Potere d’acquisto, il carrello tricolore tra storytelling e numeri veri

scritto da il 12 Gennaio 2024

Post di Francesco M. Renne, commercialista e revisore, faculty member CUOA Business School, formatore in materie finanziarie e fiscali

Il 5 gennaio scorso, l’Istat ha rilasciato il “conto trimestrale delle amministrazioni pubbliche, reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società”, un complesso documento riepilogativo che contiene diversi dati su cui riflettere, per individuare la direzione verso cui sta andando la nostra economia.

I dati sono stati commentati variamente dai mass-media, da singoli politici e più diffusamente sui social, focalizzandosi in particolare sui dati legati al potere d’acquisto delle famiglie, apparentemente positivo, invece che sui dati dei saldi di finanza pubblica o sul trend di profitti e investimenti delle imprese, che si evidenziano ancora in sofferenza.

Da una interessante chiacchierata con Marco Bentivogli, che ha evidenziato l’eccesso di entusiasmo per il “carrello tricolore” introdotto dal Governo, è nata l’idea di cercare di fare un po’ di chiarezza.

Potere d’acquisto più tendenzioso che tendenziale

In particolare, ciò che ha destato più di un sobbalzo sulla sedia, fra gli addetti ai lavori, non sono i dati “in quanto tali” – che, invero, hanno una propria logica di costruzione tecnico-statistica che ai più rischia di sfuggire – quanto il contenuto del comunicato stampa che accompagnava il documento. Già, perché – senza nulla togliere al lavoro degli analisti dell’Istat – l’enfasi data al dato sul “potere d’acquisto” delle “famiglie consumatrici” è apparso subito un po’ “tendenzioso”, più che “tendenziale”.

Ora, per prima cosa e, beninteso, solo per intendersi sui termini utilizzati, si tratta di un dato “destagionalizzato”, espresso prima graficamente (in figura 1 del documento qui commentato) e poi nei dati numerici (nel prospetto 4) sia in termini “congiunturali” che “tendenziali” (e “tendenziali cumulati”, nda); tale dato è definibile anche (rigorosamente dalle note Istat) come “reddito disponibile lordo in termini reali”, ottenuto come rapporto tra il “reddito disponibile lordo a prezzi correnti” e il “deflatore implicito dei consumi finali” delle famiglie”.

potere d'acquisto

Solo per decifrare questo “scioglilingua”, un lettore “non addetto ai lavori” intuirà che trattasi di faccenda alquanto ostica e, quindi, si “appoggerà” più facilmente al commento descrittivo del comunicato stampa (ripreso in parte dall’incipit del documento stesso), più che all’analisi dei singoli dati.

Il punto è che – mentre i primi dati esposti, relativi al terzo trimestre 2023, vengono confrontati con il medesimo trimestre dell’anno precedente (i.e. “dato tendenziale”) – il dato sul potere d’acquisto (e i successivi, nondimeno), vengono presentati confrontandoli con il trimestre precedente (il secondo) del medesimo anno (i.e. “dato congiunturale”).

Che, guarda caso la coincidenza, è l’unico positivo della serie.

I dati sul reddito disponibile delle famiglie

Riepilogando, sul punto il comunicato stampa evidenzia che “il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato dell’1,8% rispetto al trimestre precedente […] il potere d’acquisto delle famiglie consumatrici è cresciuto rispetto al trimestre precedente dell’1,3% a fronte di un aumento dei prezzi dello 0,5%”. Dal che se ne trarrebbe una valutazione tout court positiva della situazione economica delle famiglie.

Invero, il prospetto 4 del documento in commento evidenzia

“Potere d’acquisto”:

– congiunturale | +1,3 | (terzo trimestre 2023 sul secondo trimestre 2023)

– tendenziale | -0,6 | (terzo trimestre 2023 sul terzo trimestre 2022)

– tendenziale cumulato | -1,2 | (primi tre trimestri 2023 sui primi tre trimestri 2022)

dal che se ne trae, invece, una valutazione molto meno ottimistica.

Un ulteriore elemento di “enfasi” del comunicato stampa è contenuto nel successivo commento, ove recita “il potere d’acquisto delle famiglie, dopo la brusca caduta del quarto trimestre 2022, prosegue la ripresa […] iniziata nel primo trimestre 2023, [che] era stata interrotta dalla lieve flessione del trimestre successivo”. Anche qui, se è vero che una rondine non fa primavera, è la stessa successione degli istogrammi (riportati nella figura 1 del documento integrale) ad evidenziare che la successione dei trimestri impedisce (tecnicamente) di chiamare “ripresa” un “rimbalzo” dopo un calo verticale del quarto trimestre 2022.

Insomma, per il lettore “non addetto ai lavori”, una serie di elementi in “controluce” difficili da individuare, prima ancora che da interpretare.

Inflazione, annunci e realtà

Peraltro, va detto ancora che il dato in questione è un “aggregato” che non consente una valutazione della sua distribuzione. In altri termini la sua composizione (cioè, quali variazioni ci possono essere in relazione al diverso livello di singolo reddito familiare, essendo omnicomprensivo di qualsivoglia posizione economica individuale) non consente di dire se tale “aumento” (congiunturale e comunque ancora al di sotto del livello dell’anno precedente, come abbiamo visto) sia davvero sintomo di “migliori condizioni” della popolazione, in specie quella con minor reddito e in relazione ai dati dell’inflazione.

Difatti, il dato “lordo” è corretto da un “deflattore” (inflattivo) dello 0,5%. Di per sé, statisticamente coerente, ma, anche qui, occorre non fermarsi alle apparenze. Intanto, per i “non addetti ai lavori”, va ricordato che i dati sull’inflazione sono variazioni da un periodo di osservazione all’altro; quindi, passare – come alcuni hanno commentato – dal + 11,8% (dato a dicembre 2022) al più mite +0,6% (dato a dicembre 2023) non vuol dire che l’inflazione sia “scesa”, bensì che sia “cresciuta di meno”. Ovverossia, che è “ulteriormente cresciuta” di uno 0,6% sul livello precedente.

Uno storytelling non adeguato

Inoltre, il dato dell’inflazione (dato Istat provvisorio, anche questo emesso il 5 gennaio) è altamente disomogeneo, se viene scomposto per settori merceologici. Pur, infatti, se “nel mese di dicembre 2023 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,2% su base mensile e dello 0,6% su base annua”, occorre tener conto che “in media, nel 2023 i prezzi al consumo registrano una crescita […], al netto degli energetici, del […] 5,3%”. E che, ad esempio, i dati per “prodotti alimentari e bevande analcoliche” sono +0,3 (congiunturale), +5,9 (tendenziale) nonché, quanto a variazioni medie, +10,1 (2023 su 2022) e 9,1 (2022 su 2021).

Insomma, non proprio uno scenario idilliaco, poiché gli incrementi di anno in anno del “costo della spesa”, lungi dall’essere risolto e rientrato ai livelli di due anni fa, si fa sentire soprattutto in capo alle famiglie in difficoltà e/o con i redditi minori.

E, soprattutto, ciò che si è letto e sentito non mi è parso proprio uno storytelling (mediatico e social) adeguato alla complessità dei numeri.