L’Europa della Difesa: sicurezza a giorni alterni. Fino a quando?

scritto da il 23 Febbraio 2024

Post di Bruno Salerno, laureato in Politiche Europee e Internazionali presso l’Università Cattolica di Milano. Co-founder di Pillole di Politica – 

Sabato 10 febbraio 2024, South Carolina. Sono passati tre anni dagli attacchi a Capitol Hill. Ma Donald Trump non si arrende. Non sono bastate le tante falsità. Né esser stato accusato di cospirazione. Non è stato abbastanza aver trattato come un foglio di carta qualsiasi la Costituzione americana. E nemmeno aver messo in dubbio, da Presidente uscente degli Stati Uniti d’America, l’esito delle urne. Dal palco di Conway risuonano nuovamente parole preoccupanti. Questa volta contro l’Europa, contro la sua sicurezza, in uno dei periodi più bui in cui le minacce nei confronti delle nostre libertà sono molto accentuate.

Uno dei presidenti di un grande Paese si è alzato in piedi e ha detto: se non paghiamo e veniamo attaccati dalla Russia, ci proteggerete? E io: non avete pagato, siete morosi! No, non vi proteggerei. Anzi, li incoraggerei a fare quello che diavolo vogliono. Tu devi pagare. Dovete pagare il conto”.

Pensare che una persona accusata di frode fiscale abbia il coraggio di puntare il dito contro chi, oggi, sarebbe inadempiente rispetto alle spese per la difesa, fa riflettere. È come se in Italia, con le dovute differenze, un evasore fiscale accusasse chi, nel nostro Paese, le tasse non le paga. Ma le affermazioni di Trump, seppur preoccupanti, non sono una novità: in altre occasioni era già esplicitamente emersa la sua intenzione di non intervenire in UE in caso di attacco.

L’allergia di Trump all’Alleanza Atlantica

Che a Trump non piacesse il multilateralismo, elemento costitutivo dell’ordine liberale, era cosa già ben nota, basti guardare a tutti i tavoli da cui gli Stati Uniti sono usciti durante la sua presidenza isolandosi dal resto del mondo. Per quanto concerne l’Alleanza Atlantica, ad esempio, Trump ha spesso lamentato l’asimmetria degli impegni a carico degli USA e dei Paesi NATO. Le parole pronunciate da quel palco, infatti, fanno proprio riferimento al burden sharing, al rispetto cioè degli impegni assunti dai Capi di Stato e di Governo durante il Summit NATO svoltosi in Galles nel 2014, durante il quale si fissò per ogni Paese NATO l’obiettivo di spesa per la difesa, entro il 2024, uguale al 2% del PIL.

Così come riportato dal Servizio Studi sulla Difesa e Sicurezza della Camera dei Deputati, per verificare il raggiungimento di tale obiettivo, il nostro Paese è chiamato a fornire annualmente alla NATO i dati finanziari che rappresentano il proprio bilancio (cd. “Bilancio della Difesa in chiave NATO”) elaborato in base a parametri e criteri indicati dall’Alleanza, affinché i dati siano omogenei e quindi comparabili con quelli di tutti i Paesi appartenenti all’Alleanza stessa, nell’ambito della NATO Defence Planning Capability Survey[1].

Il conto dell’Italia con la Nato

L’Italia, prendendo in considerazione il periodo che oscilla tra il 2014 e il 2023, ha mostrato il picco più alto soltanto nel 2020 con una spesa pari al 1,59% del PIL (nel 2023 il rapporto spese militari/PIL è stato dell’1,46%). Se guardiamo a tutti gli altri Paesi appartenenti all’Alleanza, ad oggi soltanto 11 su 30 sono riusciti a raggiungere l’obiettivo del 2%, un numero ridotto, non capendo la gravità dell’epoca storica che stiamo vivendo, caratterizzata dalle violenze brutali di Vladimir Putin e dalle spaventose teorie sostenute dal possibile futuro Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Tra gli undici, sono presenti Polonia (3,9%), USA (3,49%), Grecia (3,01%), Estonia (2,73%), Lituania (2,54%), Finlandia (2,45%), Romania (2,44%), Ungheria (2,43%), Lettonia (2,27), Regno Unito (2,07%) e Slovacchia (2,03%) (Fig. 1). Non è casuale che i Paesi che investono maggiormente in difesa gravitino in un’area dove le minacce per il nostro continente da parte del Cremlino sono particolarmente rilevanti. Proprio per via di queste minacce costanti, insieme alla tendenza isolazionista da sempre sostenuta da Donald Trump, dovrebbe essere necessario da parte di ogni SM, oggi più che mai, un ripensamento all’interno del proprio dibattito pubblico-politico dei concetti di guerra e di difesa.

Fig 1. Rapporto spese militari/PIL Paesi Nato. Fonte NATO [2]. Cliccare sull’immagine per ingrandire

Le affermazioni di Trump, in realtà, arrivano in un momento particolarmente acceso per il dibattito politico americano, dove il tema centrale è il pacchetto di aiuti da 95 miliardi di dollari per la difesa dell’Ucraina contro la Russia. La polarizzazione tra Democratici e Repubblicani sull’argomento è particolarmente accentuata, tra chi ritiene che si debba ancora continuare a finanziare Kiev e chi, al contrario, sostiene che è necessario concentrarsi sui problemi interni al proprio paese.

Ucraina, un “buon affare” per gli Stati Uniti

Per superare queste divergenze, Joe Biden ha cambiato il modo attraverso cui comunicare lo sforzo economico americano a sostegno di Zelensky: mentre prima l’assistenza all’Ucraina era vista soltanto in un’ottica di sicurezza nazionale ed internazionale, adesso Biden mette in evidenza i vantaggi economici derivanti dal supporto a Kiev. Come sostenuto dal Presidente degli USA, il sostegno all’Ucraina rappresenta un vero e proprio vantaggio per l’economia degli Stati Uniti, in quanto le forniture destinate a sostenere Kiev sono prodotte internamente, il che favorisce l’occupazione nazionale e rifornisce i magazzini con nuove attrezzature. E dunque, su questa scia, anche la NATO diventa un importante affare per il mercato industriale americano. Proprio su questo punto, Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, in un’intervista al Washington Examiner ha ribadito:

“L’Ucraina è un buon affare per gli Stati Uniti [..] E la maggior parte del denaro che gli Stati Uniti stanno fornendo all’Ucraina è in realtà investito qui negli Stati Uniti, acquistando attrezzature americane che stiamo inviando in Ucraina. Quindi questo ci sta rendendo tutti più sicuri e sta rendendo l’industria della difesa degli Stati Uniti più forte [..] Gli alleati della NATO stanno rendendo l’industria della difesa degli Stati Uniti più forte e tutti noi più sicuri perché la NATO sta creando un grande mercato per gli Stati Uniti, per l’industria della difesa americana [..] Solo negli ultimi due anni, gli alleati della NATO hanno accettato contratti di difesa per un valore di oltre 120 miliardi di dollari. Quindi, è nell’interesse della sicurezza degli Stati Uniti, è nell’interesse economico, è un bene per gli Stati Uniti” [3]

L’impatto sull’industria bellica americana

Per avere un quadro più chiaro sull’impatto economico degli stanziamenti per l’Ucraina sugli Stati americani, il Dipartimento della Difesa ha pubblicato lo scorso 15 gennaio l’ultimo aggiornamento sull’Ukraine Security Assistance Initiative (USAI)[4]. Ad oggi, il Dipartimento ha impegnato 18 miliardi di dollari per l’acquisto di attrezzature militari, con lo scopo di sostituire le unità militari prelevate dalle scorte inviate in Ucraina. L’Industrial base impacts totale, ovvero l’impatto economico degli stanziamenti effettuati dal Congresso sull’industria americana, equivale a più di 30 miliardi, registrando gli impatti più significativi in Arizona, Pennsylvania, Arkansas e California (Fig 2.)

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Fig 2. Industrial Base Impact. Fonte Department of Defense – United States of America[5]

Eppure non è tutto rose e fiori

L’industria bellica americana vive anche delle difficoltà, dal momento che non è ancora capace di garantire con velocità e flessibilità le esigenze produttive. A tal proposito, il Dipartimento della Difesa ha pubblicato questo mese la National Defense Industrial Strategy (NDIS), la prima strategia industriale americana per assicurare all’industria statunitense di soddisfare le esigenze produttive necessarie in un contesto internazionale caratterizzato da minacce in continua evoluzione. La NDIS, per garantire un ammodernamento della base industriale statunitense, si focalizza su quattro aree prioritarie su cui è necessario intervenire con specifiche azioni strategiche:

– Catene di approvvigionamento resilienti (Resilient Supply Chains), più adattabili e reattive alle esigenze di alleati e partner in modo rapido e su vasta scala;

– Preparazione della forza lavoro (Workforce Readiness) per acquisire una manodopera qualificata e promuovere innovazione e sviluppo delle capacità all’interno del settore industriale. È un punto essenziale nella strategia americana, dato che, in un contesto in cui molti lavoratori vanno in pensione e le generazioni più giovani non hanno competenze STEM o non hanno particolari interessi ad intraprendere carriere nel settore manifatturiero, il mercato del lavoro non possiede le giuste competenze;

– Strategie di acquisizione flessibile (Flexible Acquisition) bilanciando efficienza produttiva e tempistiche, al fine di ottimizzare la propria capacità di produzione e rafforzare le catene di approvvigionamento;

– Deterrenza economica (Economic Deterrence) volta a tutelare il commercio degli Stati Uniti e dei suoi partner (GATT) dalle pratiche di Russia e Cina.[6]

Difesa, i seri ritardi dell’Europa

Sul tema, in Europa, siamo ancora molto indietro. E le sfide che stanno mettendo a dura prova l’Unione Europea negli ultimi anni necessitano un rapido ripensamento del funzionamento delle nostre Istituzioni. Non si può pensare che singoli Stati possano essere in grado, autonomamente, di affrontare le crisi che stanno attraversando le nostre democrazie.

Sul tema della politica estera e della difesa, l’Unione Europea è chiamata ad un cambio di passo deciso che non si limiti a delle mere dichiarazioni. Entro il mese, ha dichiarato il Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen in un’intervista rilasciata al Financial Times[7], verrà pubblicato un piano per l’industria della difesa europea per sopperire alle mancanze di un mercato della difesa troppo frammentato che impedisce di affrontare a livello europeo le crescenti minacce geopolitiche.

La sfida per le nostre democrazie 

La strategia che vuole mettere in campo la Commissione  per l’aumento della produzione europea nel settore, guarda all’esperienza avuta durante la guerra con gli acquisti congiunti di gas e durante la pandemia con l’aumento della produzione dei vaccini. Qualcosa di simile si era visto con l’European defence industry reinforcement through common procurement act (EDIRPA), un pacchetto da 300 milioni per incoraggiare pratiche di collaborazione tra gli Stati per gli acquisti di prodotti militari e far fronte alla scarsità dei prodotti e all’aumento dei costi.

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(Rawf8 – stock.adobe.com)

In un contesto internazionale in cui le grandi potenze mondiali corrono ai ripari e i pericoli di escalation militari aumentano, le democrazie europee hanno di fronte a sé sfide che mettono in dubbio la nostra libertà e la nostra sicurezza. Libertà e sicurezza che non possono essere messe in discussione a giorni alterni, sulla base del Presidente USA che vince le elezioni. Ed è proprio per questo motivo che, al fine di creare uno strumento di deterrenza nei confronti delle minacce internazionali, il progetto di difesa comune europea necessita di una rapida attuazione. Sarà solo in quel momento che la paura si trasformerà in un’efficace forma di protezione, il timore in risolutezza.

 

NOTE

[1] Le spese per la difesa in ambito NATO (camera.it)

[2] 230707-def-exp-2023-en.pdf (nato.int)

[3] Capo della NATO: perché il finanziamento dell’Ucraina è un buon affare per il paese di Trump – Washington Examiner

[4] Support for Ukraine (defense.gov)

[5] Support for Ukraine (defense.gov)

[6] Il Dipartimento della Difesa rilascia la prima strategia industriale della difesa > Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti > Notizie del Dipartimento della Difesa (defense.gov)

[7] Ursula von der Leyen chiede all’UE di sovvenzionare la produzione della difesa (ft.com)