nuovi consumi di suolo, prevedendo altresì tempistiche apparentemente non così stringenti (decennali) ma comunque definite per eseguire gli interventi, i quali saranno in ogni caso accompagnati da un aumento (anche progressivo, se si ritarda nelle previsioni) dei relativi costi amministrativi di costruzione.

I meccanismi di incentivazione

Al contempo, lo stesso DDL delinea meccanismi virtuosi di incentivazione, anche economica, per quegli interventi sul territorio tesi a recuperare il patrimonio disponibile e inutilizzato (anche se appartenenti a privati, consentendone addirittura l’esproprio per mano di altri privati costruttori in veste di concessionari dei relativi poteri autoritativi, ai sensi dell’art. 6, comma 8, del D.P.R. n. 327/2001, recante il  Testo Unico Espropri).

In ogni caso, ciò che emerge, all’attualità, dalle considerazioni e dalle circostanze che precedono è una nuova e più solida convinzione – evidentemente compulsata dalle emergenze territoriali e ambientali degli ultimi anni – di porre il tema al centro del dibattito pubblico, declinandolo in diversi contesti e avviando azioni più incisive per addivenire a una compiuta definizione e regolamentazione, organica e sistematica, che assicuri ai territori strategie e misure di legge attente, concrete ed efficaci.

Ciò, a maggior ragione, solo a considerare che, stando alle definizioni riportate nel citato DDL, il “suolo” – già contemplato dal Testo Unico dell’Ambiente (D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i.) e definito come “lo strato più superficiale della crosta terrestre situato tra il substrato roccioso e la superficie. Il suolo è costituito da componenti minerali, materia organica, acqua, aria e organismi viventi”, compresi “anche il territorio, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali” (v. art. 5, comma 1, lett. v-quater) – potrebbe essere ulteriormente connotato come “risorsa ambientale non rinnovabile” (v. art. 2, comma 2, del suddetto DDL), valorizzandone in tal senso l’elemento più peculiare – la mancanza di rigenerazione – che giustifica, anzi pretende, l’adozione di efficienti e celeri interventi di tutela.

Nuove possibilità per regolamentare il consumo di suolo

Quanto sopra attesta quindi l’affacciarsi di nuove e concrete possibilità per giungere finalmente a un quadro normativo più specifico e coerente sulla regolamentazione del consumo di suolo e della rigenerazione urbana.

Come ricordato nella presentazione del predetto rapporto SNPA 2023, “Un consistente contenimento del consumo di suolo, per raggiungere presto l’obiettivo europeo del suo azzeramento, è la premessa, quindi, per garantire una ripresa sostenibile dei nostri territori attraverso la promozione del capitale naturale e del paesaggio, la riqualificazione e la rigenerazione urbana e l’edilizia di qualità, oltre al riuso delle aree contaminate o dismesse. Per questo obiettivo sarà indispensabile fornire ai Comuni e alle Città Metropolitane indicazioni chiare e strumenti utili per rivedere anche le previsioni di nuove edificazioni presenti all’interno dei piani urbanistici e territoriali già approvati. In questo quadro lo sforzo del SNPA con il Rapporto si pone come punto fermo, fornendo un supporto conoscitivo autorevole per l’impostazione e la definizione di un efficace nuovo quadro normativo e per un maggiore orientamento delle politiche territoriali verso la sostenibilità ambientale e la tutela del paesaggio”.

Politiche pubbliche pro economia circolare

Trattasi di un approdo diffusamente auspicato e da troppo tempo atteso, quale mezzo di contrasto rispetto a un fenomeno di atavica e urgente complessità (il consumo del suolo) rispetto al quale occorre definire e attuare misure specifiche e durevoli di strategia e contrasto (la rigenerazione urbana), da inscrivere in una pluralità di politiche pubbliche aventi ad oggetto la tutela dell’ambiente e del paesaggio e il recupero, riuso e rifunzionalizzazione del costruito.

Oggi più che mai, infatti, tali politiche pubbliche debbono essere destinate al superamento dell’urbanistica di espansione e alla promozione dell’economia circolare, nonché di programmi e iniziative sociali e culturali da delineare non soltanto per le aree periferiche o fisicamente degradate, bensì anche per quelle caratterizzate da servizi di bassa qualità, da degrado sociale, da disagio economico e deficit culturale.

NOTE

[1] Consulente esperto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e professore a contratto di Sicurezza del territorio presso l’Università degli studi Link di Roma.

[2] Esperto di diritto ambientale e cultore della materia di Sicurezza del territorio presso l’Università degli studi Link di Roma.